Campogrande, Paganini, Casella & Rota

Evgeny Bushkov, direttore

Stefan Milenkovich, violino

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    22 Febbraio 2019

    Ore

    21,00

    Durata

    90min.

    Prezzi

    12 - 25 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    23 Febbraio 2019

    Ore

    17,30

    Durata

    90min.

    Prezzi

    12 - 25 €

    Calendario

15° Concerto in abbonamento

Direttore:
Evgeny Bushkov

Violino:
Stefan Milenkovich

Programma tutto italiano: Nicola Campogrande, con una brillante elaborazione dei Capricci di Paganini, novità per Palermo, Paganini stesso col suo più celebre Concerto della “Campanella”, Casella con la neoclassica Paganiniana. A chiusura Rota con la brillante suite da La Strada, rielaborazione in chiave di balletto delle straordinarie e struggenti musiche per il film di Fellini.

  • Programma

  • Nicola Campogrande
    Torino, 1969

    Paganini, Paganini! per violino e orchestra

    Allievo di Azio Corghi, sotto la cui guida si è diplomato in composizione presso il Conservatorio di Milano, Nicola Campogrande, noto al grande pubblico per la conduzione della trasmissione radiofonica Radio3 Suite e di Contrappunti su Classica HD, si è imposto come compositore grazie ad una vasta produzione che va da lavori per il teatro come Opera italiana, Macchinario, Lego e Alianti, nei quali ha ottenuto una proficua sintesi tra tradizione classica, jazz, canzoni ed esplorazioni elettroniche, alla musica da camera e al genere sinfonico. Proprio a questo genere appartiene Paganini Paganini, composto nel 2011 e ispirato a un celebre, quasi leggendario, episodio della vita del grande virtuoso italiano che, durante un'Accademia tenuta al Teatro Carignano di Torino nel febbraio 1818, rifiutò un bis richiestogli dal futuro re Carlo Felice. Abituato, infatti, ad improvvisare, ma non a replicare, Paganini fece rispondere con la frase rimasta celebre: «Paganini non ripete», suscitando una forma di incidente diplomatico che causò l'annullamento della terza Accademia che il musicista avrebbe dovuto tenere nella capitale del Regno di Sardegna. Campogrande, in questa composizione, ha riscritto la storia di quella serata  immaginando che quella sera Paganini abbia concesso quel bis che, nella realtà, fu il pomo della discordia. Come affermato dal compositore, che ha così descritto la sua composizione:

    "Ho così preso spunto da alcuni dei Capricci, composti poco prima, e li ho trasformati in oggetti musicali nuovi, che non avrebbero potuto esistere nel primo Ottocento ma che possono invece fare parte del nostro panorama sonoro. In un gioco di specchi tra passato e presente, con addosso la memoria delle decine di compositori che si sono lasciati ispirare dalla musica di Paganini, l’idea è stata quella di creare una partitura che sia insieme un omaggio al grande genio e un paesaggio con addosso il brivido e il piacere della contemporaneità.

    Mi fa piacere segnalare infine che, avendo potuto lavorare accanto a un interprete coltissimo e meraviglioso come Massimo Quarta, con il quale abbiamo discusso a lungo molti dettagli della partitura, mi è capitato di “mettere in scena” in questo brano una questione di filologia: ad un certo punto si ascolterà un accenno dal Capriccio numero 9, eseguito così come lo si suonava fino a pochi anni fa (e sarà l’orchestra a proporre quella versione, più saltellante) alternato alla proposta filologicamente più attuale (dove il violino segue invece un’articolazione più morbida e non staccata)".

    Composto su commissione dell'Orchestra Tito Schipa di Lecce, Paganini Paganini! in un unico movimento, è stato eseguito per la prima volta il 20 gennaio 2012 a Lecce con Massimo Quarta in qualità di solista e direttore.

    Durata: 10'

    Niccolò Paganini
    Genova, 1782 - Nizza, 1840

    Concerto n. 2 (“La campanella”) in si min. op.7 per violino e orchestra

    Allegro maestoso

    Adagio

    Rondò, Andantino

     

    “Questo Paganini è un uomo strano. È l’enigma più inspiegabile che si sia offerto agli uomini che si sono riuniti per divertirsi. Non c’è nulla di umano nella sua persona. La sua lunga testa ossuta e ricoperta di capelli in disordine, può appena contenere il fuoco prolungato di quel suo sguardo cupo che nessuno sguardo umano sarebbe in grado di contenere. Non si sa, a vederlo così, se sia un risorto che cammina, tanto assomiglia al Lazzaro di Rembrandt libero dal suo lenzuolo. Le sue due braccia pendono a terra e solo a vedere queste sue mani ossute fasciate da questi tendini d’acciaio si può indovinare attraverso quali orribili lotte quest’uomo è giunto a dominare il suo violino, quell’anima in pena racchiusa tra quattro pezzi di legno. Da parte mia io ho sempre paura di quest’uomo, sia che egli venga a salutare la platea con quel sorriso di marmo freddo e pesante, sia che egli rompa le tre corde del suo violino suonando un capriccio fantastico del quale non ha mai dato conto, sia infine che si abbandoni liberamente e fieramente proprio a quella ispirazione galvanica che ci trovava muti e trasportati”.

