Il Politeama Garibaldi
Nel 1859, benché la città di Palermo fosse ben fornita di teatri pubblici, prese corpo l'idea di bandire un concorso internazionale per la costruzione di un nuovo teatro da intitolare a Ferdinando II che sarebbe dovuto sorgere in Piazza Marina. Il teatro venne ritenuto dalla Municipalità palermitana un bisogno fondamentale. Doveva essere un'opera di grande importanza e valenza per la Città con lo scopo anche di impiegare una gran massa di artigiani ed artisti, soprattutto, locali. Nel 1860, però, in seguito all'impresa dei Mille di Garibaldi ed alla caduta del dominio borbonico, l'idea di costruire un nuovo teatro sembrò abortire e dovettero passare quattro anni prima che il progetto fosse varato. Nel 1864, infatti, grazie all'illuminata politica dell'allora sindaco Antonio Starabba, marchese di Rudinì, l'amministrazione comunale bandì il concorso internazionale per la costruzione del monumentale teatro lirico (che in seguito diventerà il Teatro Massimo) e, nel 1865, un concorso interno per la costruzione di un teatro diurno polivalente affidandone la progettazione a Giuseppe Damiani Almeyda, giovane ingegnere mandamentale. Il teatro doveva sorgere al confine estremo della struttura monumentale palermitana come punto di riferimento ideologico dell'espansione della città moderna ed, in contrapposizione dell'altro, precipuamente destinato a soddisfare il bisogno aristocratico di un teatro lirico adeguato alle esecuzioni del grand opéra, doveva essere dedicato al godimento ed allo svago di un pubblico più popolare immaginando per lo stesso produzioni quali operette, lavori comici e drammatici, veglioni, feste, spettacoli circensi ed equestri.
Venne deciso, pertanto, di costruire un grande anfiteatro a cielo aperto fuori Porta Maqueda ed all'inizio della strada che aveva preso il nome di Via della Libertà. Nel 1865 venne stipulato il contratto con l'impresa costruttrice Galland ma i lavori poterono iniziare soltanto nel 1867. Nel 1868 venne deciso di trasformare l'anfiteatro in una sala teatrale in modo da poter ampliare l'offerta di spettacolo anche con lavori di musica e di prosa. Furono perciò modificati i piani progettuali, anche se i lavori continuarono con molto rilento a causa di alcuni problemi sorti nel frattempo tra il Municipio e l'impresa Galland.
Nel 1869, la Giunta Comunale deliberò di intitolare il teatro a Gioacchino Rossini in occasione della sua morte ma non se ne fece nulla. Infatti, quando fu inaugurato, ancora incompleto e senza copertura il 7 giugno 1874, con l'opera I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, diventando, poi, per oltre vent'anni il teatro principale per la lirica della città di Palermo, si chiamava ancora Teatro Municipale Politeama, finché nel 1882, dopo la morte di Garibaldi, prese il nome di Politeama Garibaldi. Nel 1877, la copertura, commissionata alla Fonderia Oretea, fu completata, ma gli ultimi lavori di abbellimento furono realizzati soltanto nel 1891 in occasione della grande Esposizione Nazionale che si teneva quell'anno a Palermo. A quella data risale, infatti, l'apertura ufficiale in cui, alla presenza di re Umberto e della regina Margherita, fu rappresentato l'Otello di Verdi con protagonista il celebre tenore Francesco Tamagno.
