Beethoven & Schumann

John Axelrod, direttore

Beatrice Rana, pianoforte

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    09 Novembre 2018

    Ore

    21,00

    Durata

    97min.

    Prezzi

    6 - 25 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    10 Novembre 2018

    Ore

    17,30

    Durata

    97min.

    Prezzi

    6 - 25 €

    Calendario

3° Concerto in abbonamento

Direttore:
John Axelrod

Pianoforte:
Beatrice Rana

“Giovani interpreti italiani per Beethoven” è uno dei temi della stagione che si apre con una protagonista affermata della scena mondiale del pianoforte, per la prima volta a Palermo.

Non ancora venticinquenne, Beatrice Rana colleziona ormai premi e successi discografici di qua e di là dell’Oceano, e ha suonato con le più grandi orchestre del mondo e i più importanti direttori. Qui al suo debutto in Sicilia con l’ “Imperatore”.

 

Nota di Sala a cura di

Riccardo Viagrande

  • Programma

  • Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Concerto n. 5 “Imperatore” in mi bem. magg. op. 73 per pianoforte e orchestra

    Allegro

    Adagio un poco mosso

    Rondò

     

    Composto nel 1809, il Quinto concerto per pianoforte e orchestra  costituisce il congedo di un Beethoven ancora giovane da questo genere che pur gli aveva riservato notevoli ed importanti successi e si configura, quindi, come una forma di testamento che, per il suo carattere monumentale e sinfonico, apre le porte agli importanti sviluppi che questa forma avrebbe avuto nell’Ottocento. Acclamato pianista, Beethoven si era, infatti, inserito nel mondo musicale prima come esecutore che come compositore ed era stato il primo interprete al pianoforte dei suoi concerti, dei quali l’ultimo era stato eseguito soltanto un anno prima, il 22 dicembre 1808, al Teatro An der Wien. L’acuirsi della sordità e, quindi, l’impossibilità di sedersi al pianoforte per eseguire come solista la propria musica indussero, probabilmente, Beethoven di non scrivere più concerti per strumento solista in genere e per pianoforte in particolare. Il 1809, inoltre, non era stato certo un anno facile per il compositore per il quale alla già grave menomazione fisica si unì una sfavorevole congiuntura sia personale che politica, determinatasi, quest’ultima, con l’occupazione di Vienna da parte delle truppe napoleoniche che l’11 maggio di quell’anno avevano aperto il fuoco sulla capitale asburgica costringendo Beethoven a lasciare la sua casa a Wallfischgasse e a rifugiarsi presso il fratello Karl.

    Il Quinto concerto fu composto proprio in questi alquanto tribolati giorni, ma fu eseguito per la prima volta in pubblico soltanto due anni dopo, il 28 novembre 1811, al Gewandhaus di Lipsia dove il direttore Johann Philippe Christian Schulz e il giovane pianista Johann Friedrich diedero vita ad un’esecuzione che l’«Allgemeine Musikalische Zeitung» non esitò a definire un trionfo. Alla prima esecuzione viennese, avvenuta il 15 febbraio 1812 con il giovane pianista Carl Czerny, allievo di Beethoven, il Concerto non ebbe la stessa accoglienza  e solo un ufficiale della Grande Armée francese fu sentito, alla fine, esclamare: Questo è l’imperatore dei concerti. Secondo questo aneddoto il titolo posticcio di “Imperatore” deve essere attribuito a questo anonimo ufficiale e non a Johann Baptist Cramer, pianista ed editore oltre che amico del compositore, come vorrebbe un’altra versione dei fatti. Alla fortuna di questo titolo hanno certo contribuito sia la scelta della tonalità, il mi bemolle maggiore, che lo accomuna all’Eroica, sia  la monumentalità dell’opera che raggiunge proporzioni senza precedenti tali da rappresentare un’importante innovazione per la stessa forma del concerto solistico.