    In questo articolo, intitolato Paganini e Berlioz e pubblicato su «Le Journal des Débats» a firma di Jules Jamin il 24 dicembre 1838, è contenuta una delle descrizioni più comuni di Niccolò Paganini, grandissimo virtuoso del violino, ma al tempo stesso figura leggendaria che sembrava non avere nulla di umano e tale da incutere paura. A creare questa immagine misteriosa, quasi demoniaca dell’uomo aveva contribuito non solo la sua vita avventurosa, ma anche il suo abito da concerto nero dalla testa ai piedi. Come musicista Paganini fu una delle figure più importanti del panorama musicale europeo della prima metà dell’Ottocento; la sua arte fu apprezzata da eminenti colleghi come: Berlioz che lo definì un genio, un Titano fra i giganti; Schubert che paragonò il suo modo di suonare al canto degli angeli e, infine, Liszt, che, chiamato lui stesso dai contemporanei il Paganini del pianoforte, si espresse a proposito del virtuosismo del musicista italiano come di un miracolo che il regno dell’arte ha visto una sola volta.

    Composto nel 1826, ma pubblicato postumo nel 1851, il Secondo concerto, nonostante i dieci anni che lo separano dal Primo, scritto nel 1816, presenta una struttura formale analoga al precedente. Il primo movimento, Allegro maestoso, presenta un’introduzione orchestrale di carattere marziale tipica dello stile Biedermeier, nome, che, tratto da un personaggio immaginario uscito dalla penna di Adolf Kussmaul e Ludwig Eichrodt, fu utilizzato, in un’accezione dispregiativa, dal momento che Meier, un cognome tedesco piuttosto comune, è accostato all’aggettivo Bieder che significa semplice, per identificare un’epoca i cui limiti temporali sono rappresentati indicativamente dal 1815, anno in cui si celebrò la fine degli ideali rivoluzionari, e dal 1830, anno che vide l’affermazione della società borghese. In questo movimento, che pur presenta, oltre al carattere marziale dell’introduzione, una scrittura virtuosistica, tipica anche questa del suddetto stile, è presente, tuttavia, una contrapposizione tematica che anticipa già la dialettica romantica tra i due temi, dei quali il primo, nonostante accenti nostalgici, presenta un ritmo marcato, mentre il secondo, in re maggiore, è intriso di una dolce cantabilità melodica di vaga ascendenza rossiniana soprattutto nell’incipit. Ispirato al movimento lento del Concerto n. 24 di Giovan Battista Viotti, composto tra il 1795 e il 1798, e con il quale condivide l’attacco iniziale dei corni, il secondo movimento, Adagio, si segnala per gli accenti appassionati e romantici che pervadono la parte del solista. Il concerto si conclude con il celeberrimo Rondò della Campanella, chiamato così per la presenza di una campanella che contrappunta il tema principale e che è imitata onomatopeicamente ora dal solista con l’uso di armonici artificiali ora dall’orchestra. Pagina di garbato umorismo, che ha ispirato Franz Liszt nel famoso Étude S. 140 intitolato La campanella e Johannes Strauss Padre nel Walzer à la Paganini op. 11, il movimento racchiude, al suo interno, un ironico Trio, caratterizzato da un tema di ninna-nanna in doppie corde anche questo di ascendenza operistica.

    Durata: 27'

    Alfredo Casella
    Torino 1883 - Torino 1947

    Paganiniana, divertimento per orchestra su temi di Paganini, op. 65

    Allegro agitato

    Polacchetta: allegretto moderato

    Romanza: larghetto cantabile, amoroso

    Tarantella: presto molto

     

    Molti critici si sono soffermati sulla continua ricerca, da parte di Casella, di uno stile definitivo e, a tale proposito, è significativa la frase di Edward Dent, secondo cui:

    "Casella è il musicista italiano che meglio ha aiutato i suoi giovani connazionali a trovarsi uno stile, ma che viceversa ha maggiormente faticato a scoprire il proprio".

    Effettivamente lo stesso Casella si era convinto di non aver raggiunto mai uno stile definitivo se si augurava, dopo la composizione del Concerto per orchestra, di fare ancora meglio e, infatti, tutta la produzione di Casella è pervasa da una continua ricerca che non si appaga mai, sempre tesa a nuove forme espressive della sua arte. 

    Tra i lavori più significativi della sua vasta produzione spicca Paganiniana, che fu composta su commissione dell'Orchestra Filarmonica di Vienna per celebrare il centenario della sua fondazione che sarebbe caduto nel 1942; per l'occasione Casella decise di rivolgersi alla grande tradizione italiana, componendo un Divertimento in quattro movimenti su temi di Paganini che rivela quella fantasia accesa e vivace e quel virtuosismo orchestrale che caratterizzano altri suoi lavori come La Giara. Eseguito per la prima volta a Vienna il 14 aprile 1942 dall'Orchestra Filarmonica diretta da Karl Böhm, questo Divertimento si impose immediatamente, come uno dei lavori più riusciti di Casella tanto che il coreografo Milloss ne ricavò, già nel 1943, un balletto intitolato La rosa del sogno.

