Bartók/Kodály
Alfred Eschwe, direttore
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Programma
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Béla Bartók
Nagyszentmiklós, 1881 - New York, 1945Quadri ungheresi (Magyar képek) Sz. 97
Una sera a Skékelys
Danza dell’orso
Melodia
Un po’ ubriaco
Danza dei porcari di Urög
La raccolta Quadri ungheresi Sz. 97 è una Suite derivata dalla trascrizione per orchestra di cinque pezzi pianistici composti tra il 1908 e il 1911, ma non appartenenti a un unico ciclo. I primi due brani corrispondono, infatti, al quinto e al decimo dei Dieci pezzi facili Sz. 39, il terzo, il cui titolo fu mutato in Melodia, al secondo movimento dei Quattro canti funebri op. 9a Sz. 95, il quarto alla seconda delle Tre burlesques op. 8c Sz. 47, mentre il quinto, con il nuovo titolo Danza dei porcari di Urög, fu tratto da Bartók dal secondo dei quattro volumi Per bambini Sz. 42. Bartók lavorò alla trascrizione nel mese di agosto del 1931 a Mondsche nel Salzkammergut e il 15 agosto in una lettera indirizzata alla madre spiegò i motivi di tale decisione:
“Ho orchestrato Sera a Skékelys, La danza dell’orso, Un po’ ubriaco, uno dei Canti funebri e un altro pezzo breve. Ne ho ricavato una piccola suite per orchestra che mi frutta del denaro. È proprio il genere di cosa che viene eseguita in considerazione della sua piacevolezza e semplicità – e inoltre proviene da un ‘noto’ compositore”.
La Suite, senza il quarto pezzo, fu eseguita, per la prima volta, a Budapest il 25 gennaio 1932 in un concerto diretto da Massimo Freccia e, nella sua versione integrale, sempre nella capitale ungherese, il 26 novembre 1934 sotto la direzione di Heinrich Laber.
Dal punto di vista strutturale, l’opera è costituita da un movimento centrale lento, il terzo brano, attorno al quale ruotano due scherzi, Danza dell’orso e Un po’ ubriaco, mentre gli altri due brani, il primo e il quinto, in cui è molto presente il folklore, fungono da cornici.
Nel primo brano, Una sera a Skékelys, formalmente un Lied allargato la cui struttura è riassumibile nello schema A-B-A-B-A, un tema malinconico e un altro danzante, affidato al flauto, si alternano evocando, con una certa nostalgia, una sera felice in un villaggio della Transilvania. Un’atmosfera diversa contraddistingue il secondo brano, formalmente uno Scherzo, che si configura come una “barbarica” Danza dell’orso nella quale un episodio, reso estremamente ruvido anche dai timbri del controfagotto, della tuba e delle percussioni, viene ripetuto per ben cinque volte roteando attorno all’asse tonale di re. Di carattere intimistico è Melodia (Andante), il brano centrale, nel quale il tema pentatonico appare impreziosito da una raffinata ricerca timbrica. Grottesco è invece il quarto pezzo, Un po’ ubriaco, caratterizzato da frequenti cambi di ritmo e da un tema costruito per salti di quarta, mentre nell’ultimo pezzo, Danza dei porcari di Urög, viene utilizzato da Bartók un tema popolare che chiude la raccolta in un’atmosfera danzante ottenuta con una scrittura orchestrale particolarmente raffinata.
Duration: 11'
Béla Bartók
Nagyszentmiklós, 1881 - New York, 1945Concerto per orchestra Sz. 116
Introduzione: Andante non troppo, Allegro vivace
Gioco delle coppie: Allegretto scherzando
Elegia: Andante non troppo
Intermezzo interrotto: Allegretto
Finale: Pesante
Il 4 maggio 1943 Serge Koussevitzkij, direttore della Boston Symphony Orchestra, scrisse a Bartók:
“Sono felice di informarla che la Fondazione musicale Koussevitzkij ha autorizzato una concessione di 1000 dollari da offrirle con l’accordo che lei componga un’opera per orchestra. In relazione alla concessione la Fondazione richiede che la composizione sia dedicata alla memoria di Natalie Koussevitzkij e che il manoscritto, dopo l’impiego ai fini della pubblicazione, sia depositato presso i suoi locali. La concessione sarà così ripartita: 500 dollari all’accettazione della commissione e 500 al completamento del manoscritto”.
