Brahms & Schumann
Daisuke Muranaka, direttore
Uto Ughi, violino
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Programma
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Johannes Brahms
Amburgo, 1833 - Vienna, 1897Ouverture Tragica in re minore op.81
Allegro ma non troppo, Molto più moderato, Tempo primo
La Tragica, composta nel 1880, nello stesso periodo dell’Accademica op. 80, con la quale condivide l’occasione della sua composizione, si presenta ad essa complementare per la sua natura, in quanto sembra soddisfare il bisogno dell’autore di esprimere la malinconia del suo animo dopo il gioco musicale dell’Op. 80. Si è ipotizzato, tuttavia, che questa ouverture abbia avuto una genesi più remota nel tempo che risalirebbe al periodo in cui Brahms pensava all’ambizioso progetto di scrivere un’opera. Secondo lo studioso Francesco Bussi:
“In realtà, auspice un certo richiamo al precedente beethoveniano dell’ouverture per la tragedia Coriolan di Collin, pare che l’Op. 81 sia stata composta per una tragedia, verosimilmente come introduzione strumentale al Faust di Goethe, per una sua rappresentazione al Burgtheather di Vienna, del quale Brahms fu del resto assiduo frequentatore, senza che mai, tuttavia, il progetto riuscisse ad attuarsi […]. In particolare, al progetto faustiano pare che Brahms sia stato sollecitato dal poeta Franz von Dingelstedt, allora direttore dal 1867 del viennese tempio della prosa, che però, complice la morte, non giunse a far rappresentare la sua versione scenica del poema goethiano, coinvolgendo involontariamente nella mancata attuazione dell’ambizioso disegno il musicista. Parallelamente, anche i due tempi mediani della Terza Sinfonia avrebbero origine faustiana. Per altro, la presenza di così remoti abbozzi può indurre e in effetti ha indotto, a dubitare di una destinazione esteriore della Tragica”.
In questo lavoro, considerato da Sergio Martinotti, un esempio magnifico di musica pura, molti critici hanno ritrovato, in effetti, lo spirito delle ballate giovanili op. 10 per la stessa atmosfera leggendaria e fantastica, per quel binomio fierezza-dolcezza tipico in un uomo del nord, per quel senso intimistico e personale del tragico. L’ouverture, dal punto di vista formale, presenta uno schema italiano con un episodio centrale più statico incorniciato da due sezioni più animate. A livello macroformale l’ouverture è scritta in forma-sonata con due temi principali e nove idee secondarie, con un elaborato sviluppo, del quale protagonista è il primo tema, e con una ripresa accorciata a cui segue un’articolata Coda. Di grande effetto è l’attacco con due accordi eseguiti in fortissimo a cui segue il primo tema esposto dagli archi sostenuti dai timpani.
Già alla prima esecuzione avvenuta in un concerto della filarmonica di Vienna sotto la direzione di Hans Richter il 26 dicembre 1880, l’Ouverture suscitò consensi favorevoli condivisi, in seguito, con l’Accademica a Breslavia, a Münster e in molte città olandesi.
Durata: 12'
Johannes Brahms
Amburgo, 1833 - Vienna, 1897Concerto in re maggiore op.77 per violino e orchestra
Allegro non troppo
Adagio
Allegro giocoso, ma non troppo vivace
Nell’estate del 1878 Brahms, di ritorno dall’Italia, si fermò nel villaggio di Pörtschach, in Carinzia, con l’intenzione di raggiungere presto Vienna, ma, attratto dalla bellezza e dalla serenità di quel luogo, vi restò più a lungo, come egli stesso ebbe modo di scrivere all’amico Billroth:
“Mi sono fermato in questo paese al ritorno dall’Italia, con l’intenzione di proseguire per Vienna. Ma il primo giorno è stato così bello che ho deciso di fermarmi anche il secondo; il secondo così bello che ho deciso di rimanere il terzo, e così via. Montagne bianche di neve, il lago azzurro, gli alberi ricoperti di un verde tenero, nessuno potrebbe darmi torto”.
