Franck & Bruck

Marcello Mottadelli, direttore

Uto Ughi, violino

RECUPERO PRODUZIONE  N° 9

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    04 Febbraio 2022

    Ore

    21,00

    Durata

    90min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    05 Febbraio 2022

    Ore

    17,30

    Durata

    90min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

RECUPERO PRODUZIONE N°9 DEL CONCERTO RINVIATO DEL M° UGHI DEL 7/8/9 GENNAIO 2022

 

Omaggio a Franck nel bicentenario della nascita

  • Programma

  • César Franck
    Liegi, 1822 - Parigi, 1890

    Corale n.1 per organo (trascrizione per orchestra di Matteo Helfer - prima esecuzione assoluta)

    Composti nell’estate del 1890 pochi mesi prima della morte che sarebbe avvenuta l’8 novembre a causa dei postumi di un incidente stradale, i Trois Chorals sono l’ultima opera di Franck e costituiscono così una sorta di testamento spirituale del compositore belga. In mi maggiore, il primo dei tre corali, qui proposto nella trascrizione orchestrale di Matteo Helfer, è un lavoro ampiamente sviluppato costituito da ben tre temi e da due sezioni marcate con gli andamenti Moderato e Maestoso. Presenta un carattere sinfonico rilevabile anche nella raffinata registrazione prescritta dal compositore che si avvalse del grande organo Cavaillé-Coll della basilica di Sainte Clotilde di Parigi, uno strumento eccezionale capace, attraverso i suoi registri, quasi di riprodurre l’effetto dell’orchestra. Proprio in virtù di questa caratteristica dello strumento sembrerebbe del tutto inutile o quasi paradossale orchestrare un lavoro pensato per uno strumento che, di per sé, è quasi un’orchestra. In realtà, secondo quanto affermato da Helfer:

    “È invece nel desiderio di superare i limiti imposti da un seppur perfezionato strumento, di disvelare i tanti dettagli che rimangono intrappolati tra le maglie del denso tessuto musicale, che va ricercato il fine della trascrizione, liberando l’immenso potenziale espressivo e restituendo in termini di trasparenza e di chiarezza della forma e della sostanza - inseparabili in musica - una versione compiuta ed esaustiva dell’idea originale”.

    Per compiere nel migliore dei modi quest’operazione, sempre come affermato da Helfer:

    “La scelta dell’organico per la trascrizione è caduta sul tipico modello coi legni a tre, con l’aggiunta di alcuni strumenti particolari quali il sassofono, la glassarmonica ed il theremin. Sono stati impiegati anche l’harmonium ed il pianoforte. Per quanto riguarda il sassofono, non è stata la comune terra natia di Franck e di Sax, a suggerirne l’impiego, né vi sono riferimenti al famoso assolo nel “Vecchio Castello”, - per pura coincidenza anche quello del ‘22 - ma è la versatilità del suo timbro, a volte suadente e ad altre potente e disperato che lo rendono una preziosa risorsa tanto come solo che come rinforzo. Gli verranno affidati ruoli importanti in tutti e tre i brani. La glassarmonica serviva a ricreare un suono non materico, privo di massa come la luce, che in qualche modo richiamasse l’idea di spiritualità affidata al tema del corale nel primo dei tre brani. Una luce fioca, come la dinamica in pianissimo richiesta, ma sufficiente a non far passare inosservata l’entrata richiamando anzi su di essa l’attenzione, grazie al suono inusuale e misterioso dello strumento. Il medesimo richiamo all’idea della luce si riproporrà nel finale, ma con ben altra intensità dinamica, quando lo stesso tema riproposto a tutta forza come prescritto da Franck, brillerà di una luce abbagliante come una supernova che conclude con glorioso bagliore la propria esistenza. A ben vedere, un certo riferimento alla forma sonata beethoveniana si potrebbe in effetti ravvisare […]

    Le simmetrie sono tra gli oggetti principalmente ricercati e considerati in questa orchestrazione. L’utilizzo del colore per definire la forma dell’elemento architettonico ed evidenziare la presenza contestuale di un altro simile è in cima alla lista delle priorità. L’intento non è di frammentare il disegno, ma di indirizzare l’attenzione su di un particolare piuttosto che un altro, su quel particolare che appena sentito verrà riproposto subito dopo nella stessa o in un ‘altra voce, a questo o a quell’ intervallo, e che magari se non evidenziato potrebbe sfuggire all’ascolto. Che si tratti di un periodo, di una frase, od un più breve gesto melodico, laddove ripetuto od imitato, avrà un colore diverso da quello che lo seguirà. Di certo non un ‘ invenzione, ma sicuramente una costante l’impiego del crossfade, della dissolvenza incrociata cioè, tra un timbro ed un altro. Crea una sorta di caleidoscopio sonoro, che richiama in un certo senso l’effetto del cromatismo e la fluidità delle continue modulazioni.