Bartók, già malato di quella leucemia che lo avrebbe condotto alla morte e temendo di non riuscire a far fronte all’impegno, inizialmente si mostrò restio ad accettare la commissione di Koussevitzkij che, da parte sua, decise di forzare la mano facendogli sapere che la Fondazione non poteva più tornare indietro e che lo avrebbe pagato anche nel caso in cui non avesse portato a termine la partitura. Trasferitosi a Saranac Lake, Bartók lavorò intensamente per tutta l’estate tanto da completare la stesura della partitura l’8 ottobre. Nel frattempo la malattia aveva lasciato, il 28 settembre, al compositore un momento di respiro che egli attribuì allo slancio creativo che aveva profuso nella composizione del Concerto per orchestra, come si evince da una lettera indirizzata al figlio Péter:
“Non so se c’è un rapporto tra [la commissione del Concerto] e il miglioramento della mia salute, ma in ogni caso io sono occupatissimo. Dedico ad esso la parte più importante delle mie giornate. È un’opera di grandi dimensioni: cinque movimenti. Ma i primi quattro sono già terminati. Al momento, ho qualche problema con l’ultimo; per diverse ragioni, è il più difficile. In una cosa come questa, c’è sempre una miriade di dettagli che preoccupano, ma è molto meno di quando si scrive un’opera scientifica. Mi piacerebbe finirlo qui”.
Il 1° dicembre 1944 Koussevitzkij diresse a Boston il Concerto per orchestra dando una delle ultime gioie professionali a Bartók che, entusiasta per l’esecuzione, scrisse a Whilhelmine Creel, il 17 dicembre 1944:
“L’esecuzione fu eccellente. Koussevitzkij è molto entusiasta di questo pezzo e dice che «è il migliore pezzo orchestrale degli ultimi 25 anni» (ivi comprese le opere del suo idolo Šostakovič!). Alla fine è la sua opinione personale”.
Il Concerto, che, eseguito il 10 gennaio 1945 alla Carnegie Hall di New York con grande successo, in Europa apparve postumo al Festival SIMC di Londra nel mese di luglio del 1946, fu spesso adattato a balletto da vari coreografi tra cui Milloss che ne fece una versione dal titolo La soglia del tempo rappresentata all’Opera di Roma nel febbraio 1951 dopo il fallimento di un progetto precedente. Si sa, infatti, che Bartók, dopo aver completato la partitura, la diede in visione a Antál Doráti in presenza di Hans Heinscheimer, agente di Boosey, che nel mese di gennaio 1944 comunicò a Bartók la decisione dell’American Ballet Theatre di produrre per la fine dell’anno una versione coreografica del balletto. Bartók, in pochi giorni, fece una riduzione pianistica del Concerto, ma il progetto fallì.
La particolarità del Concerto risiede nell’assenza di uno strumento solista e nell’uso originale degli strumenti dell’orchestra, come lo stesso compositore ebbe modo di spiegare nelle note di presentazione nelle quali si legge:
“Il complessivo assunto espressivo del lavoro presenta, se si prescinde dallo scherzoso secondo movimento, una graduale transizione dalla severità del primo tempo e dal lugubre canto di morte del terzo, all’affermazione di vita dell’ultimo. […] Il titolo di questo lavoro orchestrale simile a una sinfonia è spiegato dalla tendenza a trattare ogni singolo strumento dell’orchestra in modo concertante o solistico. Il trattamento virtuosistico appare per esempio nelle sezioni fugate dello sviluppo della prima parte (realizzato dagli ottoni) o nei passaggi in guisa di “perpetuum mobile” del tema principale che gli archi espongono nell’ultimo movimento, e soprattutto nel secondo movimento in cui coppie di strumenti si presentano con brillanti passi”.