Importante esempio di architettura neoclassica, presenta un grande ingresso a guisa di monumentale arco trionfale al cui apice svetta la Quadriga bronzea di Mario Rutelli, rappresentante il "Trionfo di Apollo ed Euterpe" fiancheggiata da una coppia di cavalli bronzei e cavalieri modellati da Benedetto Civiletti rappresentanti i "Giochi olimpici", mentre, ai due lati dell'ingresso principale del teatro, dietro i due grandi candelabri, si scorgono le due lapidi che riportano le storiche epigrafi dettate da Isidoro La Lumia ed, in alto, i due bassorilievi rappresentanti le "Fame" disegnate dal pittore Pensabene. Intorno al prospetto esterno si sviluppa il corpo semicircolare dell'edificio con i due ordini di colonnato dorico e ionico con stesure di colore azzurro e giallo e figure sormontate da un fregio che riproduce i giochi del circo su un fondo di colore rosso. L'arco trionfale del prospetto è ingentilito da una bellissima composizione in bassorilievo a stucco, opera del Rutelli, che rappresenta una moltitudine di putti musici e cantori. All'interno, una sala a ferro di cavallo con due ordini di palchi ed un doppio ampio loggione/anfiteatro per una capienza allora progettata per cinquemila spettatori, mentre sul boccascena si sviluppa un colonnato esastilo corinzio al cui centro è collocato il busto bronzeo di Giuseppe Garibaldi, delimitato dai due lati dalle allegorie della Tragedia e della Commedia.
Damiani propone una ricca decorazione policroma di stile pompeiano sia all'esterno che all'interno del teatro, affidandola ad illustri pittori locali quali, tra gli altri, Nicolò Giannone, Luigi Di Giovanni, Michele Corteggiani, Giuseppe Enea, Rocco Lentini, Enrico Cavallaro, Carmelo Giarrizzo, Francesco Padovano, Giovanni Nicolini ed a Gustavo Mancinelli, a cui si deve il fregio delle Feste Eleuterie che circonda il finto velario azzurro-cielo. All'esterno, nelle due grandi ali curvilinee laterali, il fregio decorato con le gare podistiche nel piano jonico ed il fregio con le corse dei cavalli nel piano dorico sono opera di Carmelo Giarrizzo. Al piano ionico ritroviamo gli encausti e gli affreschi di Nicolò Giannone, Michele Cortegiani, Luigi Di Giovanni, Rocco Lentini e Enrico Cavallaro. Luigi Di Giovanni affrescò, inoltre, i due lati del palcoscenico, all'altezza delle cavee mentre Onofrio Tomaselli, Rocco Lentini, Vincenzo Riolo, Giuseppe Enea, Salvatore Gregorietti e Salvatore Valenti decorarono i corridoi e i foyers. Il vestibolo offre un soffitto a lacunari ornati di rilievi e fregi mentre gli ambienti di percorrimento e di sosta, come la grande sala degli Specchi e dei piani superiori (Sala Rossa e Sala Gialla) dove era collocata in passato la Civica Galleria d'Arte Moderna, sono tutti decorati con pitture di Giuseppe Enea, Rocco Lentini e Giuseppe Cavallaro. Damiani, inoltre, è anche il progettista dei due maestosi candelabri esterni ed ha curato la sistemazione del Monumento a Ruggero Settimo (Benedetto De Lisi, 1865) antistante il teatro. Nei giardini ai lati dei due semicerchi della parte frontale del maestoso edificio, che occupa circa 5000 mq, si possono ammirare le sculture di Valerio Villareale (Baccante), Benedetto De Lisi (Silfide) e Antonio Ugo (David).
Al Politeama Garibaldi si sono esibiti prestigiosi artisti come Leopoldo Mugnone, Arturo Toscanini, che tra il 1892 ed il 1893 diresse ben sette titoli d'opera, Vincenzo Tamagno, Victor Maruel, Nellie Melba, Mattia Battistini, Mary Boyer, Giovanni Zenatello, Teresa Arkel, Gemma Bellincioni, Gilda Dalla Rizza, Francisco Vignas, Bianca Scacciati, Eugenio Giraldoni, Rosetta Pampanini, Gianna Pederzini, Mario Basiola, Beniamino Gigli, Carlo Tagliabue in stagioni liriche che si susseguirono sino al 1950. Nel 1896, proprio al Politeama Garibaldi, la Bohème di Puccini, dopo la cattiva accoglienza di Torino, risorse a Palermo. Di quella memorabile serata, con il pubblico in delirio, che fece bissare i finali degli atti, furono interpreti: Adelina Stehle ed Edoardo Garbin.
