Čajkovskij, Prokof'ev & Schubert
Enrico Dindo, direttore/violoncello
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Luogo
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Politeama Garibaldi
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Venerdì 14 Febbraio 2020
Ore
21,00
Durata
90min.
Prezzi
25 - 12 €
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Programma
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Pëtr Il'ič Čajkovskij
Votkinsk, 1840 - San Pietroburgo, 1893Variazioni su un tema rococò op. 33 per violoncello e orchestra
Moderato assai quasi Andante – Tema: Moderato semplice
Var. I: Tempo della thema
Var. II: Tempo della thema
Var. III: Andante sostenuto
Var. IV: Andante grazioso
Var. V: Allegro moderato
Var. VI: Andante
Var. VII e Coda: Allegro vivo
La passione di Čajkovskij per Mozart e per il Settecento in generale costituisce la fonte d'ispirazione delle Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra, la cui genesi appare, in realtà, piuttosto travagliata. Non essendo, infatti, un violoncellista, come è dimostrato dall'esiguo numero di lavori da lui composti per questo strumento, complessivamente quattro, di cui due, Andante cantabile dal Quartetto n. 1 op. 11 e il Nocturne dal quarto dei Six Morceaux op. 19, sono delle trascrizioni, e un altro solo, Pezzo capriccioso op. 62, è una composizione originale, Čajkovskij si rivolse per dei consigli a Wilhelm Fitzenhagen, violoncellista tedesco che, oltre ad essere docente al Conservatorio di Mosca, era anche direttore della Società Musicale e Orchestrale. Amico di Čajkovskij, del quale aveva interpretato i primi tre Quartetti per archi, Fitzenhagen non solo diede i suoi consigli, ma apportò sostanziali modifiche alla partitura che, composta nel 1876, vide, in questa versione ritoccata, la sua prima esecuzione a Mosca il 30 novembre 1877 con il violoncellista tedesco in qualità di solista e Nikolaj Rubinstein sul podio. Per ironia della sorte la versione di Fitzenhagen, che, qualche tempo dopo, senza interpellare il musicista, apportò nuove modifiche alla partitura facendo pubblicare questo lavoro per ben due volte nel 1878 (riduzione per violoncello e pianoforte) e nel 1889, fu quella conosciuta e correntemente eseguita per oltre 70 anni. Soltanto nel 1956 il violoncellista russo Victor Kubatsky, dopo aver sottoposto il manoscritto di Čajkovskij ai raggi x, riuscì a ricostruire la versione originale nella quale è possibile percepire con maggiore evidenza l'ispirazione settecentesca della partitura offuscata dagli intenti virtuosistici di Fitzenhagen che aveva modificato anche l'ordine delle variazioni. Pur essendo stata incisa da grandi violoncellisti come Steven Isserlis e Julian Lloyd Webber, la versione originale non si è del tutto affermata nel repertorio. La maggior parte dei violoncellisti, infatti, studia ancora quella con le modifiche di Fitzenhagen che, del resto, nonostante qualche irritazione, non fu mai apertamente contestata dal compositore. Si racconta, anzi, che ad Anatoliy Brandukov, un allievo di Fitzenhagen, il quale gli aveva chiesto se fosse opportuno ritornare alla versione originale, Čajkovskij abbia risposto che era meglio lasciare le cose come stavano.