Dal punto di vista formale il Concerto, nel quale confluirono anche pagine composte da Bartók in precedenza per un balletto, si articola in cinque movimenti secondo lo schema a ponte gravitante attorno al movimento centrale, Elegia: Andante non troppo, nel quale appaiono elementi tematici che, tratti dal repertorio popolare ungherese, si distendono in una scrittura di grande intensità lirica. Attorno a questo movimento è strutturato l’intero Concerto con una fitta rete di corrispondenze e richiami sia formali che tematici intercorrenti tra gli altri movimenti.
Il primo movimento (Introduzione: Andante non troppo, Allegro vivace), in forma-sonata, si apre con un lungo Andante non troppo di 75 battute che funge da lento preludio, a cui segue un crescendo ostinato che porta alla vera e propria esposizione, Allegro vivace. Al primo tema, costituito da una rielaborazione di una cellula tematica di tre battute, è correlato il secondo, esposto dal trombone che trae il suo materiale melodico dal primo. Di carattere contrastante è una terza idea tematica affidata all’oboe che, accompagnato dagli archi, gioca su due note. Nello sviluppo vengono rielaborati il primo e il secondo tema sul quale si basa una fanfara in fugato. Nella ripresa i temi appaiono in un ordine diverso rispetto all’esposizione con il terzo a cui seguono il primo e il secondo. Il secondo movimento (Gioco delle coppie: Allegretto scherzando), in cui si esibiscono coppie di strumenti a fiato, ebbe come titolo originario Gioco delle coppie, modificato poi in Presentando le coppie, titolo che consisteva nella traduzione letterale della denominazione ungherese Páros gemutato, in seguito abbandonata a favore di quello originario. Interessante è la descrizione che Bartók fece di questo movimento:
“Consiste in una catena di corte sezioni indipendenti in cui gli strumenti a fiato sono introdotti consecutivamente in cinque paia (fagotti, oboi, clarinetti, flauti e trombe con sordino). Dal punto di vista tematico le cinque sezioni non hanno nulla in comune. Segue una specie di Trio – un breve corale per ottoni e tamburo – dopo il quale le cinque sezioni sono riprese con strumentazione più elaborata”.
Dopo un intervento del tamburo, la prima coppia protagonista è quella dei fagotti che eseguono un motivo popolaresco in seste parallele. A questa coppia segue quella degli oboi con il loro motivo ciarliero in terze parallele. Dopo un breve intervento dei contrabbassi interviene la coppia dei clarinetti che intonano un motivo lamentoso in settime minori parallele e, dopo un altro intervento dei contrabbassi, la coppia dei flauti esegue una melodia per quinte parallele. Infine interviene la coppia di trombe con sordino che eseguono una frase ironica invertita e frammentata. Dopo un Trio scritto nella forma del corale ritornano le coppie nello stesso ordine che, per rendere più divertente il gioco, o sono arricchite con l’aggiunta di qualche strumento o sono mescolate ad altri. Ai due fagotti, per esempio, se ne aggiunge un terzo che li sostiene contrappuntisticamente, mentre agli oboi fanno eco le terze in imitazione dei clarinetti. La conclusione è una cadenza in cui tutti gli strumenti sono combinati dando vita a un unico accordo costruito con i rapporti intervallari che hanno caratterizzato ciascuna coppia. Anche per il terzo movimento, Elegia, sono importanti i chiarimenti dati da Bartók che scrisse:
“La struttura del terzo movimento è a catena, tre temi vi appaiono in successione. Essi costituiscono il cuore del movimento, che è inframmezzato da una nebbiosa tessitura di motivi rudimentali. Gran parte del materiale tematico deriva dall’introduzione al primo movimento”.
