Dvořák/Dukas/ Nielsen

GIAMPAOLO BISANTI direttore

  • Place

  • Politeama Garibaldi - Palermo

  • Day

    Time

    Duration

    Price

     

  • Giorno

    Saturday
    22 November 2025

    Ore

    17,30

    Durata

    90min.

    Prezzi

    - €

    Calendario

  • Programma

  • Antonín Dvořák
    Nelahozeves 1841 - Praga 1904

    L’arcolaio d’oro (Zlaty kolovrat) op. 109, B. 197

    Appassionato lettore, sin da giovane, della raccolta di ballate popolari, Kytice z pověstí národních (Un bouquet di leggende popolari) del poeta e folclorista ceco Karel Jaromír Erben, Antonín Dvořák aveva trovato in essa una fonte d’ispirazione, tanto che, nel 1871, già aveva messo in musica, per voce e pianoforte, la ballata Sirotek (L’orfano). Mai sopito, l’interesse per il mondo poetico di Erben, nel quale Dvořák vedeva la forma più compiuta e perfetta dell’espressione popolare, tornò a farsi vivo nella mente del compositore, prima della sua partenza per gli Stati Uniti, quando incominciò a pensare a una cantata sulla ballata Zlaty kolovrat (L’arcolaio d’oro), arrivando anche a notare alcuni temi in un suo quaderno di appunti. Fu, però, solo nel 1896, anno di svolta nella sua produzione musicale, nella quale, anche sotto l’influenza di Brahms, Dvořák fino a quel momento aveva ottenuto eccellenti risultati con lavori di musica pura, che le ballate di Erben costituirono per lui una fonte concreta d’ispirazione. Risale al 1896, infatti, una sua forma di “conversione” alla musica a programma con la composizione dei poemi sinfonici Vodník (Il folletto dell'acqua), Polednice (La strega di mezzogiorno), Holoubek (La colomba selvatica) e Zlatý kolovrat (L’arcolaio d’oro), tutti ispirati dalle ballate di Erben.

    Composto tra il mese di gennaio e l’aprile del 1896 ed eseguito, per la prima volta, il 3 giugno 1896 presso il Conservatorio di Praga sotto la direzione di Antonín Bennewitz, questo poema sinfonico si basa su una lirica di una sessantina di strofe il cui soggetto ricorda quello della fiaba Cenerentola. Come nella celebre fiaba, c’è, infatti, un re, il cui ingresso, all’inizio, è evocato con un ritmo marziale. Questi, subito dopo, incontra la giovane Dornička, la cui bellezza trova la sua traduzione musicale in un delicatissimo assolo del violino, mentre i clarinetti, in un clima bucolico, rendono musicalmente il suo arcolaio. Il re se ne innamora e in uno slancio di passione, reso da una melodia di intenso lirismo degli archi, le dichiara il suo amore, mentre Dornička continua a lavorare al suo arcolaio, evocato sempre dai clarinetti. Il re, il quale, nel frattempo, ha saputo che Dornička vive in una casetta insieme con la matrigna e la sorellastra, va via per ritornare più tardi per vedere la sua fidanzata. Accompagnato da una ricapitolazione dei temi fin qui ascoltati, il re, ritornato, ordina alla matrigna di condurre la sua fidanzata al castello. La donna, le cui cattive intenzioni sono rivelate da un misterioso intervento dei violoncelli e dei contrabbassi, si mette in marcia e, nella foresta, durante il viaggio, realizzato musicalmente con uno Scherzo, uccide Dornička, alla quale vengono tagliati piedi e mani e cavati gli occhi, mentre il corpo viene lasciato nel luogo del delitto. Giunta al castello, la matrigna spaccia per Dornička l’altra sua figlia che il re, ingannato, finisce per sposare in una celebrazione solenne anche musicalmente che prelude a una polka con nuovi slanci di passione che, però, si affievoliscono quando squilli di trombe e di tromboni richiamano il re alla guerra. Nella sezione successiva, sonorità scure, realizzate con un corale degli ottoni di wagneriana memoria, introducono la macabra scoperta del corpo mutilato di Dornička, fatta da un anziano mago che manda al castello, per tre volte di seguito, suo figlio, per reclamare le parti del corpo della ragazza, offrendo in cambio dei piedi, delle mani e degli occhi rispettivamente un arcolaio, una conocchia e un fuso tutti d’oro. Tutto questo passo è reso musicalmente da Dvořák da un discorso frammentato nel quale vengono mescolati, come in una magica alchimia, i temi già esposti. Accompagnato da una bella melodia del violino, il mago risuscita finalmente Dornička, e, nel frattempo, ritornato dalla guerra, il re, che viene festeggiato da fanfare, sente dall’arcolaio d’oro la tragica storia dell’amata. Si mette, allora, a cercala, e, dopo averla trovata nella foresta, la conduce al castello, mentre in orchestra ritornano i temi collegati al loro incontro. La matrigna e la sorellastra, al contrario, vengono condotte nella foresta, dove sono divorate dai lupi, mentre, attraverso la ripresa dei temi iniziali associati al re e al Dornička, viene celebrata la definitiva riunione della coppia.