Nella versione correntemente eseguita, il brano si apre con una breve introduzione dell'orchestra conclusa da un assolo del corno, alla quale segue l'esposizione, da parte del solista, del tema in 2/4, di composizione di Čajkovskij e non tratto da lavori di quel periodo, il cui profilo aggraziato e semplice richiama perfettamente lo stile rococò. La prima variazione, nel «Tempo della Thema», come recita la partitura, si caratterizza per le eleganti fioriture del tema affidate al violoncello su leggeri pizzicati degli archi, mentre la seconda, sempre nello stesso tempo, è tutta giocata sulla contrapposizione tra le rapide scale affidate al violoncello e gli interventi dell'orchestra. Di carattere cantabile è la terza variazione (Andante sostenuto), che, in realtà, era la sesta della versione originale e, in effetti, si allontana molto dal tema sia per la tonalità (do maggiore) che per la frazione 3/4. Nella quarta, un Andante grazioso di carattere manierato, si ritorna sia alla tonalità d'impianto (la maggiore) sia alla frazione iniziale di 2/4, mentre più virtuosistica è la quinta variazione, Allegro moderato, la vecchia quarta dell'originale, nella quale il solista esegue due cadenze, di cui la seconda costituisce un ponte con la sesta variazione (quinta nell'originale), un Andante in re minore in cui il tema appare intriso di un intenso lirismo. Virtuosistica è, infine, la settima variazione (terza dell'originale) che conduce alla brillante Coda.
Durata: 20'
Sergej Sergeevič Prokof'ev
Soncovka 1891 - Mosca 1953Sinfonia n.1 in re maggiore op.25 "Classica"
Allegro con brio
Larghetto
Gavotta, Non troppo allegro
Finale, Molto vivace
“Caro Njamočka, vi mando i miei saluti da Čerdyn, ma dato che le vostre cognizioni geografiche sono troppo rudimentali, per farvi sapere dove si trova, ve ne fornisco una descrizione: è presso l’affluente del Kama, a 1300 verste dalla foce. Qui il Kama è selvaggio, vergine e straordinariamente bello con le sue rosse sponde montagnose, dagli ombrosi rami di conifere siberiane. Sto strumentando il mio Concerto per violino e sto terminando la sinfonia che voi chiamate puttana” (M.R. Boccuni, Prokof’ev, L’Epos, Palermo, 2003, p. 165)
Con questo poco lusinghiero appellativo Prokof’ev definì con una certa ironia, in questa lettera del mese di maggio 1917 indirizzata all’amico Mjaskovskij, la sua Prima sinfonia, alla cui composizione egli attese nell’estate dello stesso anno in un periodo non certo facile per la Russia e per il mondo, scossi entrambi dall’immane tragedia della Prima Guerra Mondiale; in Russia, impegnata nella guerra contro gli imperi centrali, si stavano già manifestando, inoltre, i primi segni di quei rivolgimenti politico-sociali che da lì a pochi mesi avrebbero portato alla rivoluzione d’ottobre, alla definitiva caduta del regime zarista e alla conquista del potere da parte di Lenin e dei comunisti. In queste difficili circostanze nacque la Sinfonia n. 1 che Prokof’ev preferì più finemente chiamare classica per essersi ispirato allo stile di Haydn, come egli stesso non mancò di sottolineare nella sua autobiografia, nella quale ricordò con una certa dovizia di particolari anche le circostanze della sua composizione:
“Trascorsi l’estate del 1917 nei dintorni di Pietrogrado, completamente solo, a leggere Kant e a lavorare. Di proposito non portai il pianoforte nella dača, in modo da provare a comporre senza. Fino ad allora avevo composto di solito al pianoforte, ma avevo notato che il materiale tematico scritto senza lo strumento spesso era qualitativamente migliore […] Mi ero appassionato all’idea di scrivere un’intera sinfonia senza pianoforte. Doveva avere un colore orchestrale pulito. E così nacque il progetto di una sinfonia che avesse lo stile di Haydn, dato che la tecnica di questo compositore mi era diventata in un certo senso assolutamente chiara, dopo il lavoro svolto nella classe di Čerepnin e in quella situazione a me familiare era più semplice avventurarsi in mare aperto senza pianoforte. Mi pareva che se Haydn fosse vissuto fino