Elementi del folklore magiaro, presenti anche in questo movimento, sono evidenti nei tre temi, dei quali il primo è esposto dai violini, mentre il secondo è un motivo contadino affidato inizialmente alle viole e poi ripreso dai legni. Il movimento si chiude quasi in modo mahleriano con una scrittura che vede protagonisti i flauti in una forma di dissolvenza. Nel quarto movimento (Intermezzo interrotto: Allegretto), Bartók attuò una parodia della Sinfonia n. 7 di Šostakovič introducendo un motivo sul tema del primo movimento della suddetta sinfonia. Il movimento è costituito da una successione di episodi musicali e inizia con una melodia affidata alla viola, una serenata cantata da un giovane idealista alla sua amata, ma la melodia è ben presto interrotta da una banda che rappresenta il brutale attacco di alcuni ubriaconi ai danni del giovane idealista il quale cerca d’intonare ancora la sua serenata con lo strumento rovinato, per cui può solo accennare a degli spezzoni. La struttura è costituita da una mescolanza di forma ad arco e di rondò secondo lo schema A-B-A-Interruzione-B-A. Della sezione iniziale protagonista è l’oboe che introduce e poi chiude un fragile tema basato sul tritono e sviluppato dai fagotti. Segue un Trio costruito su una nostalgica melodia della viola ripetuta da violini e corno inglese a cui segue la ripresa del tema della sezione iniziale da parte dell’oboe. Questo discorso musicale si interrompe grazie ai contrabbassi che si producono in disegni che si trasformano metricamente e subito dopo il clarinetto esegue il tema di Šostakovič. Dopo volgarità e rumori, l’atmosfera iniziale viene ripristinata con la ripresa dei temi principali. Il Finale, Pesante, secondo la descrizione di Bartók, si presenta come una
“più o meno regolare forma-sonata… la cui esposizione è alquanto estesa e il cui sviluppo consiste in una fuga costruita sull’ultimo tema dell’esposizione”.
Esso rappresenta perfettamente la volontà di Bartók di affermare il carattere energico del popolo ungherese grazie a una straordinaria irruenza vitalistica. Nell’esposizione Bartók presenta tre temi dei quali il primo è esposto dai violini, il secondo dagli archi e il terzo si produce in una trionfante fanfara. La fuga, che corrisponde alla sezione centrale di sviluppo, è costruita interamente su questo tema in una scrittura ingegnosa, mentre nella ripresa i tre temi ritornano nello stesso ordine.
Duration: 38'
Zoltán Kodály
Kecskemét 1882 - Budapest 1967Háry János, suite per orchestra
Preludio. Inizia il racconto (Con moto – Tranquillo, molto moderato)
L’orologio musicale viennese (Allegretto)
Canzone (Andante, poco rubato)
Battaglia e sconfitta di Napoleone (Alla marcia – Poco meno mosso – Tempo di marcia funebre)
Intermezzo (Andante maestoso, ma con fuoco)
Entrata dell’imperatore e della sua corte (Alla marcia)
La produzione musicale di Zoltán Kodály si caratterizza per l’attenzione e l’amore con cui egli si prodigò, insieme all’amico e illustre connazionale Béla Bartók, per la riscoperta e la valorizzazione della tradizione musicale popolare ungherese, un progetto ambizioso destinato a concretizzarsi nel 1921 con la stesura di una raccolta di 150 canti popolari della Transilvania. La musica popolare ungherese, con i suoni e i ritmi che la caratterizzano in base a una lunga e antica tradizione, è l’incontrastata protagonista anche di questa suite orchestrale tratta dall’opera lirica dello stesso autore, Háry János, personaggio dell’epica popolare ungherese elevato a dignità letteraria dalla penna dello scrittore e poeta János Garay, autore di un poemetto eroico-comico dal titolo As obsitos (Il vecchio soldato), da cui Béla Paulini e Zsolt Harsányi avevano tratto il libretto, poi, utilizzato da Kodály per la sua opera. Le vicende narrate nel poemetto e riprese poi nell’opera e nella suite sono inventate solo in parte perché il personaggio principale, Háry János, non solo era veramente esistito, ma era stato personalmente conosciuto da János Garay come veterano delle guerre napoleoniche alle quali diceva di aver partecipato, vantandosi, altresì, di aver ricoperto un ruolo da protagonista. Háry János, un ussaro ormai in congedo, ci appare nella veste di un moderno Pirgopolinice, il Miles gloriosus di plautina memoria, quando, quasi a imitazione del suo modello latino, si vanta di aver compiuto imprese di impossibile realizzazione e, pertanto, nient’affatto credibili.
