Rossini, Bassi, Strauss & Čaikovskij

Eliseo Castrignanò, direttore

Anna Paulová, clarinetto

  • Luogo

  • Piazza Ruggiero Settimo

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Domenica
    20 Giugno 2021

    Ore

    21,00

    Durata

    70min.

    Prezzi

    10 - 5 €

    Calendario

CLARINETTO ALL'OPERA

  • Programma

  • Gioachino Rossini
    Pesaro, 1792 - Passy, 1868

    La Cenerentola, sinfonia

    Maestoso, Allegro vivace

     

    “Malgrado la bravura degli interpreti e l’entusiasmo del pubblico, condizioni essenziali al piacere musicale, la Cenerentola non mi ha dato alcun piacere. Il primo giorno credetti di essere malato, ma fui costretto a riconoscere, nel corso delle successive interpretazioni che mi lasciavano sempre freddo e indifferente in mezzo ad un pubblico in delirio, che il mio malessere era un fatto del tutto personale. La musica della Cenerentola mi sembra mancare del bello ideale”.

     

    Appare fin troppo severo e dettato dal gusto personale questo giudizio di Stendhal, altre volte acuto e fine estimatore della musica di Rossini, sulla Cenerntola che sin dalla prima rappresentazione ottenne i consensi del pubblico e della critica. Lo stesso scrittore francese, forse disorientato dai favori di cui godette l’opera, sempre nella sua Vita di Rossini confessò la sua incompetenza nel giudicare la Cenerentola:

     

    “Devo a questo punto ripetere che sono, per la Cenerentola, un giudice del tutto incompetente. Faccio questa precisazione nel mio interesse; si dubiterebbe della mia estrema sensibilità per la musica e posso essere modesto su tutto, tranne che sulla mia estrema sensibilità. La Cenerentola è una delle partiture che hanno incontrato maggior successo in Francia”.

     

    Nonostante le riserve di Stendhal, la Cenerentola non solo fu apprezzata in Francia, ma godette e gode ancora oggi di un successo tale che le ha permesso di rivaleggiare per molto tempo con il Barbiere di Siviglia. Scegliere il soggetto della Cenerentola non fu tuttavia semplice; nel 1816 era stata commissionata a Rossini una nuova opera che doveva essere eseguita nella stagione del carnevale del 1817,  ma il soggetto proposto dal compositore e dal librettista Jacopo Ferretti, Ninetta alla corte, era stato respinto dalla censura papalina perché ritenuto immorale. Il 23 dicembre del 1816 Rossini e Ferretti non avevano ancora scelto il soggetto, quando il librettista, dopo una lunga discussione durata fino a tarda notte, suggerì quello della Cenerentola. Lo stesso librettista ricorda l’episodio nelle sue Memorie:

     

    “Stanco dal proporre e mezzo cascante dal sonno, sibilai in mezzo a uno sbadiglio:  ‘Cendrillon ’. Rossini che, per esser meglio concentrato, si era posto a letto, rizzatosi su come il Farinata dell’Alighieri: ‘Avresti tu core scrivermi Cendrillon ?’, mi disse: ed io a lui di rimando: ‘E tu di metterla in musica?’, ed egli: ‘Quando il programma?’, ed io ‘...a dispetto del sonno, domani mattina’, e Rossini: ‘Buona notte!’”

     

    Il soggetto, tratto da Cendrillon ou La petite pantoufle di Perrault, fu accettato dalla censura anche perché sfrondato dell’elemento meraviglioso poco amato dal pubblico romano e l’opera, composta con la solita straordinaria rapidità, andò in scena circa un mese dopo al Teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1817 durante la stagione del carnevale ottenendo uno strepitoso successo.

    Celeberrima è la Sinfonia che, composta un anno prima per un’altra opera, La Gazzetta, presenta la classica struttura bipartita con un’introduzione lenta di carattere marziale (Maestoso) a cui segue un brillante Allegro in forma-sonata nel quale si insinuano toni malinconici.

    Durata: 9'

    Gioachino Rossini
    Pesaro, 1792 - Passy, 1868

    Introduzione, tema e variazioni per clarinetto e orchestra

    Andante sostenuto, Allegretto, Più mosso, Largo, Più mosso

     

    Fino al 1950, anno in cui il clarinettista tedesco Jost Michaels ne scoprì la partitura nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino, l’Introduzione, tema e variazioni per clarinetto e orchestra era una pagina giovanile di Rossini del tutto dimenticata. Eppure di questa sua composizione giovanile, composta nel 1809 quando era ancora studente al Liceo Filarmonico di Bologna e destinata ai suoi compagni di studio che molto probabilmente la eseguirono in occasione degli annuali esami, non si era dimenticato il suo autore che ben 10 anni dopo ne avrebbe rielaborato il tema principale nell’aria Oh quante lacrime della Donna del lago.