    Il primo movimento, Allegro, infatti, contrariamente alla consuetudine, che prevede la presenza dell’esposizione orchestrale, mette subito in rilievo il solista, al quale, insieme all’orchestra, è affidato il compito di presentare la tonalità d’impianto, il mi bemolle maggiore, attraverso i suoi accordi più rappresentativi; proprio da questi accordi scaturiscono delle eleganti e virtuosistiche decorazioni del solista, generalmente riservate alla cadenza finale del primo movimento, soppressa in questo concerto per esplicita volontà del compositore che prescrisse: non si fa alcuna cadenza, ma si attacca subito il seguente. A questa introduzione segue l’esposizione orchestrale con il trionfale e solenne primo tema, affidato ai violini primi, al quale si contrappone dialetticamente il secondo che assume prima un carattere saltellante nel delicato staccato degli archi per diventare, poi, sensuale nella dolce versione legata affidata ai corni. La riesposizione del solista si configura già come una forma di sviluppo sia  per le eleganti variazioni affidate al pianoforte, che ornano il primo tema, sia per la scelta di Beethoven di riprendere il secondo in una tonalità lontana. Nello sviluppo vero e proprio la dialettica tematica, tipica della forma-sonata si integra in una nuova forma di contrasto dialettico tra l’orchestra che rielabora i temi  e il pianoforte al quale è lasciato il compito di variarli virtuosisticamente. Ulteriore testimonianza della perfetta integrazione fra solista ed orchestra è l’assenza della cadenza nella parte conclusiva del movimento quando il virtuosismo del pianoforte, mai fine a se stesso e sempre teso a rinnovare gli elementi tematici, dialoga con gli altri strumenti in una totale situazione di parità.

    Il secondo movimento, Adagio un poco mosso, presenta una delicata e solenne compostezza, dotata di una pensosa religiosità espressa magnificamente dall’iniziale tema di corale in si maggiore, affidato agli archi. Sorprendente e, per certi aspetti, straniante è l’ingresso del pianoforte a cui è affidato uno struggente tema in terzine che, soltanto nella parte conclusiva, cede il posto alla ripresa del tema principale.

    Legato al secondo movimento con due misure in cui il pianoforte anticipa il tema iniziale, il terzo movimento, Allegro, costituisce una geniale contaminazione tra la forma del Rondò e quella del tema e variazioni; il tema iniziale, caratterizzato da una grande libertà agogica che maschera il ritmo di 6/8 con una scansione in 3/4, viene variato virtuosisticamente nei successivi episodi che si alternano ai canonici refrain. Questa scrittura virtuosistica dà l’impressione di una continua improvvisazione, ben controllata da Beethoven, che, costruendo tutto in modo perfetto, non lascia all’improvvisazione del solista nessuno spazio se non quello ritagliatogli dal compositore.

    Durata: 38'

    Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Leonora n. 3 ouverture op.72 b

    Adagio, Allegro, Presto

     

    Terza delle quattro ouvertures composte da Beethoven per la sua opera Fidelio, il cui titolo originario era Leonora, ne costituisce una magistrale sintesi tanto che dalla critica è stata definita all’unanimità come uno dei suoi più grandi capolavori sinfonici. L’ouverture, composta per la ripresa in due sole serate, il 29 marzo e il 10 aprile 1806, del Fidelio, diretto, in quell’occasione, da J. von Seyfried, è una rielaborazione della Leonora n. 2 già eseguita al Teatro An der Wien per la prima rappresentazione assoluta dell’opera sotto la direzione dello stesso compositore. Beethoven, inizialmente, aveva composto un’altra ouverture, la Leonora n. 1, ma, ritenendola non conforme al principio gluckiano secondo cui l’ouverture doveva contenere i temi dell’opera e costituirne una sintesi, decise quasi subito di non servirsene.

    Rispetto alla Leonora n. 1, che contiene soltanto qualche riferimento all’aria, In des Lebens Frülhingstagen (Nella primavera della vita), di Florestano languente nel carcere dove è rinchiuso, già la Leonora n. 2 presenta molti spunti tematici dell’opera, che nella terza ouverture vengono organizzati in modo conforme alla forma-sonata. Nemmeno quest’ouverture, tuttavia, soddisfece Beethoven che per la terza rappresentazione del Fidelio, andato in scena al Teatro di Porta Carinzia di Vienna il 23 maggio 1814, ne compose una nuova nella quale è assente ogni riferimento all’opera stessa. Beethoven, considerando la Leonora n. 3 anticipatrice del secondo atto corrispondente alla parte più drammatica dell’opera, là dove si delinea la figura di Florestano languente nel carcere fino alla definitiva liberazione, ritenne più opportuno che fosse lo stesso spettatore seguisse lo sviluppo della vicenda sulla scena. Il carattere drammatico dell’ouverture, inoltre, sembrò a Beethoven  troppo stridente con l’inizio dell’opera che si inscrive a buon diritto nel genere del dramma borghese con gli equivoci sentimentali di Marcellina, Jaquino e Fidelio; ciò che appare strano è che la Leonora n. 3 sia stata sostituita con una nuova ouverture proprio nell’ultima versione del Fidelio al quale l’intervento del librettista Georg Friedrich Treitschke aveva attribuito un carattere più spiccatamente drammatico. Per la sua bellezza, tuttavia, l’ouverture ha trovato una collocazione stabile nel repertorio sinfonico ed è stata reintegrata nell’atto secondo nell’opera prima dell’ultimo quadro.

