Beethoven & Ravel

Marco Guidarini, direttore

Giovanni Andrea Zanon, violino

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    23 Novembre 2018

    Ore

    21,00

    Durata

    90min.

    Prezzi

    6 - 25 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    24 Novembre 2018

    Ore

    17,30

    Durata

    90min.

    Prezzi

    6 - 25 €

    Calendario

5° Concerto in abbonamento

Direttore:
Marco Guidarini

Violino:
Giovanni Andrea Zanon

“Giovani interpreti italiani per Beethoven” presenta al suo debutto a Palermo il prodigioso violinista veneto, Giovanni Andrea Zanon, che a soli 20 anni è già vincitore di concorsi internazionali in America e in Russia ed ha al suo attivo più di cento concerti in tutto il mondo. Le due più famose composizioni dedicate alla danza da Ravel completano un programma tutto godibile.

  • Programma

  • Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Concerto in re magg. op.61 per violino e orchestra

    Allegro ma non troppo

    Larghetto

    Rondò (Allegro)

     

    Composto nel 1806, nello stesso periodo del Quarto concerto per pianoforte e orchestra, il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61 condivide con esso la serena e tenera cantabilità. Il Concerto fu composto in un periodo particolarmente felice della vita di Beethoven, ospite, allora, a Martonvasar nella tenuta degli amici Brunsvick, dove poté lavorare, con una certa serenità dovuta al contatto con la natura e all’amore ricambiato per Josephine von Brunsvick, anche ad alcuni dei suoi capolavori come i Quartetti Razumowsky, completati a novembre, e la Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore, terminata nell’autunno dello stesso anno.

    Il Concerto op. 61, che, eccezion fatta per le Romanze op. 40 e op. 50 costituisce l’unico esempio di composizione per questo strumento solista e orchestra nella produzione di Beethoven, alla prima esecuzione avvenuta al Theater an der Wien il 23 dicembre 1806 con Franz Clement in qualità di solista, non ottenne un grande successo, come testimoniato dall’anonimo recensore dell’«Allgemeine Musikalische Zeitung» che lo definì senza eufemismi:

    “Un lavoro privo di coerenza, un ammasso disordinato di idee, un frastuono continuo che sembra prodotto da tanti strumenti isolati […]. Alla fine del primo movimento il sig. Franz Clement mise da parte i fogli di Beethoven ed eseguì, in conformità al programma annunciato, tutta una serie di variazioni sopra un tema di propria invenzione con il violino tenuto al contrario, le corde rivolte verso il basso. Terminate le sue acrobazie, riprese il concerto di Beethoven portandolo alla conclusione”.

    Nella composizione di questo Concerto Beethoven aveva cercato di evidenziare le capacità virtuosistiche e tecniche di Clement, il violinista, a cui indirizzò questa breve e ironica intestazione contenuta nell’autografo: Concerto per clemenza pour Clement primo violino e direttore del teatro di Vienna. Per questo motivo alcuni passi del primo e del secondo movimento si distinguono per una cantabilità e una scrittura che spazia sugli acuti, particolarmente cari a Clement, anche se il virtuosismo tipico del concerto solistico appare qui riletto alla luce di una scrittura che esalta le caratteristiche della forma sinfonica. Molto interessante è l’incipit del primo  movimento, Allegro ma non troppo, con i timpani che introducono il primo tema cantabile esposto dai legni. In questa esposizione orchestrale, che è condotta secondo i principi della forma-sonata, si possono identificare altre idee tematiche, oltre al vero e proprio secondo tema. Il secondo movimento, Larghetto, presenta un carattere religioso nella voce sommessa degli archi che si muovono con una scrittura accordale tipica del corale protestante, mentre il Finale, Allegro, è un brillante Rondò.