    Dopo un’introduzione (Andante sostenuto) che oltre a ricordare il carattere solenne di alcuni passi del Flauto Magico di Mozart rivela nella melodia del clarinetto già l’attitudine “belcantistica” di Rossini, il solista espone il tema (Allegretto) che il Pesarese avrebbe rielaborato nella già citata aria della sua opera La donna del lago. Seguono cinque variazioni delle quali le prime tre e la quinta, di carattere virtuosistico, costituiscono una testimonianza dell’abilità tecnica degli studenti del Liceo Filarmonico, mentre la quarta (Largo), nella tonalità minore, è una pagina di un lirismo che rivela le doti di operista del giovane compositore.

    Durata: 15'

    Luigi Bassi
    Cremona 1833 - Milano 1871

    Fantasia da concerto su temi del Rigoletto per clarinetto e orchestra

    Pratica piuttosto diffusa durante tutto l’Ottocento e agli inizi del Novecento, quella della trascrizione delle opere per pianoforte solo o a quattro mani e per pianoforte e altri strumenti non poté non coinvolgere Giuseppe Verdi. Questa produzione, che veniva incontro all’esigenza di fornire a musicisti dilettanti ma anche professionisti la possibilità di eseguire delle composizioni scritte per organici molto ampi anche in serate private fu curata da compositori meno noti come Luigi Bassi. Nato a Cremona nel 1833, Bassi, dopo aver studiato clarinetto sotto la guida di Benedetto Carulli dal 1846 al 1853 presso il Conservatorio di Milano, divenne primo clarinetto della Scala. Nella sua produzione, non particolarmente ampia dal momento che è costituita da circa 27 lavori, rivestono una certa importanza le 15 fantasie d’opera per clarinetto e pianoforte, tra le quali godette di una certa fortuna la Fantasia da concerto su temi del Rigoletto per clarinetto e pianoforte, oggi presentata nella versione per orchestra. Tra episodi cadenzali e passi ripresi a piena orchestra, quali la parte iniziale del preludio, il coro dei cortigiani (Scorrendo uniti) e il tema bandistico che apre il primo atto, trovano spazio alcune celebri melodie tratte dall’opera e, in particolar modo, dal Quartetto dell’atto terzo, dal cantabile Parmi veder le lacrime e da Caro nome, il cui tema è sottoposto a variazione.

    Durata: 13'

    Johann Strauss (figlio)
    Neubau, 1825 - Vienna, 1899

    Die Fledermaus (Il pipistrello), ouverture

    Allegro vivace, Allegretto, Tempo I, Lento, Allegretto, Tempo di valse (Nicht zu schnell), Allegro, Danzante, Allegro moderato, Tempo ritenuto, Tempo di valse, Allegro moderato, più vivo

     

    Rappresentata il 5 aprile 1874 con grande successo al Theater an-der Wien, Die Fledermaus (Il pipistrello) è l’operetta più famosa e importante di Johann Strauss figlio, il famoso re del valzer, che, prima di questo lavoro, si era dedicato con scarso successo al teatro. Il clamoroso insuccesso, al quale era andata incontro la prima rappresentazione dell’operetta Der Karneval in Rom (Il Carnevale a Roma) nel 1873, aveva scoraggiato Strauss al punto tale da indurlo a non scrivere più per il teatro, nonostante Offenbach dieci anni prima gli avesse preannunciato un grande successo anche in questo campo. Molto probabilmente fu l’alto livello qualitativo del libretto di Richard Genée a convincere Strauss che, attratto immediatamente dal testo, compose l’operetta in appena quarantatre giorni. L’entusiasmo di Strauss fu smorzato, però, da difficoltà relative all’allestimento delle scene dovute alla grave crisi economica che aveva colpito la capitale dell’Impero asburgico; un anno prima, infatti, il 9 maggio 1873, il crollo della borsa delle merci aveva fatto vacillare la stessa corte imperiale, mentre fortune principesche si dissolvevano come neve al sole senza che nessuno riuscisse a porre rimedio con misure necessarie e urgenti. La povertà, che aveva colpito Vienna, non risparmiò nemmeno i teatri che cercarono di sopravvivere riducendo sensibilmente i costi, per cui la prima dell’operetta avvenne in tono minore con un coro sensibilmente ridotto nel suo organico e con l’utilizzazione della stessa scena per tutta la rappresentazione. La prima fu un successo, nonostante il disorientamento di una parte del pubblico e da quel momento l’operetta godette di una straordinaria fortuna in molti teatri europei; dopo alcune rappresentazioni nella capitale austriaca essa trionfò a Berlino tanto da essere rappresentata per 300 serate consecutive e fu diretta anche da Gustav Mahler, allora direttore musicale dello Stadttheater di Amburgo. Dopo la rappresentazione del 1894 diretta da Mahler, Il pipistrello entrò a far parte del repertorio di molti teatri ed è rappresentato ogni 31 dicembre, per il veglione di fine d’anno, alla Staatsoper di Vienna. Anche in Italia, dopo il debutto nel 1957, nella versione apprestata da Giovanni Trampus, essa è entrata a far parte del repertorio.

