Bartok, Brahms
Gianna Fratta, direttrice
Nikolaj Szeps-Znaider, violino
RECUPERO CONCERTI 27/28 GENNAIO
Ciclo "Le piace Brahms?"
Recupero produzione n° 12
-
Programma
-
Béla Bartók
Nagyszentmiklós, 1881 - New York, 1945Danze popolari rumene per piccola orchestra BB 76, SZ 68
Jocul cu bâtă (Danza del bastone) - Energico e festoso
Brăul (Danza della fascia) - Allegro
Pe loc (Danza sul posto) - Andante
Buciumeana (Danza del corno) - Moderato
Poargă românească (Polka rumena) - Allegro
Măruntel (Danza veloce) - Allegro
Măruntel (Danza veloce) - Più allegro
“Lo studio di tutta questa musica contadina fu per me d’un’importanza capitale, perché essa mi ha condotto a comprendere in che modo potevo liberarmi totalmente dalla tirannia del sistema maggiore-minore che era stato in vigore fino ad allora. In effetti, in questo tesoro melodico ammassato nelle nostre raccolte, la parte più importante e preziosa si basa sui vecchi modi ecclesiastici o addirittura sui modi greci antichi o su altri ancor più primitivi (la scala pentatonica); e del resto questi canti costituiscono la testimonianza di una varietà e di una libertà incredibili nelle loro strutture ritmiche e nei cambiamenti di metro, sia nell’esecuzione del rubato che del tempo giusto”.
Così lo stesso Bartók in uno schizzo autobiografico del 1922 si espresse sulla grande tradizione musicale popolare ungherese, rumena, slovacca e dell'Anatolia che ha costituito una delle fonti d’ispirazione della sua produzione. Un famosissimo esempio è costituito dalle Danze popolari rumene che, composte originariamente per pianoforte nel 1915 e arrangiate per piccola orchestra nel 1917, in questa versione furono eseguite per la prima volta l’11 febbraio 1918 a Budapest conseguendo immediatamente una grande popolarità testimoniata dai tantissimi arrangiamenti realizzati di cui uno soltanto, per violino e pianoforte ad opera di Zoltán Székely, fu approvato dal compositore. Fonte d’ispirazione sono alcuni temi, raccolti da Bartók in Transilvania tra il 1910 e il 1912, di arie, originariamente eseguite con il violino o con il flauto, alla cui struttura melodica e ritmica il compositore si attenne scrupolosamente, intervenendo sull'armonia che, completamente assente negli originali, è qui trattata secondo principi modali. Il tema della prima danza (Danza del bastone), secondo quanto affermato dal compositore, è tratto da una melodia per due violini del villaggio di Mezŏszabad (distretto di Maros-Torda), che, nella versione orchestrale, è affidata ai primi violini e ai clarinetti, mentre gli altri archi eseguono gli accordi in modo pesante come accade negli ensemble dei villaggi. La seconda danza, chiamata Brăul, nella quale veniva utilizzata una fascia o una cintura, si basa su un tema originario della città di Egres nel distretto di Tarontàl. Il tema, staccato, è affidato inizialmente al clarinetto che, poi, viene raddoppiato dai primi violini. Proveniente da Egres è anche il tema della terza danza, Pe loc (Danza sul posto), nella quale, l'uomo e la donna, immobili, si tengono rispettivamente per la vita e per le spalle. In questo caso il tema è esposto da un ottavino su un tappeto armonico al quale partecipano anche i clarinetti con dei bicordi. Originario di Bisztra del distretto di Torda-Aranyos, nella regione storica della Transilvania, è il lirico e malinconico tema della quarta danza, Buciumeana (Danza del corno). Ad eseguirlo è inizialmente un violino solista che, dopo, cede il testimone agli archi e ai flauti. Proveniente da Belényes, municipio ubicato nel distretto di Binar, è invece il tema della quinta danza, Poargă românească (Polka rumena), una pagina vivace e quasi un po' rude soprattutto nell'accompagnamento. Di Belényes e di Nyágra (distretto di Torda-Aranyos) sono originari rispettivamente i temi dei due conclusivi Măruntel, danze vivaci nelle quali gli uomini girano attorno alle donne che, immobili, sembrano ignorarli.
