Donato Renzetti / Franck / Ravel
Donato Renzetti, direttore
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Programma
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César Franck
Liegi, 1822 - Parigi, 1890Sinfonia in re minore
Lento, Allegro non troppo
Allegretto
Finale: Allegro non troppo
Periodo di composizione: 1886-1888
Prima esecuzione: Parigi, Salle du Concert du Conservatoire de Musique, 17 febbraio 1889. Il 31 marzo dello stesso anno viene inaugurata la Torre Eiffel in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi.
Completata il 22 agosto del 1888 dopo due anni di lavoro ed eseguita, per la prima volta, presso la Societé Nationale di Parigi il 17 febbraio 1889, la Sinfonia in re minore è uno degli ultimi lavori di César Franck, Non si conoscono con precisione le ragioni che indussero il compositore a cimentarsi nel genere sinfonico, poco apprezzato nell’Ottocento in Francia, ma è probabile che egli abbia effettuato questa scelta formale dopo il successo delle sue Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra composte nell’estate del 1885. La Sinfonia in re minore non ebbe, però, immediatamente un’accoglienza favorevole da parte del pubblico, nonostante il genere sinfonico, in quello stesso periodo, fosse ritornato in auge in Francia grazie alla Sinfonia su un canto di Montagna di Vincent D’Indy e alla Sinfonia n. 3 in do minore op. 78 di Saint-Saëns, composte entrambe nel 1886, che godettero di enorme popolarità. Questi due lavori sembrano i modelli a cui Franck si ispirò direttamente soprattutto per la struttura ciclica, anche se decise di non introdurre, come avevano fatto Saint-Saëns e D’Indy, elementi tematici nazionalistici. Questa scelta, unita a una scrittura armonica estremamente complessa per l’uso del cromatismo di ascendenza wagneriana, fu la causa dell’accoglienza piuttosto fredda del pubblico che ebbe modo di ascoltare un’opera nella quale confluivano e si fondevano la tradizione francese con la sua struttura ciclica e quella romantica di origine tedesca. Nel periodo in cui la Sinfonia fu eseguita per la prima volta era, inoltre, molto forte la polemica accesa dai sostenitori della musica francese, che avevano contestato la decisione presa nel 1886 dalla Societé Nationale di eseguire anche musica straniera, soprattutto tedesca. Il clima non certo favorevole, oltre a determinare la fredda accoglienza della sinfonia, probabilmente ispirò anche i primi giudizi su questo lavoro, tra i quali spicca quello dell’autorevole critico Camille Bellaigue che considerò alcuni passi aridi e monotoni senza grazia e fascino, aggiungendo che i temi principali sui quali è costruita l’intera sinfonia erano appena superiori di livello a quelli dati agli studenti del Conservatorio. Non meno dura fu la stroncatura della rivista «Le Ménestrel», dove si legge: Franck aveva molto poco da dire qui. Nonostante le violenti stroncature tra le quali spicca quella di Charles Gounod che la definì come l’affermazione dell’incompetenza spinta fino al dogmatismo, la Sinfonia si affermò presto in Europa e nel mondo e fu eseguita con successo, per la prima volta, in America, a Boston, il 16 gennaio 1899 sotto la direzione di Wilhelm Gericke.