    Il libretto di Richard Genée trae le sue fonti dal vaudeville Le reveillon (Il veglione), scritto dalla coppia Meilhac ed Halévy e tradotto in tedesco da Karl Haffner su commissione del direttore del Carltheater, Steiner; il vaudeville, nella sua versione tedesca, non fu mai rappresentato per vari motivi e il direttore Roderich Benedix chiese a Genée di ricavarne un libretto per Strauss. Genée, pur mantenendo buona parte della trama, rinnovò l’opera per aderire alla musica di Strauss e introdusse un nuovo personaggio, il dottore Falke.

    Una musica scintillante, anticipata già dall’ouverture, accompagna le vicende dei protagonisti che si cimentano in brani di spiccata qualità musicale, tra cui la serenata di Alfredo, il trio cantato da Gabriel, Rosalinde e Blind, i couplets di Orlofsky e di Adele, il duetto dell’orologio, la czarda, il delicato valzer Brüderlein, l’inno allo champagne e il vorticoso valzer finale.

    Alla prima rappresentazione furono unanimi i consensi tributati dal pubblico all’ouverture, un vero capolavoro, che fu letteralmente sommersa di applausi non solo alla fine, ma anche durante l’esecuzione. In quest’ouverture, in una struttura musicale che solo in apparenza si richiama alla forma-sonata, appaiono tutti i motivi principali dell’operetta e soprattutto quello del terzetto dell’atto terzo che l’attraversa dall’inizio alla fine. Domina nella composizione il ritmo della danza e, in particolar modo, del valzer che raggiunge il suo punto culminante nella ripresa del travolgente tema della scena del ballo che conclude l’atto secondo.

    Durata: 8'

    Pëtr Il'ič Čajkovskij
    Votkinsk, 1840 - San Pietroburgo, 1893

    Lo Schiaccianoci, suite dal balletto op. 71a

    Ouverture miniatura (Allegro giusto)

    Marcia (Tempo di marcia viva)

    Danza della fata confetto (Andante non troppo)

    Danza russa (Tempo di Trepak, molto vivace)

    Danza araba (Allegretto)

    Danza cinese (Allegro moderato)

    Danza degli zufoli (Moderato assai)

    Valzer dei fiori (Tempo di valse)

     

    Ultimo dei tre balletti composti da Čajkovskij, Lo Schiaccianoci è uno dei più grandi e famosi lavori del genere, la cui fortuna, al pari di altre opere del compositore russo, si è accresciuta negli anni contro ogni previsione, soprattutto se si pensa al contrastato successo della prima rappresentazione. Composto fra il 1891 e il 1892, Lo Schiaccianoci fu rappresentato, per la prima volta, insieme all’opera Iolanta, al Teatro Marijnskij il 6 dicembre 1892 secondo il calendario giuliano, ma il suo debutto fu accolto in modo contrastante dalla critica, divisa tra chi lo censurò e chi, invece, lo esaltò paragonandolo all’opera Evgenij Onegin. Questo giudizio così contrastante non riguardò la musica del compositore russo, in quanto la Suite, tratta dal balletto ed eseguita qualche mese prima il 7 marzo a Pietroburgo, era stata così bene accolta dal pubblico da ottenere uno strepitoso successo.