Durata: 7'
Johannes Brahms
Amburgo, 1833 - Vienna, 1897Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77
Allegro non troppo
Adagio
Allegro giocoso, ma non troppo vivace
Nell’estate del 1878 Brahms, di ritorno dall’Italia, si fermò nel villaggio di Pörtschach, in Carinzia, con l’intenzione di raggiungere presto Vienna, ma, attratto dalla bellezza e dalla serenità di quel luogo, vi restò più a lungo, come egli stesso ebbe modo di scrivere all’amico Billroth:
“Mi sono fermato in questo paese al ritorno dall’Italia, con l’intenzione di proseguire per Vienna. Ma il primo giorno è stato così bello che ho deciso di fermarmi anche il secondo; il secondo così bello che ho deciso di rimanere il terzo, e così via. Montagne bianche di neve, il lago azzurro, gli alberi ricoperti di un verde tenero, nessuno potrebbe darmi torto”.
È in questa splendida cornice che egli meditò di comporre un nuovo lavoro, come si evince dal fatto che egli chiese che gli fosse spedita da Vienna molta carta da musica e in un lettera al critico Hanslick scrisse: «In questo villaggio vagano così tante melodie che si deve stare attenti a non calpestarle». Nacque così il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 che, composto in brevissimo tempo e completato nel mese di agosto, fu sottoposto da Brahms, mai soddisfatto, a ritocchi che lo impegnarono fino al mese di novembre. Pur essendo innamorato del violino, egli non aveva una perfetta competenza tecnica, e, per questo motivo, si rivolse al suo amico, il violinista Joachim, per alcune consulenze. Nonostante i consigli di Joachim, che eseguì il Concerto per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia il 1° gennaio del 1879, questo lavoro non fu subito compreso dal pubblico e dagli stessi musicisti che lo giudicarono, in certi passi, ineseguibile. Emblematiche furono anche alcune stroncature che, tuttavia, misero in evidenza il carattere innovativo del Concerto, non ancora del tutto comprensibile né al pubblico né alla critica dell’epoca. Il Concerto fu definito, infatti, ora una Sinfonia con violino obbligato, ora un Concerto contro il violino secondo quanto affermato da Bülow, ora un Concerto tra violino e orchestra, in cui alla fine vince l’orchestra. Soltanto nel Novecento il Concerto fu rivalutato e considerato un capolavoro del repertorio violinistico paragonabile ai lavori di Beethoven, di Mendelssohn e di Čajkovskij.
Anche il Concerto per violino e orchestra, come i due per pianoforte, presenta un’impostazione sinfonica dalle proporzioni monumentali. Il primo movimento, Allegro non troppo, in forma-sonata, mostra sin dalle prime battute il suo carattere sinfonico con tre temi, dei quali il primo presenta toni di accentuato lirismo e di grande cantabilità. Ad esso si contrappone l’entrata del violino solista che si impone per una scrittura idonea ad esaltare le caratteristiche tecniche dello strumento. La scrittura sinfonica del primo movimento raggiunge il suo punto culminante nello sviluppo dove i temi sono sottoposti ad un’elaborazione molto complessa. Un’impostazione classica presenta il secondo movimento, Adagio, la cui struttura formale tripartita è riassumibile nello schema A-B-A. Suggestiva e poetica è la melodia d’apertura, di carattere pastorale, che, secondo Max Bruch, deriva da una vecchia canzone boema. Affidata all’oboe, questa melodia ha dato adito anche alla celebre quanto maligna battuta di Pablo de Sarasate che affermò:
“Non posso negare che si tratti di buona musica. Ma non potete certo pensare che io sia così privo di buon senso da salire sul palco, con il violino in mano, per ascoltare un oboe che nell’Adagio esegue l’unica melodia di tutto il Concerto!”