    La nuova collocazione dell’ouverture, non voluta da Beethoven, ma abbastanza frequente nelle esecuzioni moderne del Fidelio, è certamente più vicina, dal punto di vista tematico, al contenuto dell’atto secondo.

    L’opera, scritta, nella sua versione originale, su libretto di Joseph Sonnleithner, è tratta da un dramma di Jean-Nicolas Bouilly che si ispirò ad un fatto realmente accaduto nelle Turenna francese durante il periodo del terrore e di cui fu protagonista una dama impegnata nel tentativo di salvare il marito da un’ingiusta condanna. Sonnleithner traspose l’ambientazione dalla Francia alla Spagna mantenendo, però, le linee fondamentali della vicenda e, soprattutto, il riferimento a valori come la lotta contro l’ingiustizia e il trionfo del bene sul male. Vittima dell’ingiustizia è, in quest’opera, Florestano che si vede rinchiuso, suo malgrado, nel carcere dal suo avversario, il governatore Pizarro, solo per aver detto la verità. Mentre il governatore medita di uccidere l’uomo, s’introduce nel carcere, per salvare il marito, Leonora sotto le mentite spoglie di Fidelio. L’annuncio dell’imminente visita del Ministro di Stato induce Pizarro ad accelerare la realizzazione dei suoi propositi omicidi, manifestati a Rocco in un colloquio a cui assiste Leonora ignara che si tratti del marito. Con la motivazione, niente affatto credibile, di aiutare Rocco a scavare la fossa per il prigioniero, Leonora entra nella segreta dove è rinchiuso Florestano e riconosce il marito. Nel frattempo giunge Pizarro per uccidere Florestano e, quando Leonora lo trattiene svelando la sua identità, vorrebbe uccidere entrambi, salvati dal provvidenziale arrivo del Ministro che, alla fine, dando ordine di liberare i prigionieri, scongiura il tragico epilogo.

    Beethoven, consapevole del valore drammatico dell’atto secondo, che si apre con Florestano che, languente nel carcere, canta la già citata In des Lebens Frülhingstagen, introdusse nell’Adagio iniziale il suo drammatico tema esposto dai clarinetti e dai fagotti e preceduto da un altrettanto drammatico disegno ascendente. Il primo tema dell’Allegro, in forma-sonata, è costituito da una rielaborazione dell’accompagnamento orchestrale della seconda parte della stessa aria segnata nella partitura con l’andamento Poco allegro e di una sezione del duetto di Leonora e Florestano del penultimo quadro; a questo si contrappone il sognante secondo tema che con il suo movimento ascendente, ancora minato da ansiose appoggiature discendenti nella parte conclusiva, sembra presagire il felice scioglimento della drammatica vicenda nella parte centrale dell’ouverture, dove, annunciato dai solenni squilli delle trombe, appare un tema che ricorda la struttura dell’inno e rappresenta perfettamente la liberazione dei prigionieri da parte del Ministro di Stato.

    Rispetto alla Leonora n. 2 Beethoven, dopo lo sviluppo, introdusse la ripresa seguendo, in questo modo, i principi della forma-sonata, anche se separò il momento lieto della liberazione dal tripudio conclusivo, marcato nella partitura dal Presto nel quale appare, ad ulteriore conferma della vittoria del bene sul male, il tema dell’Allegro esposto in una forma trionfale. Il bene, la giustizia, ma anche l’amore coniugale, figli della Ragione illuminista, trionfano e Beethoven finalmente può dirsi soddisfatto di aver coniugato l’intensità del dramma con la risoluzione liberatoria della vicenda e, altresì, con l’efficace esaltazione dei valori morali.