ai giorni nostri avrebbe conservato il suo modo di scrivere, ma allo stesso tempo sarebbe stato sensibile al nuovo. Desideravo comporre una sinfonia così: una sinfonia in stile classico. E quando cominciò a prendere forma la chiamai Sinfonia classica: in primo luogo era più facile; secondariamente perché volevo usare monellerie per “stuzzicare le oche” e infine nella speranza segreta che in fin dei conti avrei vinto io se la Sinfonia fosse sembrata così classica. La composi passeggiando nei campi e nello stesso tempo lavorando all’orchestrazione del Concerto per violino op. 19. Il primo tema era stato composto già nel 1915 e dopo non ebbi mai i rimpianti che altri lavori avrebbero potuto mescolarsi, tornando “all’inizio sognante del concerto per violino”. A poco a poco nell’estate del 1917 la musica venne composta e il concertino divenne un concerto e nella stessa estate 1917 terminai la partitura. Nella Sinfonia classica prima di tutto composi la Gavotta. In seguito, ma era già pronto dal 1916, il materiale per il primo e per il secondo movimento. Ma in quel 1917 restava ancora da fare un lavoro considerevole. Nel Finale sottolineai la prima versione con tutti i materiali e ne composi una nuova, ponendomi come compito che fossero assenti accordi in minore. Quando la musica della Sinfonia classica fu terminata e l’orchestrazione avanzata, mi venne in mente di scrivere una miniatura della Sinfonia classica e di dedicarla a Djagilev per la sua preoccupazione relativa al mio stile russo” (Ivi, pp. 165-166)
Parole chiare che evidenziano come l’ispirazione di questa Sinfonia sia derivata al compositore dalla sua perfetta conoscenza delle sinfonie di Haydn il cui studio aveva intrapreso quando frequentava il corso di direzione d’orchestra tenuto da Čerepnin. La prima esecuzione della Sinfonia, avvenuta il 21 aprile 1918 a Pietroburgo sotto la direzione dell’autore, fu un trionfo e rappresentò un’importante occasione per Prokof’ev che, proprio quella sera, poté fare la conoscenza di Anatolij Vassiljevič Lunačarskij, primo Commissario del Popolo per la Cultura del neonato regime sovietico, il quale alla richiesta del compositore di poter espatriare rispose:
“Voi siete un rivoluzionario in musica e noi lo siamo nella vita: sarebbe bene poter lavorare insieme. Ma se voi desiderate partire, io non ve lo impedirò”.
Può apparire forse singolare che un compositore come Prokof’ev, sempre attento alle sperimentazione di nuovi linguaggi musicali e definito da un esponente del neonato regime un rivoluzionario in arte, abbia scelto di affidarsi alle solide forme classiche per questo suo primo lavoro sinfonico. Forse la scelta di Prokof’ev fu dettata dalla volontà di reagire alla difficile situazione politica aggrappandosi proprio a quelle forme classiche nelle quali vedeva una garanzia di stabilità se non altro nell’arte. Nonostante ciò, anche in questo lavoro, composto senza l’ausilio del pianoforte e per un organico orchestrale che riproduce quello delle londinesi di Haydn, Prokof’ev non rinunciò a qualche interessante novità che, a suo giudizio, avrebbe introdotto anche lo stesso Haydn se fosse vissuto in quel periodo.
L’ispirazione haydnniana appare evidente già nel primo movimento, Allegro, in forma-sonata che, aperto da un gesto imperioso, presenta uno sviluppo particolarmente ridotto, estremamente vicino allo stile dei lavori sinfonici che precedettero la grande rivoluzione beethoveniana. Un carattere fresco e scintillante presentano i due temi come del resto tutto questo primo movimento. Una grazia tutta settecentesca informa il secondo movimento, Larghetto, dalla struttura tripartita A-B-A1, che si distingue per un tema cantabile affidato ai primi violini. La novità più eclatante della sinfonia, rispetto alle forme classiche scelte da Prokof’ev, è senza dubbio costituita dalla settecentesca Gavotta, che il compositore avrebbe riutilizzato successivamente nell’opera Romeo e Giulietta, in luogo del tradizionale minuetto, mentre il Finale, Molto vivace, è una pagina fresca e scintillante.