Un intenso lirismo informa la sezione centrale, mentre nella conclusione si affermano toni soffusi grazie al timbro dolce dei fiati. Di grande respiro sinfonico è il Finale con il solista, che introduce un tema di carattere tzigano eroico e rude al tempo stesso che, molto probabilmente, sarebbe stato apprezzato da Haydn. Vivace e marcato è anche il secondo tema, mentre il terzo è estremamente dolce e melodico. Tutto il movimento è un brillante Rondò nel quale il solista può mettere in evidenza le sue doti tecniche.
Durata: 37'
Béla Bartók
Nagyszentmiklós, 1881 - New York, 1945Concerto per orchestra Sz 116
Introduzione: Andante non troppo, Allegro vivace
Gioco delle coppie: Allegretto scherzando
Elegia: Andante non troppo
Intermezzo interrotto: Allegretto
Finale: Pesante
Il 4 maggio 1943 Serge Koussevitzkij, direttore della Boston Symphony Orchestra, scrisse a Bartók:
“Sono felice di informarla che la Fondazione musicale Koussevitzkij ha autorizzato una concessione di 1000 dollari da offrirle con l’accordo che lei componga un’opera per orchestra. In relazione alla concessione la Fondazione richiede che la composizione sia dedicata alla memoria di Natalie Koussevitzkij e che il manoscritto, dopo l’impiego ai fini della pubblicazione, sia depositato presso i suoi locali. La concessione sarà così ripartita: 500 dollari all’accettazione della commissione e 500 al completamento del manoscritto”.
Bartók, già malato di quella leucemia che lo avrebbe condotto alla morte e temendo di non riuscire a far fronte all'impegno, inizialmente si mostrò restio ad accettare la commissione di Koussevitzkij che, da parte sua, decise di forzare la mano facendogli sapere che la Fondazione non poteva più tornare indietro e che lo avrebbe pagato anche nel caso in cui non avesse portato a termine la partitura. Trasferitosi a Saranac Lake, Bartók lavorò intensamente per tutta l’estate tanto da completare la stesura della partitura l’8 ottobre. Nel frattempo la malattia aveva lasciato, il 28 settembre, al compositore un momento di respiro che egli attribuì allo slancio creativo che aveva profuso nella composizione del Concerto per orchestra, come si evince da un lettera indirizzata al figlio Péter:
"Non so se c'è un rapporto tra [la commissione del Concerto] e il miglioramento della mia salute, ma in ogni caso io sono occupatissimo. Dedico ad esso la parte più importante delle mie giornate. È un'opera di grandi dimensioni: cinque movimenti. Ma i primi quattro sono già terminati. Al momento, ho qualche problema con l'ultimo; per diverse ragioni, è il più difficile. In una cosa come questa, c'è sempre una miriade di dettagli che preoccupano, ma è molto meno di quando si scrive un'opera scientifica. Mi piacerebbe finirlo qui".
Il 1° dicembre 1944 Koussevitzkij diresse a Boston il Concerto per orchestra dando una delle ultime gioie professionali a Bartók che, entusiasta per l'esecuzione, scrisse a Whilhelmine Creel, il 17 dicembre 1944:
"L'esecuzione fu eccellente. Koussevitzkij è molto entusiasta di questo pezzo e dice che «è il migliore pezzo orchestrale degli ultimi 25 anni» (ivi comprese le opere del suo idolo Šostakovič!). Alla fine è la sua opinione personale".