Il primo movimento, Lento, Allegro non troppo, di questa Sinfonia, strutturata secondo una forma ciclica, si apre con un’introduzione lenta, dove appare il celebre tema, affidato alle viole, ai violoncelli e ai contrabbassi, costituito da un semitono discendente seguito da un salto di quarta ascendente, sul quale si fonda tutta l’opera. Un poderoso crescendo porta all’esposizione in forma-sonata con un primo tema, derivato da quello iniziale, che contrasta con il secondo, dolce e cantabile, intonato dai violini. Molto particolare, dal punto di vista formale, è il secondo movimento, Allegretto, che si presenta come una fusione dell’Adagio e dello Scherzo, i due tempi centrali classici delle sinfonie in quattro movimenti. Questo movimento, nel quale passi di carattere danzante si alternano ad altri lirici e melodici, si apre con un suggestivo e cantabile tema affidato al corno inglese, la cui presenza in orchestra aveva scandalizzato il tradizionalista direttore del Conservatorio di Parigi Ambrosie Thomas che, secondo un aneddoto riferito da Vincent D’Indy nella sua monografia dedicata a Franck, suo maestro, esclamò durante le prove: il nome di una sinfonia di Haydn o di Beethoven in cui è usato il corno inglese, dimenticandosi che proprio Haydn aveva introdotto ben due corni inglesi nella sua Sinfonia n. 22 “Il filosofo”. Nel terzo movimento, Finale: Allegro non troppo, che si apre con cinque secchi accordi orchestrali, vengono ripresi tutti gli elementi tematici dei due movimenti precedenti in una scrittura ricca di invenzione culminante nella grandiosa e suggestiva coda conclusiva.
Durata: 42'
Maurice Ravel
Ciboure, 1875 - Parigi, 1937Le tombeau de Couperin (La tomba di Couperin), suite per orchestra
Prélude (Vif)
Forlane (Allegretto)
Menuet (Allegro moderato)
Rigaudon (Assez vif)
Periodo di composizione: 1914-1917 (versione pianistica); 1919 (versione orchestrale)
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 28 febbraio 1920. Due giorni prima fu redatto a Monaco di Baviera il programma politico del partito nazista e il 12 novembre Italia e Jugoslavia firmano il trattato di Rapallo
Alla stregua di altri lavori di Ravel, anche Le tombeau de Couperin è la versione orchestrale di un precedente lavoro pianistico, composto durante la Prima Guerra Mondiale, alla quale il compositore, preso da acceso patriottismo e da una forte volontà d’azione propugnata dalle ideologie delle moderne avanguardie culturali, aveva partecipato con entusiasmo arruolandosi da volontario senza mai cadere negli eccessi sciovinisti di Debussy che avrebbe voluto escludere dai programmi dei concerti tutti i musicisti tedeschi compreso Beethoven. Ravel iniziò a lavorare a Le tombeau de Couperin, ultimo suo lavoro pianistico, nel mese di luglio del 1914, mentre si trovava nell’incantevole località di Saint-Jean-de-Luz sull’Atlantico, portando al termine lo spartito nella versione pianistica soltanto tra il mese di giugno e il mese di novembre del 1917 al suo ritorno dal fronte. L’idea di comporre questa Suite si fece strada nella mente del compositore quasi per caso, come sembra dimostrato da una curiosa lettera indirizzata da Ravel alla sua amica Cipa Godebski, nella quale ironizzava sulla politica di Pio X che, cercando di ricomporre la separazione fra stato e chiesa in Francia, aveva messo in atto una forma di richiamo all’ordine dei laici francesi, lodando le danze campagnole tra le quali la forlana. In questa ironica lettera è contenuto il primo riferimento sia a François Couperin sia alle forlane di quest’ultimo, ben più raffinate di quelle popolari di origine trevigiana:
“Lavoro con le finestre aperte su un tempo primaverile… Nel frattempo volteggio secondo le disposizioni del papa. Voi sapete che questo augusto personaggio, del quale la casa Redfern eseguirà prossimamente alcuni progetti di abito, ha appena lanciato una nuova danza, la forlane. Ne sto trascrivendo una di Couperin. Mi occuperò di farla danzare in Vaticano da Mistinguett e da Colette Willy travestite. Non vi stupite di questo ritorno alla religione. È l’atmosfera nativa”.