Oggi il teatro è la prestigiosa sede della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana ed è un punto di riferimento di grande importanza, sia come collocazione che come notorietà, per la Città di Palermo tanto che le due grandi piazze (Ruggiero Settimo e Castelnuovo), su cui si affaccia, vengono comunemente chiamate Piazza Politeama.
Giuseppe Damiani Almeyda
Di nobile famiglia palermitana (era figlio di Felice Damiani e di Carolina Almeyda), Giuseppe Damiani Almeyda nacque a Capua il 10 febbraio 1834. Indirizzato dalla famiglia agli studi d'armi, mostrò fin da piccolo una grande passione per il disegno e, grazie anche all'interessamento del fratello Francesco, iniziò lo studio della matematica e del disegno. Tra i suoi maestri vi fu Gustavo Mancinelli. Dopo gli studi a Napoli alla Scuola di Ponti e Strade, nel 1859 si trasferì in Sicilia e nel 1872 divenne ingegnere del Comune di Palermo, mantenendo l'incarico fino al 1891. Professore all'Istituto tecnico e all'Università di Palermo, vinse numerosi premi d'architettura e scrisse significanti saggi, trattati, monografie trasfondendo negli stessi il suo amore per il disegno e la storia dell'arte (tra questi: La storia dell'arte moderna italiana; Applicazioni della Geometria Elementare allo Studio del Disegno; Istituzioni Ornamentali sull'Antico e sul Vero).
Le sue significative opere caratterizzarono la vita artistica e culturale del suo tempo connotando la storia dell'architettura siciliana dalla fine dell'Ottocento ai primi anni del Novecento. Tenace oppositore del modernismo di Basile e del gusto floreale, morì a Palermo il 13 gennaio 1911 lasciandoci capolavori architettonici come le edicole di Villa Giulia a Palermo, la Villa Florio a Favignana, il Grand Hotel delle Terme di Termini Imerese, la Fonderia Oretea (oggi demolita) a Palermo e, soprattutto, il bellissimo Politeama Garibaldi in cui trionfa tutto il suo amore per il colore e la policromia.
Il sipario del Politeama dipinto da Gustavo Mancinelli
Il grande sipario del Politeama (quattrocentocinquanta chilogrammi di peso e 14 metri per 13 di misura), intitolato Eschilo alla corte di Gerone di Siracusa, fu realizzato nel 1891 da Gustavo Mancinelli (Roma 1842 – Napoli 1933), figlio di Giuseppe, autore del sipario del San Carlo di Napoli, per un teatro (il Politeama Garibaldi) che doveva connotarsi, all'epoca della grande Esposizione Nazionale, quale luogo simbolo della Palermo modernista nell'avvio del percorso della Città verso la sua trasformazione in una delle capitali della Belle Epoque.
Il tema raffigurato sul sipario si riferisce, come d' altronde era tipico del periodo, a temi legati alla classicità e al mito. Esso rievoca gli antichi fasti dell'Isola, cioè della Magna Grecia, con l'intento di celebrare la secolare vocazione teatrale siciliana. Il protagonista del dipinto è, infatti, Eschilo, fondatore della tragedia antica, che, trasferitosi a Siracusa, dava inizio, davanti al tiranno Gerone, alla rappresentazione delle Etnee scritte in onore della sua nuova patria.
Nel centro dell'emiciclo si vede seduto su un monumentale divano ad esedra e circondato dai numerosi personaggi della sua corte, immersi in una luce naturale, Gerone vestito con una cappa rossa e con lo scettro nella mano destra. Accanto, siede la sua donna che tiene un ventaglio nella mano sinistra e con la destra regge il viso. Il suo gomito destro è appoggiato sul corpo di Gerone. In piedi, due donne: una con la lira e l'altra con il tamburello. Una terza donna, seduta, accompagna con la lira Eschilo che, con il corpo nudo avvolto in un manto verde, declama i suoi versi.
