Fauré & Ravel

Marco Guidarini, direttore

Asude Karayavuz, mezzosoprano

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    19 Novembre 2021

    Ore

    21,00

    Durata

    70min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    20 Novembre 2021

    Ore

    17,30

    Durata

    70min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Programma

  • Gabriel Fauré
    Pamiers, 1845 - Parigi, 1924

    Masques et bergamasques, op. 112 a, suite

    Ouverture - Allegro molto vivo

    Menuet - Tempo di minuetto. Allegretto moderato

    Gavotte - Allegro vivo

    Pastorale - Andantino tranquillo

     

    Composto nel 1919 su commissione del Principe Alberto I di Monaco, Masques et bergamasques, op. 112a è un divertimento coreografico che Gabriel Fauré scrisse su un canovaccio ideato da René Fauchois. Messo in scena a Montecarlo il 10 aprile dello stesso anno, questo lavoro si ispira alla lirica Clair de lune, tratta dalla raccolta  Fêtes galantes (1869) di Paul Verlaine, nella quale si legge:

    “Votre âme est un paysage choisi

    Que vont charmant masques et bergamasques

    Jouant du luth et dansant et quasi

    Tristes sous leurs déguisements fantasques”

    (La vostra anima è un paesaggio eletto / per il quale vanno maschere e “bergamasques” / suonando un liuto e danzando quasi / tristi per i loro travestimenti fantastici)

    In effetti, con questo suo ultimo lavoro orchestrale, nel quale sono riprese alcune sue composizioni scritte in precedenza, il settantaquattrenne Fauré intese realizzare un omaggio alle feste galanti del XVIII secolo alle quali fa riferimento il titolo della raccolta di Verlaine. Di questo Divertimento, costituito originariamente, da ben 8 numeri musicali, di cui il sesto era la lirica Clair de lune, composta nel 1887 per tenore e orchestra sui versi della poesia di Verlaine, si è affermata nel repertorio orchestrale la suite costituita da 4 brani, dei quali il primo è un’ouverture ripresa da una sinfonia giovanile del 1869 lasciata incompiuta da Fauré. È questa una pagina che si segnala per la freschezza dell’invenzione melodica evidente soprattutto nello scattante tema principale, al quale si contrappone una seconda idea tematica meno sviluppata. Tratto dall’incompiuta sinfonia del 1869 è anche l’elegante Menuet, il cui tema principale è esposto dai legni e ripreso dopo dagli archi. Di carattere contrastante è la sezione centrale che funge da Trio sebbene non venga così indicata in partitura. Anche la successiva stilizzata Gavotte  è tratta dall’incompiuta sinfonia del 1869, mentre la conclusiva Pastorale è l’unico brano che Fauré aveva composto appositamente per questo lavoro. Si tratta di una pagina d’intenso lirismo e finemente orchestrata dal maestro francese.

    Durata: 17'

    Maurice Ravel
    Ciboure, 1875 - Parigi, 1937

    Shéhérazade op. 41

    Asie

    La flûte enchantée

    L’indefférent

     

    Shéhérazade, la famosa eroina della raccolta Le mille e una notte affascinò Ravel al punto tale da ispirargli non solo il presente ciclo di canzoni, ma anche un’opera su libretto di Gallard che rimase allo stato d’abbozzo. L’unico brano compiuto fu un’ouverture de féerie che, composta nel 1898, alla sua prima esecuzione avvenuta il 27 maggio 1899 presso la Société Nationale de Musique, andò incontro a un clamoroso fiasco. Particolarmente severi furono, in quell’occasione, i giudizi che si lessero sui giornali dove apparvero autentiche stroncature. L’ouverture fu giudicata, infatti, come “un esordio sconcertante: un goffo plagio della scuola russa” e Ravel fu definito dal famoso critico musicale Henry Gauthier-Villars conosciuto con lo pseudonimo di Willy, che sarebbe diventato, poi, un grande ammiratore del compositore francese, un “debuttante di mediocre talento... che forse diventerà qualcosa se non qualcuno tra circa dieci anni, se lavora sodo”. Al 1903 risale, invece, la composizione di questo ciclo di canzoni la cui fonte d’ispirazione è costituita dalla raccolta di poesie in versi liberi pubblicata, con il titolo di Shéhérazade, dal poeta Tristan Klingsor, che Ravel conosceva personalmente facendo entrambi parte del circolo chiamato Les Apaches.

    Eseguito per la prima volta il 17 maggio 1904, questo ciclo di canzoni per mezzosoprano (o tenore) e orchestra, è costituito da 3 brani dei quali il primo Asie, che presenta un testo particolarmente lungo in cui vengono evocate fantasie orientali, si segnala per una scrittura dalle sonorità delicate che aumenta progressivamente d’intensità per tornare a placarsi nel finale. Della seconda canzone, La flûte enchantée, protagonista è una giovane schiava che, mentre si prende cura del suo padrone, ascolta il suo amante suonare il flauto la cui melodia, un vero e proprio canto d’amore, nel modo frigio, è ora languida ora dolce ora triste. Una sensualità e un torpore tipicamente orientali caratterizzano l’ultimo brano nel quale il poeta appare affascinato da una giovane persona androgina, che non riesce a convincere ad andare a casa sua a bere vino.