    Duration: 28'

    Paul Dukas
    Parigi 1865 - Parigi 1935

    L’apprenti sorcier (L’apprendista stregone), scherzo sinfonico

    Eseguito per la prima volta alla Société Nationale di Parigi il 18 maggio 1897 sotto la direzione dell’autore, L’apprenti sorcier  rivelò il trentaduenne Paul Dukas al panorama musicale dell’epoca e al pubblico francese che aveva accolto freddamente le prime esecuzioni di sue precedenti opere tra le quali una Sinfonia in do. Quest’ultima, eseguita pochi mesi prima il 3 gennaio dello stesso anno, era stata anche stroncata dai critici contemporanei tra cui quello dell’autorevole periodico musicale francese «Le Ménestrel» (ann. 63, n. 3, 17 gennaio 1897, p. 21) che non aveva esitato a giudicare severamente sia questo lavoro sia il suo autore, come si legge nella sua recensione: “Il primo concerto dell’Opéra si apriva con un’opera importante, una Sinfonia in do in tre movimenti, nella forma classica, del signor Paul Dukas. Il signor Dukas, vecchio grand prix de Rome, è un artista modesto, che fa modestamente critica musicale in certe riviste […] senza stroncare i suoi maestri e condiscepoli. Avrei, da parte mia, il più grande piacere di dire sulla sua opera tutto il bene possibile, ma trovo che essa pecchi soprattutto, e in modo gravissimo, di ispirazione; i temi mancano assolutamente di sapore, e nessuno di essi si impone all’attenzione”.        

    In quegli anni, Dukas aveva condotto, infatti, una vita oscura di critico musicale alla quale lo aveva sottratto Saint-Saëns che, avendone compreso il talento, lo aveva invitato a orchestrare l’opera Frédégonde di Ernest Guiraud, lasciata incompiuta dal suo autore e completata, nelle parti mancanti, proprio da Saint-Saëns. La sera del 18 maggio 1897 la carriera musicale di Dukas ebbe una svolta notevole. Il pubblico apprezzò immediatamente il suo Apprenti sorcier e poco importa se quella stessa critica, tanto solerte nello stroncare la Sinfonia in do, non si accorse di questo suo capolavoro che gli diede fama e popolarità. Il successo di questo lavoro fu tale, infatti, che nel 1940 la Walt Disney decise di utilizzarlo come colonna sonora per il suo cartone animato Fantasia.

    L’apprenti sorcier, formalmente uno scherzo sinfonico, si ispira all’omonima ballata di Goethe, Das Zauberlehrling (L’apprendista stregone), scritta nel 1797 proprio un secolo prima. Protagonista è un giovane studente di magia, il quale, in assenza del mago, suo maestro, scatena incautamente le forze occulte da cui viene sopraffatto fino a quando lo stregone, appena ritornato, riconduce tutto alla calma non senza aver punito il suo incauto discepolo con una buona frustata. Nella breve introduzione lenta, che evoca il carattere magico e al tempo stesso misterioso della scena, appaiono quattro temi che alludono alla magia, all’acqua utilizzata per l’incantesimo, allo stregone (tromba con sordina) e all’apprendista stregone che fa una fugace apparizione. Dopo il colpo di timpani, con il quale si conclude l’introduzione, inizia la vera e propria esposizione con il celeberrimo e brillante tema del manico di scopa sottoposto a una serie di metamorfosi che alludono ai vari stadi dell’incantesimo. Questo, progressivamente, sfugge di mano all’apprendista il quale a un certo punto spezza la scopa in due senza sortire alcun effetto positivo. Alla fine ritorna lo stregone e riporta la calma mentre l’orchestra si concede un ultimo perentorio guizzo.

    Duration: 13'

    Carl August Nielsen
    Sortelung 1865 - Copenaghen 1931

    Sinfonia n. 4 op. 29 “L’inestinguibile” (prima esecuzione a Palermo)

    Allegro-Poco allegretto-Poco adagio, quasi andante-Allegro

     

    Considerato, insieme a Niels Gade, il maggiore esponente della scuola nazionale danese, Carl August Nielsen lavorò come violinista nell’orchestra di corte e fu direttore d’orchestra presso il Teatro Reale, oltreché direttore del Conservatorio di Copenaghen. Come il suo connazionale Gade, anche Nielsen si ispirò alla tradizione musicale della sua nazione, ma si distinse per un linguaggio musicale del tutto personale che non disdegnò le influenze delle correnti musicali europee a lui contemporanee, nei confronti delle quali ebbe, comunque, un atteggiamento piuttosto ambiguo. A tale proposito, lo stesso Nielsen affermò, infatti, in una lettera indirizzata nel 1909 al compositore olandese Julius Röntgen: “Sono sorpreso dalle abilità tecniche dei tedeschi di oggi e non posso fare a meno di pensare che tutto questo piacere per la complicazione debba esaurirsi. Prevedo un'arte completamente nuova di pura virtù arcaica. Cosa ne pensi dei canti cantati all’unisono? Dobbiamo tornare ... alla purezza e al chiarezza".