Il Concerto, che, eseguito il 10 gennaio 1945 alla Carnegie Hall di New York con grande successo, in Europa apparve postumo al Festival SIMC di Londra nel mese di luglio del 1946, fu spesso adattato a balletto da vari coreografi tra cui Milloss che ne fece una versione dal titolo La soglia del tempo rappresentata all’Opera di Roma nel febbraio 1951 dopo il fallimento di un progetto precedente. Si sa, infatti, che Bartók, dopo aver completato la partitura, la diede in visione a Antál Doráti in presenza di Hans Heinscheimer, agente di Boosey, che nel mese di gennaio 1944 comunicò a Bartók la decisione dell’American Ballet Theatre di produrre per la fine dell’anno una versione coreografica del balletto. Bartók, in pochi giorni, fece una riduzione pianistica del Concerto, ma il progetto fallì.
La particolarità del Concerto risiede nell’assenza di uno strumento solista e nell’uso originale degli strumenti dell’orchestra, come lo stesso compositore ebbe modo di spiegare nelle note di presentazione nelle quali si legge:
“Il complessivo assunto espressivo del lavoro presenta, se si prescinde dallo scherzoso secondo movimento, una graduale transizione dalla severità del primo tempo e dal lugubre canto di morte del terzo, all’affermazione di vita dell’ultimo. […] Il titolo di questo lavoro orchestrale simile a una sinfonia è spiegato dalla tendenza a trattare ogni singolo strumento dell’orchestra in modo concertante o solistico. Il trattamento virtuosistico appare per esempio nelle sezioni fugate dello sviluppo della prima parte (realizzato dagli ottoni) o nei passaggi in guisa di “perpetuum mobile” del tema principale che gli archi espongono nell’ultimo movimento, e soprattutto nel secondo movimento in cui coppie di strumenti si presentano con brillanti passi”.
Dal punto di vista formale il Concerto, nel quale confluirono anche pagine composte da Bartók in precedenza per un balletto, si articola in cinque movimenti secondo lo schema a ponte gravitante attorno al movimento centrale, Elegia: Andante non troppo, nel quale appaiono elementi tematici che, tratti dal repertorio popolare ungherese, si distendono in una scrittura di grande intensità lirica. Attorno a questo movimento è strutturato l’intero Concerto con una fitta rete di corrispondenze e richiami sia formali che tematici intercorrenti tra gli altri movimenti.
Il primo movimento (Introduzione: Andante non troppo, Allegro vivace), in forma-sonata, si apre con un lungo Andante non troppo di 75 battute che funge da lento preludio, a cui segue un crescendo ostinato che porta alla vera e propria esposizione, Allegro vivace. Al primo tema, costituito da una rielaborazione di una cellula tematica di tre battute, è correlato il secondo, esposto dal trombone che trae il suo materiale melodico dal primo. Di carattere contrastante è una terza idea tematica affidata all’oboe che, accompagnato dagli archi, gioca su due note. Nello sviluppo vengono rielaborati il primo e il secondo tema sul quale si basa una fanfara in fugato. Nella ripresa i temi appaiono in un ordine diverso rispetto all’esposizione con il terzo a cui seguono il primo e il secondo. Il secondo movimento (Gioco delle coppie: Allegretto scherzando), in cui si esibiscono coppie di strumenti a fiato, ebbe come titolo originario Gioco della coppie, modificato poi in Presentando le coppie, titolo che consisteva nella traduzione letterale della denominazione ungherese Páros gemutato, in seguito abbandonata a favore di quello originario. Interessante è la descrizione che Bartók fece di questo movimento:
“Consiste in una catena di corte sezioni indipendenti in cui gli strumenti a fiato sono introdotti consecutivamente in cinque paia (fagotti, oboi, clarinetti, flauti e trombe con sordino). Dal punto di vista tematico le cinque sezioni non hanno nulla in comune. Segue una specie di Trio – un breve corale per ottoni e tamburo – dopo il quale le cinque sezioni sono riprese con strumentazione più elaborata”.