    Durata: 14'

    Robert Schumann
    Zwickau, 1810 - Bonn, 1856

    Sinfonia n. 3 in mi bem. magg. op.97 “Renana”

    Lebhaft (Vivace)

    Scherzo: Sehr mässig (Molto moderato)

    Nicht schnell (Non veloce)

    Feierlich (Solenne)

    Lebhaft (Vivace)

     

    Composta in un periodo brevissimo di appena due mesi, dal 2 novembre al 9 dicembre del 1850, la Sinfonia n. 3 di Schumann costituisce, per la perfetta sintesi tra classicismo e romanticismo ottenuta grazie anche a un sostanziale e raffinato equilibrio tra una scrittura orchestrale particolarmente espressiva e di grande intensità e l’uso di motivi di ascendenza popolare, la testimonianza di un felice momento creativo della vita del compositore. Dopo il Concerto per violoncello e orchestra, la Sinfonia fu il secondo lavoro scritto nella cittadina di Düsseldorf sulle rive del Reno, dove Schumann era giunto il 2 settembre per assumere l’incarico di direttore dei concerti. Qui egli fu accolto trionfalmente e per l’occasione furono organizzati in suo onore un concerto di sue composizioni, una cena e un ballo. Nonostante l’accoglienza calorosa si apriva un periodo di grande e febbrile attività non certo semplice per il compositore tedesco che, sebbene avesse poca esperienza nella direzione d’orchestra, fu costretto, per ottemperare agli obblighi contratti con questo nuovo incarico, a dirigere una compagine orchestrale formata, tra l’altro, da artisti di profilo professionale non proprio altissimo. Tale frenetica attività, piuttosto che ostacolare la composizione di nuove opere, servì da stimolo efficacissimo per Schumann che in questo periodo scrisse alcuni dei suoi lavori più importanti, come il già citato Concerto per violoncello e orchestra, composto in circa due settimane dal 10 al 24 ottobre 1850, e Le scene dal Faust di Goethe, oltre a questa sinfonia che, alla prima esecuzione avvenuta a Düsseldorf il 6 febbraio 1851 sotto la direzione dell’autore, ottenne un notevole successo. Le cronache dell’epoca riportano che il pubblico applaudì tutti i movimenti e alla fine l’orchestra si unì al pubblico gridando evviva.

    Dal punto di vista macroformale la Sinfonia, soprannominata Renana per la presenza, nella partitura, di riferimenti musicali a quella magnifica terra tedesca dove il compositore aveva trovato la serenità e la felicità necessarie per lavorare, è costituita da cinque movimenti al posto dei soliti quattro, mostrando così la tipica indipendenza di Schumann dalle regole e dalle convenzioni che egli rielaborò in modo originale.

    Il primo movimento, Lebhaft (Vivace), è una poderosa struttura in forma-sonata con un primo tema ampio e solenne al quale un ritmo sincopato contribuisce a dare un carattere giocoso. Contrastante è il secondo tema malinconico nella sua tonalità di sol minore.

    Originariamente intitolato Mattino sul Reno, il secondo movimento (Scherzo) è un vero e proprio Ländler costruito su un tema iniziale di ascendenza popolare, ma dalla struttura formale estremamente complessa che contamina la forma-sonata con quelle del rondò e della variazione.

    Legato direttamente al precedente, il terzo movimento, Nicht schnell (Non veloce), è un delicato intermezzo lirico, mentre il quarto movimento, Feierlich (Solenne), di carattere maestoso, recava inizialmente la dicitura, in seguito cancellata dal compositore, come accompagnando una solenne cerimonia. La cerimonia, a cui si riferiva tale dicitura, è quella dell’investitura cardinalizia dell’Arcivescovo von Gaissel, avvenuta a Colonia il 30 settembre 1850. Questo quarto movimento, dal carattere grave e solenne, costituisce una forma di preludio al quinto, al quale è accomunato da elementi armonici e melodici.

    Un clima disteso presiede, infine, l’ultimo movimento, Lebhaft (Vivace), nel quale si scioglie la tensione accumulata nei precedenti. Ciò è evidente nella Coda dove il tema in sol minore del quarto movimento è ripreso in mi bemolle maggiore.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 30'

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