    Durata: 42'

    Maurice Ravel
    Ciboure, 1875 - Parigi, 1937

    La Valse (Il valzer), poema coreografico

    “Tu conosci la mia intensa attrazione per questi ritmi meravigliosi e che io ritengo la gioia di vivere espressa nella danza”

    Così Ravel manifestò la sua predilezione per il valzer, da cui si sentiva intensamente attratto, a Jean Marnold nel periodo in cui stava scrivendo La Valse, un poema coreografico composto tra il mese di febbraio del 1919 e il 1920 ed eseguito per la prima volta a Parigi il 12 dicembre 1920 ai Concerts Lamoureux sotto la direzione di Camille Chevillard. Il progetto originario risaliva, tuttavia, a molti anni prima e con molta probabilità al 1906 quando il compositore aveva deciso di scrivere un valzer di carattere viennese intitolato Wien (Vienna), in onore di Johann Strauss, ma ispirato anche a quello di Chabrier, tratto dall’opera Le roi malgré lui. Questo progetto, inizialmente abbandonato, trovò una parziale realizzazione in Valses nobles e sentimentales del 1911, un lavoro anticipatore in quanto contiene un tema che Ravel avrebbe utilizzato in seguito in La Valse. Soltanto dopo la Prima Guerra Mondiale, al suo ritorno in patria dopo aver militato nell’esercito francese, Ravel decise di riprendere il progetto di Wien, ma lo rielaborò completamente concependolo come un balletto che Diaghilev, il famoso impresario dei Ballets Russes, avrebbe dovuto mettere in scena; l’impresario rifiutò il lavoro dicendo: Questo non è un balletto; è un ritratto di un balletto, è un dipinto di un balletto, provocando con il compositore una rottura che non sarebbe stata mai più ricomposta. Il balletto fu messo in scena con enorme successo dalla ballerina Ida Rubinstein il 20 novembre 1928 all’Opéra di Parigi due giorni prima che la stessa Rubinstein danzasse nel celeberrimo Bolèro.

    Di questo lavoro raramente eseguito come balletto ma che ha goduto di una grande fortuna nel repertorio sinfonico, lo stesso Ravel scrisse il programma seguito abbastanza fedelmente nella partitura e distribuito al pubblico alla prima esecuzione:

    “Nembi turbinosi lasciano intravedere, a sprazzi, delle coppie di danzatori, poi a poco a poco si dissipano, rivelando una sala immensa popolata da una folla vorticosa. La scena diventa sempre più luminosa e, al fortissimo, la luce dei candelieri giunge al massimo splendore. Una corte imperiale, verso il 1855”.

    Il programma è realizzato attraverso una vera e propria apoteosi del valzer ben preparata inizialmente da una scrittura orchestrale che predilige i timbri scuri degli archi ai quali è affidato un turbinoso tremolo su cui i fagotti si producono in accenni tematici. Da questa struttura iniziale gli strumenti intervengono, alla stregua di coppie di danzatori, progressivamente come se si liberassero da una massa che li teneva aggregati impedendo loro di esprimere la voglia di danzare; alla fine di questa progressiva liberazione la musica scorre in un vortice di danza che, tuttavia, al suo interno nasconde dei momenti drammatici. Ciò è maggiormente evidente nella coda dove il ritmo del valzer viene abbandonato per lasciare il posto a quello di una Danza macabra.

    Durata: 14'

    Maurice Ravel
    Ciboure, 1875 - Parigi, 1937

    Boléro

    Il Boléro di Ravel ha avuto sempre un’accoglienza entusiastica da parte del pubblico costituendo, contrariamente alle previsioni dello stesso compositore rimasto sorpreso per tanto improvviso quanto enorme successo, una delle pagine sinfoniche più note ed apprezzate del Novecento. La sfiducia di Ravel verso questa composizione è ben illustrata da un aneddoto, secondo il quale si narra che, alla fine della prima esecuzione, tra il pubblico acclamante, si fecero sentire le voci discordanti di alcuni presenti i quali apostrofarono il compositore con l’epiteto offensivo di pazzo senza che ciò suscitasse nel suo animo alcuna reazione risentita; egli, anzi, con la franchezza che gli era abituale e con un grande senso di autoironia affermò che quei signori erano gli unici ad aver capito qualcosa. Sebbene non sia facile comprendere la ragione di tanta avversione, da parte di Ravel, per questa sua creatura, tuttavia, si sa per certo che egli non solo non modificò il suo giudizio critico, ma espresse la scarsa considerazione esplicitamente quando affermò che il brano era “un compito di orchestrazione che qualsiasi allievo del conservatorio, avuto il tema, avrebbe potuto facilmente eseguire”.