Dopo un intervento del tamburo, la prima coppia protagonista è quella dei fagotti che eseguono un motivo popolaresco in seste parallele. A questa coppia segue quella degli oboi con il loro motivo ciarliero in terze parallele. Dopo un breve intervento dei contrabbassi interviene la coppia dei clarinetti che intonano un motivo lamentoso in settime minori parallele e, dopo un altro intervento dei contrabbassi, la coppia dei flauti esegue una melodia per quinte parallele. Infine interviene la coppia di trombe con sordino che eseguono una frase ironica invertita e frammentata. Dopo un Trio scritto nella forma del corale ritornano le coppie nello stesso ordine che, per rendere più divertente il gioco, o sono arricchite con l’aggiunta di qualche strumento o sono mescolate ad altri. Ai due fagotti, per esempio, se ne aggiunge un terzo che li sostiene contrappuntisticamente, mentre agli oboi fanno eco le terze in imitazione dei clarinetti. La conclusione è una cadenza in cui tutti gli strumenti sono combinati dando vita ad un unico accordo costruito con i rapporti intervallari che hanno caratterizzato ciascuna coppia. Anche per il terzo movimento, Elegia, sono importanti i chiarimenti dati da Bartók che scrisse:
“La struttura del terzo movimento è a catena, tre temi vi appaiono in successione. Essi costituiscono il cuore del movimento, che è inframmezzato da una nebbiosa tessitura di motivi rudimentali. Gran parte del materiale tematico deriva dall’introduzione al primo movimento”.
Elementi del folklore magiaro, presenti anche in questo movimento, sono evidenti nei tre temi, dei quali il primo è esposto dai violini, mentre il secondo è un motivo contadino affidato inizialmente alle viole e poi ripreso dai legni. Il movimento si chiude quasi in modo mahleriano con una scrittura che vede protagonisti i flauti in una forma di dissolvenza. Nel quarto movimento (Intermezzo interrotto: Allegretto), Bartók attuò una parodia della Sinfonia n. 7 di Šostakovič introducendo un motivo sul tema del primo movimento della suddetta sinfonia. Il movimento è costituito da una successione di episodi musicali e inizia con una melodia affidata alla viola, una serenata cantata da un giovane idealista alla sua amata, ma la melodia è ben presto interrotta da una banda che rappresenta il brutale attacco di alcuni ubriaconi ai danni del giovane idealista il quale cerca d’intonare ancora la sua serenata con lo strumento rovinato, per cui può solo accennare a degli spezzoni. La struttura è costituita da una mescolanza di forma ad arco e di rondò secondo lo schema A-B-A-Interruzione-B-A. Della sezione iniziale protagonista è l’oboe che introduce e poi chiude un fragile tema basato sul tritono e sviluppato dai fagotti. Segue un Trio costruito su una nostalgica melodia della viola ripetuta da violini e corno inglese a cui segue la ripresa del tema della sezione iniziale da parte dell’oboe. Questo discorso musicale si interrompe grazie ai contrabbassi che si producono in disegni che si trasformano metricamente e subito dopo il clarinetto esegue il tema di Šostakovič. Dopo volgarità e rumori, l’atmosfera iniziale viene ripristinata con la ripresa dei temi principali. Il Finale, Pesante, secondo la descrizione di Bartók, si presenta come una “più o meno regolare forma-sonata… la cui esposizione è alquanto estesa e il cui sviluppo consiste in una fuga costruita sull’ultimo tema dell’esposizione”.
Esso rappresenta perfettamente la volontà di Bartók di affermare il carattere energico del popolo ungherese grazie ad una straordinaria irruenza vitalistica. Nell’esposizione Bartók presenta tre temi dei quali il primo è esposto dai violini, il secondo dagli archi e il terzo si produce in una trionfante fanfara. La fuga, che corrisponde alla sezione centrale di sviluppo, è costruita interamente su questo tema in una scrittura ingegnosa, mentre nella ripresa i tre temi ritornano nello stesso ordine.
Durata: 38'