    Durata: 18'

    Maurice Ravel
    Ciboure, 1875 - Parigi, 1937

    Alborada del gracioso (Alborada del buffone)

    Assez vif

    Plus lent

    Au mouvement

     

    Come altri lavori di Ravel, anche l’Alborada del gracioso corrisponde alla versione orchestrale di un suo precedente lavoro pianistico. L’Alborada è, infatti, il quarto dei cinque brani di cui è formata la suite pianistica Miroirs, composta da Ravel nel 1905, anno che era stato foriero per il compositore francese di una cocente delusione, rappresentata dalla sorprendente terza bocciatura al concorso del Prix de Rome. Questa bocciatura portò con sé uno strascico di polemiche, in quanto a favore di Ravel si levarono alcune importanti voci del panorama culturale francese dell’epoca, tra le quali vanno ricordate quelle di Alfred Edwards, direttore del quotidiano “Le Matin”, dei coniugi Godebski, dei pittori Leprade e Bonnard e, infine, ultimi in questa lista, ma non per questo meno importanti, di alcuni amici artisti del compositore francese che, intorno al 1900, avevano dato vita al cenacolo degli “Apaches”. Tra questi figuravano il pittore Paul Sordes, il compositore Florent Schmitt, lo scrittore e critico musicale Michel Dimitri Calvocaressi e il pianista Ricardo Viñes al quale è dedicato il secondo brano Oiseaux Tristes e che avrebbe interpretato, per la prima volta, questa Suite il 6 gennaio 1906 a Parigi presso la Salle Érard  della Société Nationale des Concerts. L’Alborada del gracioso  è, invece, dedicata a Dimitri Calvacoressi, che l’aveva definita come “un grande scherzo indipendente alla maniera di Chopin e Balakirev”, aggiungendo:

     “l’humor e la franca e vivace fantasia dell’Alborada merita la più alta lode”.

    Della suite, non sempre eseguita nella sua interezza, l’Alborada è, inoltre, un brano che appartiene al repertorio di tutti i grandi pianisti come affermato da Alexis Roland-Manuel, amico e biografo di Ravel il quale in questo lavoro notò che

    “l’asciutto e punzecchiante virtuosismo è in contrasto, alla spagnola, con l’estasiante flusso e la disperata linea melodica che interrompe l’arrabbiato ronzio delle chitarre”,

    aggiungendo:

    “è un brano del tutto ammirevole e doppiamente di successo nella versione brillantemente orchestrata”. 

    Risalente al 1918, la versione orchestrale, alla quale fa riferimento Roland-Manuel, ottenne un trionfale successo, destinato a consolidarsi ulteriormente negli anni,  già in occasione della prima esecuzione avvenuta il 17 maggio 1919 ai concerti Pasdeloup sotto la direzione di Rhené Baton. 

    Il titolo della composizione, Alborada, indica un canto mattutino spagnolo, mentre il termine gracioso adombra un significato negativo, in quanto fa riferimento ad un uomo maturo che ricorre a numerosi quanto vani stratagemmi per conquistare l’amore di una giovane donna.

    Il folklore iberico, uno dei protagonisti dell’opera, è evidente, soprattutto, nel pizzicato degli archi che rendono molto bene le caratteristiche movenze di una danza spagnola, nella melodia sinuosa e in forma di arabesco della seconda parte (Plus lent) e, infine, nell’orchestrazione, sempre curata come in tutti i lavori di Ravel, e, in questo caso, arricchita dall’impiego delle nacchere.

    Durata: 10'

    Maurice Ravel
    Ciboure, 1875 - Parigi, 1937

    Ma mère l’oye, suite

    Pavane de la Belle au bois dormante (Pavana della bella addormentata nel bosco) (Lento)

    Petit Poucet (Pollicino) (Molto moderato)

    Laideronnette, Impératrice des pagodes (Laideronnette, Imperatrice delle pagode) (Movimento di marcia)

    Les entretiens de la Belle et de la Bête (I dialoghi della bella e della bestia) (Movimento di Valzer moderato)

    Le jardin féerique (Il giardino fatato) (Lento e grave)

     

    Il mondo infantile delle fiabe di Perrault e, in particolar modo, della sua raccolta Les Contes de ma Mère l’Oye costituisce una delle fonti d’ispirazione della suite Ma mère l’oye di Ravel, la cui prima versione per pianoforte a quattro mani, dedicata ai giovani amici Mimie e Jean Godebski, fu composta tra il 1908 e il 1910. Come ricordò, in seguito, Mimie Godebski in un suo breve scritto commemorativo, Ravel molto spesso era ospite della sua famiglia in una casa di campagna presso Valvins, chiamata La Gragnette e, in quelle occasioni, era solito prenderla in braccio e raccontarle le fiabe di Laideronnette e della Bella e la bestia.  Ravel sperava che i primi interpreti di questa collana di brani fossero i due fratellini, ma, con grande sollievo di Mimie che non si sentiva pronta per affrontare il pubblico, si sedettero al pianoforte, in occasione del concerto tenuto il 20 aprile 1910 nella sala Gaveau per l’inaugurazione della Société Musicale Indipendente, due giovanissime pianiste Jeanne Leleu di 11 anni e Geneviève Durony di 14 anni.