Pochi mesi dopo la prima rappresentazione avvenuta a Budapest il 26 ottobre 1926, molto probabilmente, su incitamento di Bartók, Kodály realizzò la suite orchestrale che fu eseguita, per la prima volta, il 24 marzo 1827 al Liceu di Barcellona dall’Orquestra Pau Casals sotto la direzione di Antal Fleischer. Per quanto riguarda la struttura, la suite si discosta dall’opera, in quanto non ne segue la trama in modo fedele, limitandosi a evidenziare il carattere del protagonista diviso tra la vena sentimentale manifestata nel primo, terzo e quinto brano, e la voglia di raccontare imprese mirabolanti mai attuate ed evidenziate nel secondo, nel quarto e sesto brano.
Nel primo brano della suite, Preludio. Inizia il racconto, il pubblico è subito avvisato della falsità delle imprese di Háry János dall’orchestra che onomatopeicamente riproduce il rumore di un fragoroso starnuto, immancabile corollario, nella tradizione popolare ungherese, di ogni narrazione non vera, con una scala ascendente di archi e fiati a cui risponde il pianoforte con un glissato discendente. Finalmente i violoncelli e i contrabbassi intonano un tema, ripreso poi da altri strumenti dell’orchestra, con il quale si fa iniziare il racconto di Háry János nella locanda di Nagyabony. Il secondo brano, L’orologio musicale viennese, un rondò con tre episodi, proietta l’attenzione del pubblico nella capitale asburgica, dove Maria Teresa d’Austria mostra al valoroso soldato così avventurosamente entrato nelle sue grazie, un carillon che presenta una peculiare caratteristica: ogni ora i suoi rintocchi vengono scanditi all’inizio da un tom-tom, mentre dal suo interno si vedono uscire i soldati delle varie armate austriache che sfilano nella loro caratteristica formazione da parata. Molto raffinata è la strumentazione nella quale si distingue la sezione percussiva con la presenza delle campane e della celesta.
Una commovente vena lirica, esaltata dal ricorso alla musica popolare ungherese, informa il terzo brano, Canzone, un tenero duetto d’amore tra Háry e Örsze, qui esaltato dalla voce calda della viola, strumento ritenuto, per eccellenza, idoneo ad esprimere la dolcezza e l’intensità del sentimento amoroso, al quale è dedicato il tema di una canzone popolare ungherese, Tiszán innem, Dunán Túl (Tra il Danubio e il Tibisco), ripreso poi, in successione, dal corno e dall’oboe.
A questo momento d’intenso lirismo poetico segue la descrizione della Battaglia e sconfitta di Napoleone nella quale l’armata francese è rappresentata con una vena ironica affidata agli accordi dissonanti idonei a riprodurre la forma di una marcia sgangherata che ricorda Histoire du Soldat di Stravinskij. Come se non bastasse, anche l’inno nazionale francese, la Marsigliese, viene deformato nei timbri gravi dei tromboni e del bassotuba, mentre la marcia funebre conclusiva rielabora in modo straniante la fanfara iniziale.