Durata: 14'
Franz Schubert
Vienna, 1797 - Vienna, 1828Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore D 485
Allegro
Andante con moto
Minuetto
Allegro vivace
Il 1816 fu un anno particolarmente intenso e felice per Franz Schubert che, nonostante il faticoso e poco amato impiego come maestro di scuola, trovò il tempo per comporre alcuni dei più importanti capolavori della sua produzione musicale, tra i quali, insieme ad alcuni Lieder su testi di Goethe, figurano la Quarta sinfonia, completata ad aprile e intitolata Tragica dall’amico Schober, il Rondò per violino ed archi, una pagina preziosa, più cameristica che orchestrale, che non sfigura accanto alle sue opere più celebrate e per lungo tempo più famose, e la Quinta sinfonia terminata il 3 ottobre. Questa Sinfonia, che può essere considerata un gioiello riservato a pochi, quella ristretta cerchia di amici per i quali Schubert faceva eseguire in forma privata le sue composizioni, fu eseguita, per la prima volta nell’autunno del 1816 in casa di Otto Harwing, strumentista del Burgtheater, che diresse un’orchestra di dilettanti; la sinfonia, come molte altre opere del compositore austriaco, divenne popolare soltanto dopo molti anni dalla sua morte essendo stata pubblicata a Lipsia dalla casa editrice Breitkopf & Hartel nel 1885.
Nella Quinta sinfonia e nel Rondò, composto contemporaneamente, Schubert s’ispirò al modello mozartiano, di cui si servì, da una parte, per sottrarsi alla pesante influenza di Beethoven, dall’altra, per rivelare il suo grande amore per le melodie del Salisburghese definite magiche e di cui diede efficace testimonianza in una pagina del suo diario scritta la sera del 13 giugno 1816:
“Questo giorno rimarrà sempre per me uno dei più sereni e più luminosi della mia vita. Come un’eco lontana mi risuonano le magiche melodie di Mozart. Nelle tenebre di questa vita ci mostrano un avvenire sereno e luminoso a cui aneliamo con fede. O Mozart, immortale Mozart, quanti raggi della luce avvenire tu hai dardeggiato nella nostra anima!”
Proprio i raggi del genio immortale di Mozart sembrano illuminare questa Sinfonia, che per la delicatezza dell’organico, leggero e quasi cameristico per l’assenza dei timpani e delle trombe, si presenta come un vero e proprio omaggio al compositore di Salisburgo.
Vivacità e brillantezza, caratteristiche fondamentali della Sinfonia, emergono già nel primo movimento, Allegro, in forma-sonata, le cui quattro misure d’introduzione formano un vero e proprio siparietto, che si alza grazie ai legni e ai primi violini ai quali è affidato il compito di introdurre con un disegno staccato il primo tema, di carattere gaio e spensierato. Alla spensieratezza del primo tema fa da pendant il carattere galante del secondo esposto, con leggerezza, dagli archi. Molto elegante è il secondo movimento, Andante con moto, diviso, dal punto di vista formale, in due sezioni e con un primo tema semplice e di carattere popolare, mentre il Minuetto è il movimento dove il modello mozartiano appare maggiormente seguito; il tema principale, secondo alcuni commentatori, ricorda, infatti, quello del Minuetto della Sinfonia in sol minore di Mozart. Caratteristiche più marcatamente schubertiane ha, invece, il Trio, nel quale appare un gentile tema di Ländler, esposto dai violini. L’ultimo movimento, Allegro vivace, si evidenzia nella parte iniziale per una scrittura estremamente frizzante e brillante che ricorda lo stile rossiniano nel primo tema, a cui si contrappone il secondo, cantabile e grazioso.
Riccardo Viagrande
Durata: 28'