Teatro Antico di Taormina - Progetto Beethoven

Diego Matheuz, direttore

Gerhard Oppitz, pianoforte

  • Place

  • Teatro Antico - Taormina

  • Day

    Time

    Duration

    Price

     

  • Giorno

    Wednesday
    22 July 2020

    Ore

    21,30

    Durata

    90min.

    Prezzi

    45 - 15 €

    Calendario

Taormina Arte 2020

  • Programma

  • Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore op. 37

    Allegro con brio

    Largo

    Rondò (Allegro)

     

    Il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra op. 37 segna un cambiamento nello stile di Beethoven che, staccandosi dai modelli tradizionali e sfruttando le potenzialità degli strumenti usati in quel periodo, inaugurò la fase romantica della forma del concerto in cui il solista intraprende quasi una gara con l’orchestra; ciò comportò, per il pianoforte, la perdita del suo caratteristico stile ornato e l’utilizzo di una maggiore robustezza che lo avrebbe trasformato in protagonista. Il Concerto, la cui composizione risale all’inizio del 1800, dedicato al principe Luigi Ferdinando di Prussia, fu eseguito per la prima volta a Vienna il 5 aprile 1803 con la direzione di Ignaz von Seyfried e con lo stesso Beethoven al pianoforte. Per questa Accademia, nella quale furono eseguite anche altre pagine beethoveniane e, in particolar modo, Cristo sul monte degli Ulivi, la Seconda e la Prima sinfonia, il compositore di Bonn decise di raddoppiare quando addirittura non triplicare i prezzi dei biglietti suscitando qualche commento malevolo sulla stampa locale. Nonostante le attese e i preparativi l'Accademia rischiò di saltare a causa del sabotaggio messo in atto dal Barone von Braun, impresario degli altri due maggiori teatri di Vienna.  Alla prima esecuzione Beethoven suonò quasi a memoria essendo la partitura incompleta, come apprendiamo da una dichiarazione dello stesso Seyfried, che quella sera voltò le pagine per lui:

    “Non vidi quasi niente, ma fogli vuoti; al più, su una pagina o un’altra geroglifici egiziani, interamente incomprensibili per me, erano scarabocchiati giù per servire come tracce per lui, per cui egli suonò quasi tutta la parte a memoria. Come avveniva spesso, egli non aveva avuto il tempo di metterla tutta giù sulla carta”.

    Il compositore provvide in un tempo molto breve alla stesura della parte pianistica che risultò di grande livello virtuosistico per l’epoca, come ci è testimoniato da quanto scrisse un recensore dell’«Allgemeine Musikalische Zeitung» a proposito dell’esecuzione del Concerto durante l’Accademia, tenuta all’Augarten di Vienna il 26 luglio 1804 con Ferdinand Ries al pianoforte:

    “Il signor Ries ha presentato un’esecuzione molto serrata ed espressiva, come pure un’abilità e una sicurezza rare nel superamento delle notevoli difficoltà”.

    Nonostante il periodo difficile che Beethoven stava vivendo, il Concerto presenta importanti aspetti innovativi tra cui le dimensioni molto ampie rispetto agli altri lavori del genere e il carattere romantico di alcuni temi dei quali il secondo del primo movimento spicca per il suo straordinario lirismo. Il primo movimento, Allegro con brio, si apre con una tradizionale lunga esposizione orchestrale che precede l’ingresso del solista impegnato sin dall’inizio a gareggiare con l’orchestra grazie a tre perentorie scale. Il primo tema, per il suo carattere solenne, non può non ricordare il tema principale dell’Eroica, mentre il secondo, in netto contrasto con il precedente, è di carattere cantabile e lirico. Questo primo movimento, la cui scrittura si richiama alla tradizione del concerto militare, ha un forte senso drammatico che raggiunge il suo culmine nella parte conclusiva con il dialogo fra pianoforte e timpani. Il secondo movimento, Largo, presenta un carattere contemplativo ottenuto con un ampio flusso melodico esposto dal pianoforte e ripreso dagli archi con sordina. La terza ed ultima parte del movimento è caratterizzata dal ritorno del clima iniziale in una scrittura più armonica che melodica. Il Rondò conclusivo, ad un ascolto superficiale, può apparire come un ritorno ad una scrittura più tradizionale, ma il tema iniziale, che si estende per otto misure, è uno dei più lunghi scritti da Beethoven in un Concerto per pianoforte e orchestra; alcune armonie dissonanti, collocate all’inizio del ritornello e apparse al pubblico contemporaneo particolarmente insolite, costituiscono un’ulteriore conferma della modernità di questo Concerto.

