Weber, Hummel & Bizet
Franck Chastrusse Colombier, direttore
Sophie Dervaux, fagotto
Biglietto (posto unico) € 5,00 con obbligo di prenotazione anticipata*
Posti limitati. Per informazioni e/o prenotazioni: 380 6488015
* (Per protocollo di prevenzione e contenimento del contagio da Covid-19)
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Programma
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Carl Maria von Weber
Eutin, 1786 - Londra, 1826Oberon, ouverture J. 306
Adagio sostenuto, Allegro con fuoco
Ultima opera di Weber, l’Oberon fu rappresentato per la prima volta al Covent Garden di Londra il 12 aprile 1826 a due mesi circa dalla morte che lo avrebbe colto nella notte tra il 4 e il 5 giugno dello stesso anno. Nonostante già gravemente minato dalla tubercolosi, Weber, al quale i medici avevano diagnosticato pochi anni di vita anche nel caso in cui li avesse trascorsi in condizioni di assoluto riposo in Italia, terra ideale per il clima salubre, decise di accettare la commissione pervenutagli il 18 agosto 1824 dal Covent Garden tramite una lettera indirizzatagli dall’impresario Charles Kemble. In base all’offerta, economicamente vantaggiosa per la famiglia, Weber avrebbe dovuto dirigere, nel prestigioso teatro inglese, il suo Franco cacciatore e una nuova opera. Kemble gli propose di scegliere il soggetto per la sua nuova opera tra il Faust e l’Oberon, ma Weber, sapendo che al primo stava già lavorando Spohr al quale, in passato, aveva già rubato quello del Franco cacciatore, optò per il secondo. Il libretto, che James Robinson Planché, il librettista scelto da Kemple, stava approntando traendolo dal poema Oberon di Wieland e dal Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, tardò ad arrivare e Weber, che, poté finalmente leggere il primo atto il 30 dicembre del 1824, chiese a Kemble un rinvio alla stagione successiva, dicendo che non poteva scrivere un’opera della quale non avesse il quadro complessivo. Il libretto di Planché, pronto per il 1° febbraio nella sua versione originale in inglese, lingua che Weber aveva studiato prendendo ben 153 lezioni da un cittadino britannico residente a Dresda, non soddisfece il compositore che, volendo, tuttavia, onorare l’impegno preso, lo approvò con l’intenzione di rimaneggiarlo in seguito nella versione tedesca. La composizione dell’opera, iniziata già nel mese di gennaio del 1825, fu completata pochi giorni prima di essere rappresentata nella capitale inglese dove Weber, giunto il 4 marzo, fu accolto con tutti gli onori. Qui, oltre all’Oberon che ottenne un enorme successo, Weber, nonostante il peggioramento delle sue condizioni di salute, diresse tutta una serie di concerti dai quali ricavò lauti guadagni economici.
Il libretto di Planché, sebbene non di altissimo livello, non fu un grande problema per Weber che, comunque, diede libero sfogo alla sua fantasia, scrivendo delle pagine molto belle e suggestive impreziosite dalla raffinata orchestrazione caratterizzata da un trattamento dei legni anticipatore di alcune scelte di Mendelssohn e Berlioz nelle composizioni di carattere fiabesco. Nell’opera, di cui è protagonista Oberon, il re degli elfi, il magico e l’irrazionale, elementi della poetica musicale di Weber già presenti nel Franco cacciatore, trovano la loro massima espressione.
Tra le pagine più belle dell’opera si segnala l’ouverture nella quale il mondo fiabesco appare efficacemente rappresentato sin dalle prime battute dell’introduttivo Adagio sostenuto aperto dal celebre appello di tre suoni del corno di Oberon. Tutta l’introduzione, che si chiude con un accordo eseguito fortissimo dall’intera orchestra, presenta un’atmosfera magica grazie alle sonorità soffuse dell’orchestra le cui sezioni sono ben definite. Nel successivo Allegro con fuoco, in forma-sonata, appaiono due gruppi tematici, tratti, secondo un principio seguito dal compositore in altri suoi lavori teatrali, dall’opera; molto suggestivo e famoso è il secondo gruppo tematico, aperto da una melodia affidata al clarinetto, strumento preferito da Weber. Questa melodia è molto sfruttata nello sviluppo, ma non ritorna nella ripresa dominata dal coinvolgente secondo tema, affidato agli archi raddoppiati dal flauto e appartenente al secondo gruppo tematico.