    Notevole è la sua produzione, all’interno della quale spiccano concerti, lavori sinfonici, 4 quartetti per archi, 2 opere, Saul e Davide e Mascherata, che è stata inserita nel 2006 in una lista stilata dal Ministero della Cultura danese tra le 12 opere danesi musicali danesi, e ben 6 sinfonie che sono le opere di Nielsen maggiormente conosciute ed eseguite fuori dalla Danimarca. Nella suddetta speciale lista figura anche Sinfonia n.4, op. 29 “L’inestinguibile”, la cui prima idea incominciò a maturare nella mente del compositore nel mese di maggio del 1914, come si evince da quanto da lui stesso affermato in una lettera indirizzata alla moglie: “Ho un'idea per un nuovo lavoro che non ha un programma, ma che vuole esprimere ciò che intendiamo per impulso vitale o espressione vitale — cioè, tutto ciò che si muove, che ha la volontà di vita, che non può essere definito né cattivo né buono, alto o basso, grande o piccolo, ma semplicemente ‘Ciò che è vita’ o ‘Ciò che ha la volontà di vita’ — capisci, nessuna idea particolare di nulla di ‘magnifico’ o di qualsiasi cosa di ‘fine e delicato’ o caldo o freddo (violento forse) ma solo vita e movimento, eppure diverso, molto diverso, ma in un contesto, e in un certo senso in un costante flusso, in un grande movimento in un unico flusso. Devo avere una parola o un breve titolo che esprima ciò; basterà. Non riesco a spiegare correttamente quello che voglio, ma quello che voglio è buono. Sento tutto scorrere dentro di me quando ci penso, ma le parole non possono davvero fare niente qui”.

    Composta tra il 1914 e il 1916 ed eseguita per la prima volta il 1° febbraio 1916, la Sinfonia n. 4 esprime, effettivamente, la volontà di vivere, come lo stesso Nielsen affermò nel programma di sala della prima esecuzione, nella quale chiarì anche il significato del titolo: “Con il titolo “L’inestinguibile” il compositore ha provato a spiegare con una parola ciò che soltanto la musica stessa può spiegare: la volontà elementare della vita. Di fronte a un compito come questo — esprimere la vita in modo astratto, dove le altre arti restano senza risorse, costrette a percorrere strade tortuose, ad estrarre, a simboleggiare – lì e solo lì la musica è di casa nella sua regione primordiale, a suo agio nel suo elemento, semplicemente perché solo essendo se stessa ha svolto il suo compito. Perché è la vita lì, dove gli altri rappresentano e scrivono solo della vita. La vita è indomabile e inestinguibile; la lotta, il combattimento, la generazione e il deperimento proseguono oggi come ieri, domani come oggi, e tutto ritorna. Ancora una volta: la musica è vita, e come essa inestinguibile. Per questo motivo la parola che il compositore ha posto sopra la sua opera potrebbe sembrare superflua; tuttavia, l'ha usata per sottolineare il carattere strettamente musicale del suo compito. Nessun programma, ma un segnale nel dominio della musica”.

    A livello macroformale, la sinfonia è strutturata in unico grande movimento, diviso, però, in quattro grandi sezioni, riconducibili ai quattro movimenti tradizionali, che vengono eseguiti senza soluzione di continuità. Nella sinfonia trova spazio l’orrore per la devastazione della Prima Guerra Mondiale rappresentato sia con lo scontro di gruppi tematici sia con la loro frantumazione sia con la scelta di introdurre nel Finale due coppie di timpani, collocati gli uni a destra e gli altri a sinistra davanti all’orchestra, ai quali è demandato il compito di mantenere fino alla fine un certo tono minaccioso, anche quando suonano piano. La sinfonia si apre con un Allegro, che si basa sullo scontro di due gruppi tematici dei quali il primo, tumultuoso, si svolge nelle tonalità di Do e di Re, mentre il secondo, intonato dai clarinetti e ripreso dagli archi, è di carattere sereno in La maggiore. Il secondo “movimento”, Poco Allegretto, è un vero e proprio intermezzo dalla grazia settecentesca, nel quale l’orchestra, all’interno della quale dominano le sonorità dei legni, sembra evocare la bellezza della natura, mentre il terzo, Poco adagio, quasi andante, si apre con un tema cantilenante esposto dai violini all’unisono che dà vita ad un climax in cui la tensione aumenta per preparare l’Allegro finale, nel quale ritorna il clima di scontro del primo, accentuato dalla presenza delle due suddette coppie di timpani. Alla fine un tema più sereno conclude la sinfonia, riaffermando, così, l’elementare volontà di vita dell’uomo.

     

    Riccardo Viagrande

    Duration: 36'