Composta da sei brani, ciascuno dei quali dedicato alla memoria di un suo amico morto durante la Prima Guerra Mondiale, la Suite, nella sua versione pianistica, fu eseguita per la prima volta l’11 aprile 1919 a Parigi nella sala Gaveau da Marguerite Long, moglie del Capitano Joseph de Marliave, morto durante un’azione militare nel mese di agosto del 1914, a cui è, peraltro, dedicata la conclusiva Toccata. Nello stesso anno Ravel fece, in vista di una realizzazione ballettistica per la compagnia Les Balets Suédois (I balletti svedesi) di Rolf de Maré, una versione orchestrale di quattro dei sei brani della Suite e, in particolar modo, del Prélude, della Forlane, del Menuet e del Rigaudon, eliminando così la Fugue e la Toccata. La prima esecuzione della Suite fu, però, in forma di concerto a Parigi il 18 febbraio 1920 presso i Concerts Populaires Pasdeloup sotto la direzione di Rhené-Bâton, mentre il balletto vide le scene l’8 novembre dello stesso anno al Théâtre des Champs-Elysées con la compagnia dei Balets Suédois sotto la direzione di Désiré-Émile Inghelbrecht con la coreografia di Jean Börlin.
Il titolo tombeau, lungi dall’avere qualunque significato funebre, deve essere inteso nella sua accezione rinascimentale come un omaggio, alieno da qualunque forma di compianto, ad un illustre defunto. Il tombeau è, infatti, una convenzione letteraria rinascimentale in base alla quale si immagina che il defunto, dopo aver acquisito meriti morali e civili in vita, possa godere della beatitudine dei Campi Elisi, dove, secondo una visione di matrice gluckiana, i morti danzano al suono di raffinate danze di corte. In questa Suite, concepita, come dichiarato dallo stesso compositore nell’Esquisse autobiographique, dettato a Roland-Manuel nel 1928, come un omaggio diretto, in realtà, più alla musica francese del XVIII secolo che a Couperin, Ravel ha rivestito con un’armonia moderna le strutture dell’ordre, nome con il quale era chiamata in Francia nel Settecento la suite, del grande clavicembalista francese nelle tre magnifiche danze, Forlane, Menuet e Rigaudon, precedute, nella versione orchestrale, dal Prélude. Il Prélude è una pagina fluida, leggera e volubile, che nella versione orchestrale è dotata di un colore affascinante grazie al timbro dell’oboe, a cui è affidato il moderno tema nella sua struttura pentatonica, del clarinetto, del corno inglese, degli archi e di tutti gli altri strumenti che a poco si inseriscono come delle tessere di un raffinato mosaico. Una raffinata ricerca timbrica caratterizza anche la successiva Forlane, dedicata a Gabriel de Luc il cui tema settecentesco elegante e cerimonioso, esposto inizialmente dai primi violini, ritorna per ben tre volte in una scrittura estremamente moderna per la presenza di settime maggiori e cromatismi. Una grazia aristocratica e arcaizzante contraddistingue il successivo Menuet, il cui tema malinconico è esposto inizialmente dall’oboe, mentre il conclusivo Rigaudon dalla struttura formale tripartita (A-B-A1) vive del contrasto tra la brillante sezione iniziale, ripresa nella parte conclusiva, e la delicata parte centrale nella quale l’oboe intona una malinconica melodia pastorale accompagnato dal pizzicato degli archi che evocano le sonorità di una chitarra.
Durata: 21'
Boléro
Periodo di composizione: 1928
Prima esecuzione: Parigi, Opéra 22 Novembre 1928 (balletto) Parigi, Concerts Lamoureux, 11 gennaio 1930 (versione da concerto). Nel 1928 Federico García Lorca pubblicò Romancero gitano.
Il Boléro di Ravel è stato sempre accolto con entusiasmo dal pubblico costituendo, contrariamente alle previsioni del compositore stesso, una delle pagine sinfoniche più note e apprezzate del Novecento. La sfiducia di Ravel nei confronti di questa composizione è ben illustrata da un aneddoto che riguarda la sua première. Si narra infatti che alla fine dell’esecuzione tra il pubblico acclamante alcuni presenti gridarono che Ravel era un pazzo. Tale accusa non avrebbe suscitato alcun risentimento nel compositore il quale affermò con franchezza e autoironia che quei signori erano gli unici ad aver capito qualcosa.