    Nel 1912 la collana di brani fu trascritta per orchestra dallo stesso Ravel e rielaborata in forma di balletto con l’aggiunta di due brani, un Prélude e una Danse du rouet; in questa forma Ma mère l’oye fu eseguita per la prima volta al Théâtre des Arts di Parigi il 28 gennaio 1912. Non molto tempo dopo Ravel trasse 5 brani infantili ristabilendo l’ordine dell’originaria suite pianistica per farne una versione da concerto.

    Dei cinque brani, di cui si compone la  suite, i tre interni presentano un riferimento letterario che, per Pollicino, è rappresentato dall’omonina fiaba di Perrault, per Laideronnette, Impératrice des pagodes da Serpentin vert di Marie-Catherine, baronessa d’Aulnoy, e, infine, per La belle et la Bête da Magasin des Enfants di Madame Leprince de Beaumont.

    Nella suite trovano la loro sintesi la grande capacità narrativa e descrittiva di Ravel e la sua maestria di orchestratore che, in questi delicatissimi quadretti, si esprime attraverso l’uso delicato e sempre equilibrato dei diversi colori strumentali.

    Un delicato quadretto di appena 20 battute è, infatti, la Pavane de la Belle au bois dormante nella quale l’iniziale motivo dolce e cullante del flauto viene ripreso dagli strumenti e, in particolar modo, dai violini con sordina.

    Non meno delicato è il secondo quadretto, Petit Poucet (Pollicino), nel quale è descritto, secondo quanto recita l’epigrafe tratta dall’omonima fiaba di Perrault, il faticoso cammino del protagonista che

    “credeva di trovare facilmente la strada grazie al pane che aveva seminato dovunque era passato; ma fu molto sorpreso quando non ne poté trovare una briciola; gli uccelli erano venuti ed avevano mangiato tutto”.

    L’inquieto cammino di Pollicino è rappresentato da una forma di moto perpetuo, aperto dall’oboe, seguito dal corno inglese, in cui a variare è l’accentuazione.

    Nel terzo brano, Laideronnette, Impératrice des pagodes (Laideronnette, Imperatrice delle pagode), è descritta la principessa orientale, che dà il titolo alla fiaba di Marie-Catherine, baronessa d’Aulnoy, dalla quale è tratta l’epigrafe che recita:

    “Ella si spogliò e si mise nel bagno. Subito Pagode e Pagodini presero a cantare e a suonare gli strumenti: alcuni avevano tiorbe fatte di guscio di noce; alcuni viole fatte di gusci di mandorla: poiché occorreva che gli strumenti fossero proporzionati alle loro dimensioni”.

    L’ambientazione orientale della scena è resa dall’uso della scala pentatonica e  di strumenti particolari, come lo xilofono e il tam-tam.

    L’epigrafe del quarto quadretto, Les entretiens de la Belle et de la Bête (I dialoghi della bella e della bestia), recita:

    «Quando penso al vostro buon cuore, non mi sembrate cosi brutto». «Oh! Sissignora! ho un buon cuore, ma sono un mostro». Tanti uomini sono più mostri di voi». «Se avessi spirito, vi farei un gran complimento per ringraziarvi, ma sono soltanto una bestia». […] «Bella, volete essere mia moglie?». «No, Bestia!... ». «Muoio contento perché ho il piacere di vedervi ancora una volta». «No, mia cara Bestia, non morirete: vivrete per diventare mio sposo!». La Bestia era sparita ed ella vide ai suoi piedi un principe più bello dell’Amore, il quale la ringraziava di aver rotto l’incantesimo.

    Il quadretto cerca di rappresentare, attraverso i suoni, la celebre fiaba di Leprince de Beaumont nella quale la Bella, innamoratasi della Bestia, vuole inizialmente sposarla, scoprendo alla fine di amare un bellissimo principe. Il tema iniziale del clarinetto ha quasi un tono da incantesimo i cui effetti benefici sembrano spezzati dalla voce oscura del controfagotto, ma la ripresa della prima parte con un glissando conclusivo dell’arpa rompe definitivamente la magia e riporta la scena alla normalità.

    La sintesi di questo mondo fiabesco è ottenuta nell’ultimo brano della suite, Le jardin féerique (Il giardino fatato), nel quale un motivo sognante, che parte dal registro medio-grave dell’orchestra, raggiunge il suo punto culminante nel canto spianato dei violini. L’ascesa melodica prosegue anche nella gioiosa parte conclusiva del brano nei glissandi dell’arpa e della celesta.

     

    Riccardo Viagrande

     

     

    Durata: 20'

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