    Duration: 36'

    Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 (Eroica)

    Allegro con brio

    Marcia funebre (Adagio assai)

    Scherzo (Allegro vivace)

    Finale (Allegro molto)

     

    “Nello scrivere questa sinfonia Beethoven stava pensando a Buonaparte, ma Buonaparte mentre era primo console. In quel tempo Beethoven aveva la più alta stima per lui e lo paragonava ai più grandi consoli di Roma antica. Non solo io, ma molti degli amici più intimi di Beethoven, videro questa sinfonia sul suo tavolo, meravigliosamente copiata in manoscritto, con la parola «Buonaparte» scritta nella parte superiore del frontespizio e «Ludwig van Beethoven» nell’estremità più bassa […]. Io fui il primo a riferirgli le notizie che Buonaparte si era proclamato Imperatore dopo di che egli si adirò ed esclamò: «Così egli non è più un comune mortale! Ora, egli calpesterà tutti i diritti umani, indulgerà solo sulla sua ambizione; ora egli si crederà superiore a tutti gli uomini, diventerà un tiranno!». Beethoven andò al tavolo, afferrò la parte superiore del frontespizio, la strappò a metà e la gettò sul pavimento. La pagina dovette essere ricopiata e fu solo ora che la sinfonia prese il titolo di Sinfonia eroica”.

    Ferdinand Ries, allievo e biografo di Beethoven, descrive così la delusione del compositore nell’apprendere che Napoleone Bonaparte al quale inizialmente l’opera era stata dedicata, si era proclamato imperatore rinnegando di fatto i principi della Rivoluzione Francese e della ragione illuministica. Venuta meno ogni possibilità di una palingenesi politica e morale, nella quale l’avvento di Napoleone aveva fatto sperare, per Beethoven non ebbero più alcun senso né la dedica né il titolo originario Bonaparte, che fu modificato in Sinfonia eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grande uomo, come si legge  nell’edizione a stampa sia delle parti, la cui pubblicazione risale al 1806, sia della partitura di tre anni posteriore. Alla delusione per la situazione politica, inoltre, si erano aggiunti altri drammi personali: la sordità, che nel 1802 si era aggravata al punto tale da indurlo a meditare il suicidio, e l’amore non corrisposto per la contessa Giulietta Guicciardi, sua allieva di pianoforte, che nel 1803 aveva sposato il conte Gallemberg. Proprio a questo periodo così drammatico risalgono la stesura delle prime battute dell’Eroica, composta tra il 1802 e il 1804, e il commovente Testamento spirituale di Heiligenstadt redatto tra il 6 e il 10 ottobre del 1802, dove appaiono alcuni propositi suicidi. Per dare una forma musicale alla tempesta emotiva che stava sconvolgendo la sua vita, il compositore, non soddisfatto dei tradizionali schemi della forma-sonata, realizzò una struttura musicale estremamente complessa, in cui ogni movimento risulta ampliato in modo considerevole, i temi sono sottoposti ad uno sviluppo e ad un’elaborazione fuori dal comune, che testimonia un profondo travaglio interiore, e, infine, gli stati d’animo vengono rappresentati con icastica efficacia narrativa. Questa struttura complessa non sfuggì ai primi commentatori che alla prima esecuzione pubblica della sinfonia, avvenuta il 7 aprile 1805 al teatro An der Wien sotto la direzione dello stesso Beethoven, rimasero disorientati esprimendo il loro disappunto per non essere riusciti a cogliere nell’opera l’unità dell’insieme. In una recensione, apparsa su un giornale viennese, si legge:

    “Chi scrive è senz’altro uno degli ammiratori più sinceri di Beethoven, ma deve confessare di ritenere molte cose stridenti ed eccentriche tali da impedire di cogliere l’insieme, perdendo quasi totalmente il senso dell’unità”.