Alla descrizione della battaglia segue un altro momento poetico e lirico, Intermezzo, che, nell’opera, è collocato dopo il duetto, con il quale condivide la ripresa della musica popolare magiara, particolarmente evidente nella scelta di dare vita a una forma di verbunkos ungherese, in cui si identificano delle melodie dal caratteristico ritmo puntato e ternario con le quali si accompagnavano le danze delle compagnie di reclutamento che cercavano di attirare nell’esercito asburgico giovani contadini. La parola verbunkos deriva, infatti, dal tedesco Werbung che significa letteralmente reclutamento. Anche in questo brano Kodály utilizzò due melodie preesistenti dei quali la prima, di carattere vigoroso, è tratta da un metodo per pianoforte di István Gáti stampato a Buda nel 1802, mentre la seconda, di carattere melanconico, è tratta da una danza manoscritta del 1829. La suite si conclude con un brano ironico e marionettistico, Entrata dell’imperatore e della sua corte, che mette alla berlina la maestosa e appariscente grandiosità tipica delle corti imperiali.
Duration: 23'
Zoltán Kodály
Kecskemét 1882 - Budapest 1967Danze di Galánta (Gálantai táncok)
Lento, Andante maestoso, Allegretto moderato, Allegro con moto, grazioso, Allegro, Poco meno mosso, Allegro vivace
Ricordi di infanzia e tradizione folcloristica ungherese sono i principi ispiratori di una delle più famose e importanti composizioni di Zoltán Kodály, Le danze di Galánta, il cui titolo deriva dal nome di una piccola cittadina ubicata lungo l’itinerario che collega Budapest a Vienna. Leggiamo quanto lo stesso compositore scrisse:
“Galánta è una piccola città ungherese nota ai viaggiatori che si muovono tra Vienna e Budapest. Lì ho trascorso sette anni della mia infanzia. Esisteva lì una banda di zingari che dopo scomparve. La loro musica è stata la prima sonorità orchestrale.”
La musica di questa banda di zingari era molto popolare in Ungheria e vantava una lunga tradizione, come è dimostrato dalla pubblicazione a Vienna nel 1800 di diversi quaderni di danze ungheresi, tra i quali uno contenente proprio le musiche degli zingari di Galánta. Questa composizione, commissionata nel 1933 dalla Società Filarmonica di Budapest per celebrare l’ottantesimo anniversario dalla sua fondazione ed eseguita, per la prima volta, nella capitale ungherese il 23 ottobre dello stesso anno sotto la direzione di Ernö Dohnányi, trae i suoi temi proprio dal quaderno sopraccitato per esplicita ammissione dello stesso compositore che scrisse:
“Essi hanno conservato la vecchia tradizione ungherese. Al fine di continuarla il compositore ha tratto i suoi temi principali da queste antiche edizioni”.
Le Danze di Galánta corrispondono complessivamente a cinque brani eseguiti senza soluzione di continuità e preceduti da una breve introduzione, Lento, caratterizzata da un tema molto breve che, esposto, prima, dai violoncelli e, dopo, dai corni, prelude allo sviluppo di un motivo allegro in semicrome. La prima danza, Andante maestoso, di carattere nostalgico, è collegata alla seconda da un breve interludio, Allegretto moderato, il cui protagonista iniziale è il flauto impegnato in un motivo saltellante. La seconda danza evidenzia la grande perizia, nel campo della strumentazione, di Kodály che seppe con felice intuito destreggiarsi con i timbri degli strumenti più acuti, come l’ottavino, il glockenspiel e gli archi per ricavarne i caratteristici suoni armonici. La terza danza, Allegro, riprende il tema iniziale, il cui ritmo sincopato è sviluppato in semicrome e fa sentire tutta la sua straordinaria vitalità ritmica in netto contrasto con il tono scanzonato del successivo, Poco meno mosso. Nell’ultimo brano, Allegro vivace, Kodály sancì il ritorno alla vitalità ritmica del precedente Allegro e attuò una sintesi di tutta la composizione ricapitolandone alcuni temi principali.
Riccardo Viagrande
Duration: 15'