    L’autocritica appare alquanto eccessiva soprattutto se si considera la vastità dell’organico scelto da Ravel difficilmente gestibile da un normale allievo di Conservatorio, ma è certo che la gestazione dell’opera non fu semplice, anche perché il Boléro, danza spagnola risalente alla seconda metà del XVIII sec., fu scritto proprio in un momento in cui Ravel aveva deciso di non comporre più musica per balletti. Era recente, infatti, la rottura con Sergej Diaghilev, direttore dei Balletti Russi, che, poco tempo prima, gli aveva commissionato un’opera, La valse, per, poi, non farla eseguire.

    Il Boléro, quindi, nacque quasi per caso e dietro la pressante richiesta della ballerina franco-russa Ida Rubinstein che desiderava inserire nel suo repertorio di musica spagnola una pagina di grande effetto. Inizialmente Ravel pensò di orchestrare la suite Iberia di Isaac Albéniz, ma, di fronte all’opposizione degli eredi del compositore spagnolo alla trascrizione di qualunque brano e, in particolar modo, di questa suite, preferì comporre un pezzo ex novo sul tema del Boléro. Grande conoscitore della musica e del folklore spagnolo, Ravel non ebbe particolari difficoltà a trovare il tema che orchestrò con la maestria consueta alla sua mano esperta dei timbri dei diversi strumenti.

    Il Boléro, eseguito per la prima volta nella sua forma da concerto l’11 gennaio 1930 sotto la direzione dello stesso Ravel ai Concerts Lamoureux di Parigi, nella sua versione per balletto aveva già visto due anni prima il suo debutto trionfale sotto la direzione di Walter Staram il 22 novembre 1928 con le scene ideate dal pittore e scenografo franco-russo Alexandre Nicolaievitch Benois  e la magistrale interpretazione di Ida Rubinstein che ballò su un tavolo di un’osteria, luogo in cui era ambientata la scena, con gesti sensuali tali da attirare l’attenzione degli uomini intorno a lei i quali, in un crescendo di eccitazione, alla fine diedero vita ad una gigantesca rissa. Questa prima rappresentazione, così scabrosa, determinò il successo dell’opera nei locali notturni di Parigi, dove le spogliarelliste si esibivano danzando in modo lascivo su questo tema sensuale e, al tempo stesso, ipnotico ripetuto per ben 18 volte passando tra i vari strumenti dell’orchestra in un crescendo di eccitazione che portava al travolgente finale che costituisce l’unico elemento di diversità.

    L’uniformità della melodia è la caratteristica peculiare di questo lavoro il cui tema si sviluppa per trentadue misure ed è divisibile simmetricamente in due periodi di 16 battute ciascuno, dei quali il primo, nella tonalità di do maggiore, ha una struttura diatonica, mentre il secondo presenta delle alterazioni che delineano un’atmosfera moresco-spagnola, ma non conducono ad una vera e propria modulazione. Elementi caratterizzanti sono, inoltre, il ritmo e l’orchestra, dei quali il primo è uniforme, quasi ossessivo nel suo carattere ripetitivo, mentre la seconda è estremamente varia dal punto di vista timbrico. Tutti gli strumenti del ricchissimo organico orchestrale, che contempla, tra gli altri, un oboe d’amore, un clarinetto piccolo, un clarinetto basso, e tre sax (un sopranino, un soprano ed un tenore) vengono esaltati sia nella loro individualità timbrica che nel loro insieme.

     

    Riccardo Viagrande

     

    Durata: 17'