È in questa splendida cornice che egli meditò di comporre un nuovo lavoro, come si evince dal fatto che egli chiese che gli fosse spedita da Vienna molta carta da musica e in un lettera al critico Hanslick scrisse: «In questo villaggio vagano così tante melodie che si deve stare attenti a non calpestarle». Nacque così il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 che, composto in brevissimo tempo e completato nel mese di agosto, fu sottoposto da Brahms, mai soddisfatto, a ritocchi che lo impegnarono fino al mese di novembre. Pur essendo innamorato del violino, egli non aveva una perfetta competenza tecnica, e, per questo motivo, si rivolse al suo amico, il violinista Joachim, per alcune consulenze. Nonostante i consigli di Joachim, che eseguì il Concerto per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia il 1° gennaio del 1879, questo lavoro non fu subito compreso dal pubblico e dagli stessi musicisti che lo giudicarono, in certi passi, ineseguibile. Emblematiche furono anche alcune stroncature che, tuttavia, misero in evidenza il carattere innovativo del Concerto, non ancora del tutto comprensibile né al pubblico né alla critica dell’epoca. Il Concerto fu definito, infatti, ora una Sinfonia con violino obbligato, ora un Concerto contro il violino secondo quanto affermato da Bülow, ora un Concerto tra violino e orchestra, in cui alla fine vince l’orchestra. Soltanto nel Novecento il Concerto fu rivalutato e considerato un capolavoro del repertorio violinistico da paragonare ai lavori di Beethoven, di Mendelssohn e di Čajkovskij.
Anche il Concerto per violino e orchestra, come i due per pianoforte, presenta un’impostazione sinfonica dalle proporzioni monumentali. Il primo movimento, Allegro non troppo, in forma-sonata, mostra sin dalle prime battute il suo carattere sinfonico con tre temi, dei quali il primo presenta toni di accentuato lirismo e di grande cantabilità; ad esso si contrappone l’entrata del violino solista che si impone per una scrittura idonea ad esaltare le caratteristiche tecniche dello strumento. La scrittura sinfonica del primo movimento raggiunge il suo punto culminante nello sviluppo dove i temi sono sottoposti ad un’elaborazione molto complessa. Un’impostazione classica presenta il secondo movimento, Adagio, la cui struttura formale tripartita è riassumibile nello schema A-B-A. Suggestiva e poetica è la melodia d’apertura, di carattere pastorale, che, secondo Max Bruch, deriva da una vecchia canzone boema. Affidata all’oboe, questa melodia ha dato adito anche alla celebre quanto maligna battuta di Pablo de Sarasate che affermò:
“Non posso negare che si tratti di buona musica. Ma non potete certo pensare che io sia così privo di buon senso da salire sul palco, con il violino in mano, per ascoltare un oboe che nell’Adagio esegue l’unica melodia di tutto il Concerto!”
Un intenso lirismo informa la sezione centrale, mentre nella conclusione si affermano toni soffusi grazie al timbro dolce dei fiati. Di grande respiro sinfonico è il Finale con il solista, che introduce un tema di carattere tzigano eroico e rude al tempo stesso che, molto probabilmente, sarebbe stato apprezzato da Haydn, ma che fu ritenuto da Joachim quasi ineseguibile, in contrasto con l’orchestra. Vivace e marcato è anche il secondo tema, mentre il terzo è estremamente dolce e melodico. Tutto il movimento è un brillante Rondò nel quale il solista può mettere in evidenza le sue doti tecniche.
Durata: 37'
Robert Schumann
Zwickau, 1810 - Bonn, 1856Sinfonia n.2 in do maggiore op.61
Sostenuto assai, Allegro ma non troppo
Scherzo: Allegro vivace con Trio I e Trio II
Adagio espressivo
Allegro molto vivace
“Tamburi, trombe in do stavano squillando nella mia testa”.