    Nel primo movimento, Allegro agitato, nel quale Casella si avvalse di temi presi dai Capricci n. 5 e n. 12 ed anche di frammenti dei Capricci n. 16 e n. 19, è rappresentato "lo spirito satanico" del grande violinista, mentre il secondo, Polacchetta (Allegretto moderato) i cui materiali melodici sono tratti dai Quartetti op. 5 per tre archi e chitarra, si impone per il suo carattere malinconico. Il Larghetto cantabile amoroso della Sonata op. 30 "La primavera" informa il terzo movimento, Romanza, mentre la brillante Tarantella finale trae spunto da due diversi lavori di Paganini: La Tarantella in la minore per violino e orchestra e il Quartetto op. 4 per archi e chitarra.

    Durata: 18'

    Nino Rota
    Milano, 1911 - Roma, 1979

    La strada, suite dal balletto

    1. Nozze in campagna. È arrivato Zampanò.
    2. I tre suonatori e il matto sul filo
    3. Il circo (Il numero di Zampanò-I giocolieri-I violini del “Matto”)
    4. La rabbia di Zampanò
    5. Zampanò uccide il “Matto”. Gelsomina impazzisce di dolore
    6. L’ultimo spettacolo sulla neve. “Addio Gelsomina”
    7. Solitudine e pianto di Zampanò

     

    Noto soprattutto per le sue colonne sonore di film, Nino Rota si dedicò a tutti i generi musicali componendo circa 150 lavori con lo stesso impegno e con quelle straordinarie doti musicali che, alla precocissima età di 8 anni dopo un solo anno di studio di solfeggio, gli avevano consentito di riempire quaderni di musica componendo sinfonie e oratori. Alla manifestazione precoce del suo genio musicale contribuì certo il fatto che egli nacque in una famiglia di musicisti; la madre, eccellente pianista, era figlia di Giovanni Rinaldi, compositore ormai quasi del tutto sconosciuto, che, insieme ad altri musicisti, alla fine dell’Ottocento aveva cercato di contrastare l’egemonia del melodramma in Italia rivalutando la musica strumentale. Pur essendo stato allievo di Pizzetti e di Casella e nonostante la sua ammirazione per Stravinskij, che conobbe personalmente, Nino Rota fu una voce originale nel panorama musicale del Novecento; egli, convinto del fatto che la musica debba essere una forma di espressione immediata e ingenua, si tenne lontano dalle tecniche musicali novecentesche senza mai polemizzare con chi le propugnava e rimase fedele ad una concezione musicale ancora ottocentesca basata sul primato della melodia e su una struttura tonale semplice e aliena da complicati giri armonici. Questo suo ritorno alla musica dell’Ottocento costituisce l’aspetto artistico di un animo semplice e spontaneo, di cui è una testimonianza un aneddoto raccontato dal regista Sergej Bondarchuk che, ricordando la sua collaborazione con Rota per il film Waterloo, affermò:

    “Quando ho visto la partitura della colonna sonora, mi sono subito voluto informare, come sempre, delle necessità tecniche del Maestro. Allora ho chiesto a Rota: «Quanti tromboni le servono?». E lui: «Tre sono più che sufficienti». «Appena tre?», gli ho ribattuto: «certi compositori me ne chiedono cento, centocinquanta...». E lui, di rimando: «Tre o cento... fa lo stesso»".

    Questa semplicità e spontaneità si riscontrano anche nel balletto La Strada composto negli anni Sessanta, quando Nino Rota aveva raggiunto la sua piena maturità artistica.

    Composto su commissione del Teatro alla Scala di Milano, dove andò in scena il 2 settembre 1966, il balletto La Strada, da dove è tratta questa Suite, presenta alcune delle melodie più famose delle colonne sonore scritte da Rota non solo per i film di Federico Fellini, ma anche per Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti. Il balletto, il cui soggetto è ispirato all’omonimo film di Fellini che meritò l’Oscar nel 1954, ebbe un notevole successo di pubblico, al quale non corrisposero, però, i giudizi della critica che accusarono Rota, per l’orecchiabilità della sua musica, di essere inattuale. In realtà il compositore milanese è riuscito con la sua musica a rappresentare perfettamente i sentimenti e gli avvenimenti descritti nel balletto dilatando gli scarni e densi temi scritti per la colonna sonora in forme musicali ampie e libere dalle costrizioni dei tempi imposti dalla pellicola. La capacità di Rota di rendere vivi i sentimenti attraverso le sue melodie è evidente in tutti i brani di questa Suite dall’iniziale brillante scena delle Nozze in campagna al malinconico tema che rappresenta nell’ultimo brano la Solitudine e il pianto di Zampanò.  

    Riccardo Viagrande

    Durata: 17'

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