È abbastanza difficile comprendere la motivazione dell’antipatia del compositore nei confronti di questa sua creatura, giudicata dallo stesso Ravel: “un compito di orchestrazione che qualsiasi allievo del conservatorio, avuto il tema, avrebbe potuto facilmente eseguire”. L’autocritica appare quanto meno eccessiva soprattutto se si considera la vastità dell’organico scelto da Ravel difficilmente gestibile da un semplice allievo di Conservatorio, ma è certo che la sua gestazione non fu semplice anche perché il Boléro, danza spagnola risalente alla seconda metà del XVIII sec., fu scritto proprio in un momento in cui Ravel aveva deciso di non comporre più musica per balletti dopo il rifiuto, da parte del direttore dei Balletti russi Sergej Diaghilev, di far eseguire La valse, commissionatagli poco tempo prima e ritenuta dall’impresario un semplice valzer non idoneo alla coreografia di un balletto. Il Boléro, quindi, nacque quasi per caso e dietro la pressante richiesta della ballerina franco-russa Ida Rubinstein che desiderava inserire nel suo repertorio di musica spagnola una pagina di grande effetto, come si evince da quanto si legge nelle ultime righe dell’abbozzo autobiografico:
“Nel 1928, su richiesta di Madame Ida Rubinstein, ho composto un Boléro per orchestra. È una danza in movimento moderatissimo e costantemente uniforme, tanto nella melodia che nell’armonia e nel ritmo, quest’ultimo scandito senza tregua dal tamburo”.
Inizialmente Ravel, probabilmente su richiesta della stessa ballerina, aveva pensato di orchestrare la suite Iberia di Isaac Albéniz, ma optò, poi, per un pezzo originale in seguito all’opposizione degli eredi del compositore spagnolo che avevano ceduto i diritti di orchestrazione delle musiche del loro illustre parente ad Enrique Fernàndez Arbòs.
Il Boléro, eseguito per la prima volta in forma da concerto l’11 gennaio 1930 sotto la direzione dello stesso Ravel ai Concerts Lamoureux di Parigi, in quella per balletto aveva già vissuto, due anni prima, il 20 novembre 1928, il suo debutto trionfale sotto la direzione di Walter Staram con le scene ideate dal pittore e scenografo franco-russo Alexandre Nicolaievitch Benois e la magistrale interpretazione di Ida Rubinstein che ballò su un tavolo di un’osteria, luogo in cui era ambientata la scena, con gesti sensuali tali da attirare l’attenzione degli uomini presenti i quali, in un crescendo di eccitazione, alla fine diedero vita ad una gigantesca rissa. Questa prima rappresentazione, così scabrosa, determinò il successo dell’opera nei locali notturni di Parigi dove le spogliarelliste si esibivano danzando in modo lascivo su questo tema sensuale e, al tempo stesso, ipnotico ripetuto per ben 18 volte passando tra i vari strumenti dell’orchestra in un crescendo di eccitazione che porta al travolgente finale. L’uniformità della melodia è la caratteristica peculiare di questo lavoro il cui tema si sviluppa per trentadue misure ed è divisibile simmetricamente in due periodi di 16 misure ciascuno, dei quali il primo, nella tonalità di do maggiore, ha una struttura diatonica mentre il secondo presenta delle alterazioni che delineano un’atmosfera moresco-spagnola senza condurre ad una vera e propria modulazione. A tale proposito Ravel affermò: “nessuna forma propriamente detta, nessuno sviluppo o quasi, nessuna modulazione, un tema tipo Padilla, del ritmo e dell’orchestra”. Ritmo e orchestra sono gli elementi caratterizzanti e, se il primo è uniforme e quasi ossessivo nel suo carattere ripetitivo, la seconda è estremamente varia dal punto di vista timbrico. Tutti gli strumenti del ricchissimo organico orchestrale, che contempla, tra gli altri, un oboe d’amore, un clarinetto piccolo e uno basso, e tre sax (uno sopranino, uno soprano e uno tenore), vengono esaltati sia nella loro individualità timbrica che nel loro insieme.
Riccardo Viagrande
Durata: 17'