    A sua volta un corrispondente del giornale «Freymüthige» di Berlino scrisse:

    “Alcuni amici di Beethoven sostengono che proprio questa sinfonia è il suo capolavoro […]. Un’altra fazione nega invece che l’opera abbia qualsiasi valore artistico e sostiene di vederci solo l’indomito tentativo del compositore di essere originale, tentativo che però non è riuscito ad ottenere in nessuna delle sue parti né l’autentica bellezza né il sublime. Attraverso strane modulazioni e violente transizioni, combinando gli elementi più eterogenei – come quando, per esempio, un’ampia pastorale viene fatta a pezzi da contrabbassi, tre corni e così via –, si può ottenere senza troppi problemi una certa originalità non proprio desiderabile; ma il genio non afferma se stesso nell’insolito e nel fantasioso, bensì nel bello e nel sublime; e Beethoven stesso ha dimostrato questo assioma nei suoi lavori precedenti”.

    Anche il pubblico manifestò la sua contrarietà soprattutto per l’eccessiva lunghezza della sinfonia, al punto che, secondo un aneddoto alquanto verosimile, uno  spettatore dalla galleria del teatro gridò: Pago un altro kreutzer se questa roba finisce.

    Dallo studio dei numerosi abbozzi e appunti sembra che Beethoven abbia concepito la sinfonia dal Finale, in quanto l’idea tematica, sulla quale si basa la poderosa costruzione sinfonica, è costituita dallo scarno tema, quasi basso da passacaglia, già utilizzato nelle Variazioni op. 35 per pianoforte e nel balletto Le creature di Prometeo. Da questa idea tematica nasce, infatti, il primo tema del primo movimento, Allegro con brio, in cui alla riduzione della sezione introduttiva a due aforistici, quanto perentori accordi, si contrappone l’ampliamento della sezione di sviluppo, dove è introdotta una nuova idea tematica ampiamente elaborata nella lunga coda. In questo primo movimento l’elaborato sviluppo tematico sembra rappresentare perfettamente l’autoaffermazione dell’eroe che nella successiva Marcia funebre, equivalente laico della cattolica Messa da Requiem negli anni della Rivoluzione francese, sembra meditare serenamente sulla morte. Nella sezione centrale del movimento è introdotto un ampio fugato che conduce ad un punto culminante di straordinaria forza drammatica.

    Nello Scherzo, il cui carattere perentorio e impetuoso sembra ridonare una certa vitalità all’eroe, si afferma una scrittura formata da note staccate leggerissime, che sarebbe diventata quasi canonica anche nelle altre sinfonie. Il tema del Trio, affidato ai corni, con i suoi richiami a quello fondamentale dell’intera sinfonia, contribuisce a conferire all’opera quella profonda unità interna che era sfuggita ai primi commentatori.

    Il Finale è di difficile classificazione formale, dal momento che si presenta come una sintesi perfetta di varie forme musicali quali il Rondò, il tema e variazioni e la forma-sonata. Il tema, talmente scarno ed essenziale da avvicinarsi alla forma stringata dell’aforisma, si presenta arricchito dal punto di vista contrappuntistico ed è sottoposto ad un’elaborazione estremamente complessa che anticipa le opere successive del compositore di Bonn. Con questo Finale, che si conclude con una coda impetuosa e travolgente, l’eroe, quasi nuovo Prometeo, il semidio che nella mitologia classica salvò l’umanità, si afferma pienamente, dopo aver rivisto e definitivamente superato per un attimo alcuni fantasmi della Marcia funebre, in un tripudio di timbri e sonorità a cui partecipa l’intera orchestra.

     

    Riccardo Viagrande

    Duration: 52'