Durata: 10'
Johann Nepomuk Hummel
Bratislava, 1778 - Weimar, 1837Concerto per fagotto e orchestra
Allegro moderato
Romanza. Andantino e cantabile
Rondò. Vivace
Allievo per ben due anni di Mozart, del quale fu ospite presso la sua casa, di Clementi, di Haydn oltre che di Salieri, Johann Nepomuk Hummel, compositore ormai quasi del tutto dimenticato, nella prima metà dell’Ottocento conquistò una grandissima fama in tutta Europa come brillante pianista. Ricercato come concertista in tutta Europa, Hummel, però, ottenne il suo primo incarico di un certo prestigio nel 1804, quando, grazie alla segnalazione di Haydn, fu nominato maestro di cappella alla corte del principe Hesterházy, dove rimase fino al 1811, quando fu cacciato per alcuni atteggiamenti che furono interpretati come negligenze. Nonostante tutto, Hummel, in seguito, ottenne la stessa carica a Stoccarda, che abbandonò presto per contrasti intervenuti con l’impresario del teatro, e, infine, trovò una sistemazione definitiva alla corte granducale di Weimar, dove rimase fino alla morte.
Non si hanno notizie riguardo alla prima esecuzione di questo Concerto per fagotto e orchestra, che, composto intorno al 1805 e dedicato a un certo signor Griesbacher di Vienna, molto probabilmente un virtuoso di questo strumento, mostra evidenti influenze di Mozart e di Haydn. Il primo movimento, Allegro moderato, in forma-sonata con due temi di carattere cantabile, costituisce per quanto attiene alla parte del solista una delle pagine tecnicamente più difficili tra quelle scritte per fagotto nel periodo classico. Una fresca cantabilità contraddistingue il secondo movimento, Romanza, che si conclude con una cadenza, mentre l’ultimo movimento, Vivace, è un brillante Rondò nel quale il solista può mettere in mostra le sue doti virtuosistiche.
Durata: 24'
Georges Bizet
Parigi, 1838 - Bougival, 1875Carmen suites, brani scelti
Prelude - ouverture (suite 1)
Prologue (suite 1)
La Garde montante (suite 2)
Entracte (preludio dell’atto terzo) (suite 1)
Marche des contrebandiers (suite 2)
Entracte (preludio del IV atto) (suite 1)
Danse bohème
Come è accaduto per molti altri capolavori del teatro musicale, anche la Carmen di George Bizet non ebbe, alla sua prima rappresentazione avvenuta il 3 marzo 1875 all’Opéra-Comique di Parigi, un’accoglienza tale da far presagire la straordinaria fortuna di cui avrebbe goduto in seguito. Il benpensante pubblico parigino, saldamente ancorato al moralismo e al perbenismo della borghesia che proprio in quel periodo celebrava i suoi fasti, rimase scandalizzato dal soggetto dell’opera che i librettisti H. Meilhac e L. Halévy trassero da una novella di Mérimée, in cui tutti i valori borghesi dell’Ottocento romantico venivano sistematicamente colpiti e il lieto fine, tipico di quel genere teatrale, era disatteso per la morte della protagonista per mano del suo gelosissimo amante Don José. La Carmen, alla cui composizione Bizet si era dedicato sin dal 1872 con grande entusiasmo, rimane un’opera importante per aver anticipato il verismo e il realismo psicologico nel teatro lirico oltre che il mito decadente della femme fatale, suprema dispensiera di piacere, ma anche di morte. La Carmen, che conobbe il successo già nell’autunno dello stesso anno in una rappresentazione a Vienna con i dialoghi parlati sostituiti con recitativi da Giraud, annoverò, tra i suoi estimatori, il filosofo Nietzsche che la considerò espressione della solarità mediterranea e di un ritorno alla natura e alla gioia. Protagonista dell’opera è Carmen, una zingara di straordinaria bellezza, che lavora come sigaraia in una manifattura di tabacco nei pressi di una piazza di Siviglia; al suo fascino nessuno riesce a sottrarsi, nemmeno Don Josè, un brigadiere dei dragoni, che non esita a sacrificare il suo onore, favorendone la fuga dopo l’arresto in seguito ad una rissa in cui la donna ha ferito una sua compagna, e la sua stessa carriera aggregandosi ad un gruppo di contrabbandieri di cui Carmen faceva parte. Queste prove d’amore non sono sufficienti a conquistare definitivamente l’amore di Carmen che, divenuta l’amante del torero Escamillo, viene uccisa dal brigadiere geloso. La prima Suite, costituita da alcuni dei passi più significativi dell’opera, si apre con l’Ouverture, formata dai due brani iniziali, Toreadors, dove, con un ritmo travolgente, vengono presentati i temi della scena iniziale dell’atto quarto che preparano l’atmosfera della corrida, e Prologue in cui è esposto il minaccioso ed inquietante tema del destino su un angoscioso tremolo degli archi. La garde montante corrisponde al coro dei bambini dell’atto primo, che, aperto da una fanfara militare, prosegue con il clarinetto e i violini che imitano le voci dei fanciulli. Di carattere lirico è il successivo Intermezzo, preludio all’atto terzo, caratterizzato da una poetica melodia del flauto. La Marche des contrabandiers, originariamente un brano corale, si caratterizza per un’atmosfera notturna, mentre nel preludio all’atto quarto, Aragonaise, il colore spagnolo emerge nei ritmi e nelle sonorità orchestrali.