Personaggi e oggetti sono fermati nella tela con naturalezza per un omaggio alla Sicilia, terra del teatro e del mito, alla quale appare volersi riflettere la mondanità dell'Italia umbertina che, proprio nel 1891, a Palermo celebrava i suoi fasti. Il dipinto, coniugandosi con una visionarietà moderna, rientra a pieno titolo in quel filone di pittura neopompeiana molto in voga dalla seconda metà dell' Ottocento in tutta l' Europa.
Le Feste Eleuterie di Gustavo Mancinelli
Le Feste Eleuterie (Feste della Libertà) venivano celebrate in varie località della Grecia antica in onore di Zeus Eleutherios (Giove Liberatore) in memoria della vittoria di Aristide sui persiani (478 a.C.). Le più note erano quelle istituite a Platea dove ogni quattro anni si svolgeva una festa con corse di cavalli e combattimenti ginnici. Allo spuntare del giorno, poi, tutti gli abitanti si radunavano in una processione, annunciata dallo squillo delle trombe, con carri, pieni di mirti e di ghirlande, sopra uno dei quali si trovava un toro nero, seguita da giovani che portavano vasi con olio, vino, latte, preziosi profumi. La processione preceduta da un magistrato giungeva sino alle tombe degli estinti dove veniva sacrificato il toro.
Gustavo Mancinelli descrive intorno la volta azzurro-cielo del Politeama Garibaldi la cerimonia delle Feste Eleuteriecollegandola altresì al culto di Demetra, dea che donò al genere umano la conoscenza delle tecniche agricole: la semina, l'aratura, la mietitura e le altre correlate.
Gustavo Mancinelli (Roma 1842 – Napoli 1903)
Figlio del celebre pittore Giuseppe (Napoli 1813 – Palazzolo di Castrocielo 1875), studiò al Real Istituto di Belle Arti di Napoli e, giovanissimo, partecipò alla Biennale Borbonica del 1855–1859. Vinse nel 1863 il concorso per il Pensionato nazionale con "Il giuramento di Annibale" (Napoli, Galleria dell'Accademia di Belle Arti, deposito) e fino al 1883 partecipò costantemente alle Esposizioni della Società Promotrice napoletana con acquerelli, dipinti e pastelli. Fu nominato Professore onorario all'Accademia di San Luca e prese parte alle Esposizioni Nazionali di Milano del 1874 e del 1883 e di Torino del 1880.
Nel 1891 partecipò all'Esposizione Nazionale di Palermo e, nel mese di novembre, fu presentato al pubblico il sipario, da lui realizzato per il Politeama Garibaldi di Palermo "Eschilo alla corte di Gerone di Siracusa". Per lo stesso teatro il Mancinelli portò a compimento le pitture alla base della volta, raffiguranti le Feste eleuterie.
Nel 1895, ultimati i lavori per il teatro Comunale di Siracusa, diretti come per il Politeama di Palermo da G. Damiani Almeyda, realizzò il sipario del medesimo teatro raffigurante Dafne in un bosco popolato di ninfe nonché i decori del vestibolo, dei parapetti dei palchi, e della volta della sala.
Nella sala della Giunta del Municipio palermitano si conservano i ritratti da lui dipinti di Umberto I e della Regina Margherita di Savoia, donati al Comune di Palermo dagli stessi sovrani.
Tra il 1897 e il 1898 partecipò alla decorazione ad affresco del Salone delle Contrattazioni nel nuovo palazzo della Borsa di Napoli, realizzando le allegorie "Le Belle Arti" e "La Storia".
Dipinse non solo soggetti religiosi e storici, ma iniziò anche una feconda attività di ritrattista. Il Museo di Capodimonte a Napoli è custode di alcune sue opere di carattere storico.