Queste enigmatiche parole, scritte da Schumann nel 1845 in una lettera indirizzata a Mendelssohn, si riferiscono molto probabilmente al motto iniziale della Seconda sinfonia in do maggiore affidato ai corni, alle trombe e ai tromboni. È questo il primo accenno alla suddetta sinfonia, composta in un periodo particolarmente difficile per Schumann a causa della malattia mentale che si era manifestata poco tempo prima e che lo avrebbe condotto lentamente alla prematura morte. Nel mese di agosto del 1844 la moglie Clara aveva scritto, infatti, nel suo diario: «Robert non riusciva a dormire una sola notte. La sua immaginazione gli dipingeva le immagini più terribili». Questo stato piuttosto fragile della sua salute mentale aveva anche ridotto di gran lunga le capacità creative di Schumann che, in una lettera indirizzata a Mendelssohn nel settembre del 1845, scrisse:
“Tutto lo scrivere è un duro sforzo per me… Io ho prurito e spasimi ogni giorno in un centinaio di luoghi diversi. Un misterioso lamento – ogni volta che il medico cerca di mettere il dito nella piaga – sembra prendere le ali. Ma tempi migliori torneranno; e guardare mia moglie e i bambini è una grande gioia”.
Tempi migliori tornarono presto e nella seconda settimana di dicembre del 1845 Schumann iniziò a comporre la Seconda sinfonia la cui stesura pianistica fu completata nel breve volgere di tre settimane. L’orchestrazione, iniziata il 12 febbraio del 1846, fu completata soltanto dieci mesi dopo a causa del ripresentarsi delle fobie e di un terribile e insopportabile suono all’orecchio che non gli dava tregua; non fu salutare nemmeno un breve soggiorno a Maxen, dove, recatosi con la famiglia nel tentativo di riacquistare la salute perduta, fu colpito da nuove e terribili fobie, come la paura della cecità, della morte e di essere avvelenato, alle quali si aggiunse anche la preoccupazione che il pubblico avrebbe trovato delle tracce di questo periodo ottenebrato da tante nevrosi nella musica della Seconda sinfonia. Nonostante le oggettive difficoltà, l’orchestrazione fu presto completata e la Sinfonia fu eseguita per la prima volta il 5 novembre del 1846 al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione di Mendelssohn. Secondo le affermazioni del musicologo Anthony Newcomb, la Seconda sinfonia è stata concepita come una sorta di romanzo di formazione novecentesco soprattutto per la struttura formale fortemente coesa con alcuni elementi tematici che ritornano nei quattro movimenti conferendo all’intero lavoro una straordinaria unità. Così il motto iniziale, affidato agli ottoni, ritorna nella coda dell’ultimo movimento e nello Scherzo, mentre il Finale riassume alcuni elementi tematici tratti dal primo movimento e dall’Adagio.
Il primo movimento si apre con un’introduzione lenta, Sostenuto assai, che si impone immediatamente non solo per il motto iniziale, costituito da una suggestiva fanfara il cui suono sembra provenire da lontano, ma anche per una straordinaria perizia contrappuntistica acquisita grazie allo studio, insieme alla moglie Clara, del Cours de contrapoint di Luigi Cherubini. A questa introduzione segue l’Allegro ma non troppo che presenta un contenuto autobiografico come lo stesso compositore affermò: «Riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Protagonisti del secondo movimento, Scherzo (Allegro vivace), sono gli archi e, in particolar modo, i primi violini che si esibiscono in una sorta di moto perpetuo; i due Trii presentano un carattere contrastante in quanto al primo sognante si contrappone il secondo fortemente caratterizzato in senso contrappuntistico. In questo secondo Trio figura un tema strutturato nella forma dell’acrostico del nome di Bach costituito dalle quattro note: si bemolle, la, do, si naturale che nella tradizione musicale anglosassone sono indicate con le lettere dell’alfabeto del nome di Bach al quale Schumann ha voluto così rendere omaggio. Carattere malinconico presenta il terzo movimento, Adagio espressivo, con i violini, prima, e gli oboi, dopo, che espongono una melodia che inizia in do minore e si conclude in mi bemolle maggiore; anche in questo movimento il contrappunto ritorna ad essere assoluto protagonista nella sezione centrale che prelude alla ripresa della melodia iniziale conclusa, stavolta, in maggiore. Nel Finale, Allegro molto vivace, insieme alla ripresa di alcuni elementi tematici tratti dal primo e dal terzo movimento, è introdotta, nella parte conclusiva affidata all’oboe, una melodia molto simile a quella del Lied di Beethoven intitolato An die ferne Geliebte già utilizzato da Schumann nella Fantasia op. 17.
Riccardo Viagrande
Durata: 40'