    Il giudizio negativo di una certa critica si può in parte spiegare se si considera che due anni prima non era stato molto diverso quello espresso sul suo secondo balletto, La bella addormentata, che, il giorno dopo la sua prima rappresentazione, avvenuta il 3 gennaio 1890 a Pietroburgo, era stato definito dallo zar, la cui accoglienza era stata, peraltro, affettata e tiepida, un lavoro davvero grazioso, mentre la stampa russa ne era rimasta addirittura scandalizzata in quanto Čajkovskij, compositore famoso e di grande livello, aveva scelto di cimentarsi in un genere, il balletto, solitamente curato da compositori mediocri e specializzati solo in tali lavori. D’altra parte la scelta di Ivan Vsevoložskij, direttore dei Teatri Imperiali, di commissionare a Čajkovskij la composizione di balletti, rispondeva al suo desiderio di elevare il livello qualitativo del balletto russo che, in quel periodo, si basava su mediocri partiture, curate da altrettanto mediocri compositori; Vsevoložskij, approfittando della presenza in Russia del famosissimo coreografo Marius Petipa, decise di affidare a grandi compositori il compito di mettere in musica i libretti di quest’ultimo. Così nacquero i capolavori di Glazunov e Čajkovskij.

    Per quanto riguarda Lo Schiaccianoci fu lo stesso Vsevoložskij a suggerire il soggetto fiabesco e Čajkovskij, alquanto perplesso e poco propenso, all’inizio, ad accettare il lavoro, del quale, in seguito, la stessa critica avrebbe denunciato la scarsa logica e un numero non trascurabile di incongruenze, alla fine, si decise a comporre il nuovo balletto, come egli stesso rivelò in una lettera alla cantante Désirée Artôt, una sua vecchia fiamma che aveva pensato di sposare, essendo stati, nel frattempo, superati anche i contrasti intervenuti con Vsevoložskij a causa dell’eliminazione de La bella addormentata dal cartellone del teatro Marijnskij; Vsevoložskij, con la grande abilità diplomatica che gli era propria, riuscì a ricucire lo screzio e Čajkovskij si mise subito al lavoro nel febbraio del 1891. Il compositore sembrava ispirato e già il 6 febbraio aveva pronto il valzer dei fiocchi di neve e ne aveva abbozzato diverse parti, ma i suoi viaggi continui rallentarono la composizione dell’opera tanto che Čajkovskij, nell’aprile del 1892, era stato costretto a chiedere un rinvio per la rappresentazione del balletto dalla stagione 1891-1892 a quella successiva; egli, tuttavia, lavorando allo Schiaccianoci durante i suoi soggiorni di Rouen e Berlino, il 6 luglio riuscì a portare a termine la stesura dei primi abbozzi e a completare la strumentazione prima del mese di settembre 1892, quando iniziarono le prove. L’accoglienza piuttosto fredda, ricevuta dal balletto alla sua prima rappresentazione, fu dovuta probabilmente anche all’esecuzione non proprio eccellente diretta da Eduard Napravnik e alla modesta coreografia di Lev Ivanov, ingaggiato da Vsevoložskij per rimpiazzare Petipa, che era stato prodigo di consigli e di minuziosi suggerimenti a Čajkovskij. Dopo lo scarso successo il balletto fu lasciato nell’oblio per circa 25 anni e fu ripreso, prima, nel 1917 con la coreografia di Gorskij e, poi, nel 1929 con quella di Lopukhov; soltanto nel 1934 il già celebre balletto varcò i confini dell’Unione Sovietica non senza aver prima calcato le scene del prestigioso teatro di Pietroburgo (Leningrado) in una versione rimasta storica per la coreografia di Vassilij Vajnonen che, per l’occasione, fuse il ruolo di Klara con quello della Fata Dragée (Confetto). Proprio in quell’anno si ebbe la prima europea al Sadler’s Well di Londra ad opera di Nicholas Sergeiev che riprese la coreografia di Ivanov e quattro anni dopo Lo Schiaccianoci fu rappresentato per la prima volta in Italia alla Scala di Milano con la coreografia di Margherita Froman. Ora Lo Schiaccianoci è uno dei balletti più rappresentati e diffusi nel mondo soprattutto nel periodo natalizio quando con la sua magia potenzia i caratteri tipici di questa grande festività del Cristianesimo per la gioia di grandi e piccini che, da allora, puntualmente ammaliati dall’atmosfera fiabesca così creata, si sentono trasportati in un mondo irreale di evasione e di sogno.