    Esiste una sorta di organica plasticità nella scrittura franckiana, che plasma le belle melodie e che gestisce con efficacia e naturalezza i moti dell’armonia, anche in presenza delle impegnative sequenze di tonalità lontane, frequenti nei tre brani, e che sono spesso causate dalla predilezione per la relazione di terza, largamente impiegata da Franck ed anch’essa caratteristica del suo pensiero musicale. L’orchestrazione cerca di obbedire allo stesso principio di plasticità: niente scossoni, niente brusche manovre, solo un continuo divenire, privilegiando la dimensione orizzontale e stando alla larga da certe asperità intervallari. Nonostante non ci sia stata alcuna intenzione di parafrasare il lavoro, ci si è concessa talvolta qualche licenza nell’ aggiungere un pedale od un canone, scoperto qua e là tra i vari strati del tessuto musicale. Mi si permetta, infine, un ricordo di carattere personale: quando ero ancora studente chiesi ad un mio più anziano compagno – non avendoli ancora mai studiati - come fossero i Tre Corali e quello mi rispose testualmente: “C’è molta musica! ”, sono passati tanti anni da quel giorno, ma quella definizione mi sembra ancora quanto mai appropriata, e quella stessa musica oggi, nel 200mo anniversario della nascita di Franck, siamo lieti di condividere, con la speranza che questo lavoro di orchestrazione possa offrire il suo modesto contributo a rafforzarne la conoscenza e la diffusione”.

    Durata: 15'

    Max Bruch
    Colonia 1838 - Friedenau 1920

    Concerto n.1 in sol minore per violino e orchestra, op. 26

    Vorspiel (Allegro moderato), un poco più vivo, Tempo I

    Adagio

    Finale. Allegro energetico-Presto

     

    Dei sei concerti per violino scritti da Bruch sono conosciuti ancora oggi solo tre oltre alla Fantasia scozzese. Il Concerto n. 1 è uno dei più famosi del XIX sec. oltre ad essere il primo grande lavoro orchestrale pubblicato da Bruch. La sua composizione fu piuttosto travagliata, in quanto, dopo i primi abbozzi del 1857, esso fu completato nel 1866, ma fu ritirato dopo la prima esecuzione a Coblenza il 24 aprile 1866 e sottoposto a una lunga revisione per la quale Bruch si servì dei suggerimenti ricevuti da altri compositori e violinisti tra cui Joseph Joachim che, dedicatario della versione finale del 1868, ne fu anche il primo interprete in qualità di solista a Brema il 7 gennaio dello stesso anno.

    Sebbene steso nella tradizionale struttura Veloce-Lento-Veloce, il Concerto presenta i tre movimenti, tutti in forma-sonata e legati senza soluzione di continuità. Nel primo movimento, Allegro moderato, compare il sottotitolo Vorspiel (preludio) a testimonianza della vecchia intenzione di Bruch di chiamare questo lavoro Fantasia. L’ingresso del solista con una melodia che si costruisce a poco a poco, è preparato da un tranquillo rullo dei timpani e da alcune frasi dei legni. Dopo che l’orchestra acquista il pieno controllo sul motivo dei legni, il violino espone un tema appassionato su un tremolo degli archi e su minacciosi interventi dei timpani. Molto più cantabile è il secondo tema che, esposto nel registro grave del violino, sale verso zone più acute in corrispondenza di un serie di trilli. Lo sviluppo, aperto dal primo tema, si snoda in una sezione tempestosa affidata all’orchestra, mentre il solista si mantiene calmo fino a quando non si produce in una breve cadenza. Una breve ripresa conduce alla coda che prepara il secondo movimento, Adagio, formalmente, un’aria per violino solista la cui scrittura si fa sempre più intricata fino a quando non raggiunge una forma meno chiaramente definita, ma più focosa nel secondo tema che culmina in tre pesanti sospiri prima per l’orchestra e poi per il solista. Nel terzo movimento, Allegro energetico, la musica prende le forme di una danza gioiosa in stile ungherese che può essere considerata un omaggio sia a Joachim, di nazionalità ungherese, sia al Finale del Concerto per violino di Brahms scritto seguendo i consigli di Joachim. Al tema della danza subentrano una sezione virtuosistica affidata al solista e, poi, una melodia romantica che raggiunge il climax quasi alla fine dell’esposizione. Il tema della danza ungherese ritorna nel concitato e brillante Finale