Durata: 20'
Georges Bizet
Parigi, 1838 - Bougival, 1875L’Arlésienne (L’Arlesiana) suites, brani scelti
Prelude (Suite 1)
Adagetto (Suite 1)
Pastorale (Suite 2)
Intermezzo (Suite 2)
Farandole (Suite 2)
Nonostante il lieto evento della nascita del figlio Jacques, il 1872 non fu un anno particolarmente felice, dal punto di vista professionale, per Bizet la cui opera Djamileh, rappresentata per la prima volta all’Opéra-comique di Parigi il 22 maggio dello stesso anno, fu accolta piuttosto freddamente dal pubblico. La stessa sorte toccò anche alle musiche di scena composte per il dramma L’Arlésienne di Alphonse Daudet su commissione del direttore del Théâtre de Vaudeville, Carvalho, che volle riprendere un vecchio genere teatrale, il mélodrame, consistente in una dramma accompagnato e commentato da musiche di scena. Bizet, entusiasta di tale commissione, si mise subito al lavoro portando a termine in meno di sei settimane questa composizione originariamente costituita da 27 numeri per voce, coro e piccola orchestra, ridotta, quest’ultima, per ragioni economiche, a 26 elementi. Questa limitazione rappresentò uno stimolo piuttosto che un ostacolo per Bizet il quale, intuendo anche le possibilità timbriche di strumenti fino a quel momento poco usati, come il sassofono, scrisse un autentico capolavoro in cui espresse perfettamente la forza drammatica del soggetto penetrando, nel contempo, nella psiche dei personaggi. Il compositore fu, infatti, particolarmente ispirato dal dramma di Daudet, il cui soggetto si riferiva a un fatto realmente accaduto: l’amore infelice di un parente del poeta provenzale Mistral per una giovane di Arles e il conseguente tragico suicidio. Nonostante l’impegno e l’entusiasmo di Bizet nel comporre queste musiche, la prima rappresentazione al Théâtre de Vaudeville di Parigi il primo ottobre 1872 si rivelò un insuccesso e l’opera, dopo ventuno repliche a sala praticamente vuota, finì per essere ignorata. Nemmeno i critici furono particolarmente favorevoli e uno di loro, Gustav Bertrand, dalle colonne dell’autorevole giornale «Ménestrel» stroncò l’opera con eccessiva durezza. L’unica voce fuori dal coro fu quella del compositore e critico musicale Ernest Reyer che scrisse:
“Andate ad ascoltare L’Arlésienne, giovani musicisti che sinora avete dato molto da sperare ai vostri professori, e forse vi sentirete incoraggiati e diventerete più assidui nei vostri studi quando avrete visto a che grado di valentia sia giunto uno che, soltanto pochi anni fa, sedeva come voi sui banchi di scuola”.
Bizet, convinto della qualità della composizione, realizzò poco dopo una suite sinfonica che venne eseguita il 10 novembre dell’anno seguente a Parigi, mentre la seconda suite fu realizzata da Ernest Guiraud quattro anni dopo la morte del compositore.
Il primo movimento, Prelude, tratto senza alcune variazioni dalle musiche di scena, è caratterizzato da un ritmo marziale, mentre un’atmosfera lirica e sognante informa l’Adagetto. Tratta dalla Suite n. 2 è Pastorale che si impone per la raffinata ricerca timbrica con la sezione degli strumenti a fiato che apre la partitura. Anche nel successivo Intermezzo, che si caratterizza per l’utilizzo di melodie piuttosto gravi, una grande importanza è rivestita dagli strumenti a fiato, mentre estremamente vivace è la Farandole conclusiva, una danza provenzale nella quale riappare il tema popolare del Preludio della prima suite.
Riccardo Viagrande
Durata: 25'