    Il soggetto del balletto è tratto dall’adattamento teatrale di Alexandre Dumas del racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Lo schiaccianoci e il re dei topi, il cui protagonista è un singolare bambolotto, lo Schiaccianoci appunto. La scena si apre sulla sala del sindaco Silberhaus che, in occasione del Natale, organizza una festa in casa sua per i figli Klara e Fritz ai quali è concesso di ricevere i regali natalizi; nel frattempo giungono alcune persone vestite in maschera secondo la moda introdotta dalla Rivoluzione Francese e a mezzanotte si presenta Drosselmeyer, padrino di Klara, che, insieme ad altri regali, porta in dono uno strano bambolotto, lo Schiaccianoci, a cui Fritz rompe una ganascia. Klara, intenerita, cura amorosamente lo Schiaccianoci mettendolo nel letto della sua bambola preferita. Giunge per i bambini il momento di andare a letto e Klara è costretta, suo malgrado, a lasciare lo Schiaccianoci; quando tutti gli ospiti sono andati via, Klara ritorna per vedere lo stato di salute del suo giocattolo e, in questo momento, stanca, si addormenta su una sedia e inizia a sognare. La dimensione onirica sostituisce e modifica la realtà i cui elementi assumono proporzioni enormi, così, alla luce della luna, l’albero di Natale diventa gigantesco, i giocattoli si animano e una miriade di topi cerca di impadronirsi dello Schiaccianoci. Si scatena una lotta furibonda che vede contrapposti, da una parte, Klara e lo Schiaccianoci animatosi per magia, e, dall’altro, i topi contro i quali la bambina lancia le sue bambole. Alla fine della battaglia i soli sopravvissuti sono lo Schiaccianoci e il Re dei topi che è ucciso da una scarpetta lanciatagli dalla bambina. Il primo atto si conclude con la trasformazione, grazie ad una stupefacente quanto improvvisa magia, dello Schiaccianoci in un bel principe azzurro.

    La prima scena del secondo atto del balletto, il più famoso, si apre in una grotta incantata nell’immaginario e dolce regno di Confituremburg dove Klara con il suo principe azzurro sono ospiti della Fata Dragée (Fata Confetto) e del principe Orzata. Qui iniziano i festeggiamenti organizzati e presieduti dalla Fata Confetto con danze di cui sono protagoniste le bambole di Klara. Alla fine Klara è svegliata dai genitori, mentre tutti gli invitati vanno via.

    La Suite si compone di otto brani dei quali i primi due sono tratti dal primo atto e gli altri sei dal secondo. Il primo brano, Ouverture miniatura, è costituito da due temi dei quali il primo è una marcia, mentre il secondo rappresenta l’attesa dei bambini per l’inizio della festa. Lo squillo delle trombe e dei corni, supportati dai clarinetti, apre il secondo brano, Marcia, tratto sempre dal primo atto del balletto e, in particolar modo, dalla scena in cui fanno il proprio ingresso i bambini e Silberhaus. La gioia dei bambini è resa perfettamente dai violini che eseguono un motivo saltellante. Lo strumento protagonista del terzo brano, Danza della Fata Confetto, è la celesta inventato nel 1886 a Parigi da Victor Mustel, un abile costruttore di strumenti musicali conosciuto da Čajkovskij durante uno dei suoi soggiorni in Francia; il Nostro, affascinato dal suono del nuovo strumento, decise di farlo portare in Russia di nascosto per timore che i compositori Rimskij-Korsakov e Glazunov, suoi “avversari”, potessero venirne a conoscenza. Alla celesta è affidato un tema luminoso su un delicatissimo accompagnamento degli archi in pizzicato. Diversa è l’atmosfera del quarto brano, Danza russa, caratterizzato da un ritmo vivace che conduce al prestissimo conclusivo e contrasta nettamente con la successiva Danza araba evocatrice di immagini notturne e sensuali sul tema affidato ai clarinetti e al corno inglese. La successiva Danza cinese si segnala per la raffinata strumentazione nella quale prevalgono i timbri del flauto, a cui è affidato un tema vivace, dei fagotti, che eseguono un accompagnamento staccato, e dei violini, che si alternano al flauto eseguendo un motivo in contrattempo. Protagonisti del brano successivo, la Danza degli zufoli, la cui strumentazione è altrettanto raffinata, sono tre flauti che, alla stregua di un’orchestrina di strumenti a fiato, eseguono il tema su un delicato accompagnamento degli archi. La Suite si conclude con il celeberrimo Valzer dei fiori che costituisce una delle pagine più note ed eseguite del balletto. Il famoso tema è diviso tra i corni, a cui è affidata la frase di proposta, e il clarinetto che intona una virtuosistica risposta.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 22'

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