    Durata: 25'

    César Franck
    Liegi, 1822 - Parigi, 1890

    Sinfonia in re minore

    Lento, Allegro non troppo

    Allegretto

    Finale: Allegro non troppo

     

    Completata il 22 agosto del 1888 dopo due anni di lavoro ed eseguita, per la prima volta, presso la Société Nationale di Parigi il 17 febbraio 1889, la Sinfonia in re minore è uno degli ultimi lavori di César Franck, Non si conoscono con precisione le ragioni che indussero il compositore a cimentarsi nel genere sinfonico, poco apprezzato nell’Ottocento in Francia, ma è probabile che egli abbia effettuato questa scelta formale dopo il successo delle sue Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra composte nell’estate del 1885. La Sinfonia in re minore non ebbe, però, immediatamente un’accoglienza favorevole da parte del pubblico, nonostante il genere sinfonico, in quello stesso periodo, fosse ritornato in auge in Francia grazie alla Sinfonia su un canto di Montagna di Vincent D’Indy e alla Sinfonia n. 3 in do minore op. 78 di Saint-Saëns, composte entrambe nel 1886, che godettero di enorme popolarità. Questi due lavori sembrano i modelli a cui Franck si ispirò direttamente soprattutto per la struttura ciclica, anche se decise di non introdurre, come avevano fatto Saint-Saëns e D’Indy, degli elementi tematici nazionalistici. Questa scelta, unita ad una scrittura armonica estremamente complessa per l’uso del cromatismo di ascendenza wagneriana, fu la causa dell’accoglienza piuttosto fredda del pubblico che ebbe modo di ascoltare un’opera nella quale confluivano e si fondevano la tradizione francese con la sua struttura ciclica e quella romantica di origine tedesca. Nel periodo in cui la Sinfonia fu eseguita per la prima volta era, inoltre, molto forte la polemica accesa dai sostenitori della musica francese, che avevano contestato la decisione presa nel 1886 dalla Société Nationale di eseguire anche musica straniera, soprattutto tedesca. Il clima non certo favorevole, oltre a determinare la fredda accoglienza della sinfonia, probabilmente ispirò anche i primi giudizi su questo lavoro, tra i quali spicca quello dell’autorevole critico Camille Bellaigue che considerò alcuni passi aridi e monotoni senza grazia e fascino, aggiungendo che i temi principali sui quali è costruita l’intera sinfonia erano appena superiori di livello a quelli dati agli studenti del Conservatorio. Non meno dura fu la stroncatura della rivista «Le Ménestrel», dove si legge: Franck aveva molto poco da dire qui. Nonostante le violenti stroncature tra le quali spicca quella di Charles Gounod che la definì come l’affermazione dell’incompetenza spinta fino al dogmatismo, la Sinfonia si affermò presto in Europa e nel mondo e fu eseguita con successo, per la prima volta, in America, a Boston, il 16 gennaio 1899 sotto la direzione di Wilhelm Gericke.

    Il primo movimento, Lento, Allegro non troppo, di questa Sinfonia, strutturata secondo una forma ciclica, si apre con un’introduzione lenta, dove appare il celebre tema, affidato alle viole, ai violoncelli e ai contrabbassi, costituito da un semitono discendente seguito da un salto di quarta ascendente, sul quale si fonda tutta l’opera. Un poderoso crescendo porta all’esposizione in forma-sonata con un primo tema, derivato da quello iniziale, che contrasta con il secondo, dolce e cantabile, intonato dai violini.

    Molto particolare, dal punto di vista formale, è il secondo movimento, Allegretto, che si presenta come una fusione dell’Adagio e dello Scherzo, i due tempi centrali classici delle sinfonie in quattro movimenti. Questo movimento, nel quale passi di carattere danzante si alternano ad altri lirici e melodici, si apre con un suggestivo e cantabile tema affidato al corno inglese, la cui presenza in orchestra aveva scandalizzato il tradizionalista direttore del Conservatorio di Parigi Ambroise Thomas che, secondo un aneddoto riferito da Vincent D’Indy nella sua monografia dedicata a Franck, suo maestro, esclamò durante le prove: il nome di una sinfonia di Haydn o di Beethoven in cui è usato il corno inglese, dimenticandosi che proprio Haydn aveva introdotto ben due corni inglesi nella sua Sinfonia n. 22 “Il filosofo”.

    Nel terzo movimento, Finale: Allegro non troppo, che si apre con cinque secchi accordi orchestrali, vengono ripresi tutti gli elementi tematici dei due movimenti precedenti in una scrittura ricca di invenzione culminante nella grandiosa e suggestiva coda conclusiva.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 42'

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