Glinka, Rachmaninov & Prokof'ev
Marcus Bosch, direttore
Anna Vinnitskaya, pianoforte
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Programma
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Michail Ivanovič Glinka
Novospaskoe, 1804 - Berlino, 1857Russlan e Ludmilla, ouverture
Seconda opera di Glinka, Russlan e Ludmilla ebbe una gestazione alquanto lunga e travagliata causata anche da alcune difficoltà intervenute nella stesura del libretto alla quale parteciparono ben cinque persone. Il soggetto, suggerito del direttore del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo che aveva messo in scena con grande successo nel 1836 l’opera Una vita per lo zar, era stato tratto dall’omonimo poema epico di Alexandr Puškin che non poté lavorare al libretto a causa della sua prematura morte avvenuta il 10 febbraio 1837 in seguito alle complicazioni di un ferita all’addome subita in duello. La stesura dell’opera fu, quindi, alquanto lunga e travagliata e occupò ben 5 anni, dal 1837 al 1842, della vita del compositore che, però, non riuscì ad ottenere alla prima rappresentazione, avvenuta il 9 dicembre 1842, lo stesso successo arriso all’opera precedente. Diventata oggi una delle opere più popolari in Russia, Russlan e Ludmilla, la cui trama ruota attorno al cavaliere Russlan che, dopo aver superato alcune prove, riesce a liberare la sua fidanzata, la principessa Ludmilla, precedentemente rapita da un mago, attinge il materiale musicale dal repertorio popolare russo, finnico, tartaro e persiano. Estremamente concisa e lontana dagli schemi italiani, l’ouverture, in forma-sonata, si basa su due temi dei quali il primo, tratto dalla scena finale dell’opera, è di carattere gioioso e fragoroso. Questo tema, inoltre, secondo quanto testimoniato dal compositore, è molto probabilmente ispirato a uno strano rumore di posate durante una cena di nozze:
“Mi trovavo fuori sul balcone e il tintinnio dei coltelli, delle forchette e dei piatti fece una tale impressione in me che ebbi l’idea di imitarli nel preludio di Russlan. Più tardi lo feci con straordinario successo”.
Di carattere lirico è il secondo tema che, tratto dalla grande aria di Russlan del secondo atto, dà vita insieme al primo all’elaborato sviluppo prima che l’ouverture si concluda con la ripresa del primo tema.
Durata: 8'
Sergej Vasil'evič Rachmaninov
Oneg, Novgorod, 1873 - Beverly Hills, 1943Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra, op.43
Introduzione: Allegro vivace - Variazione I (Precedente) -Tema: L'istesso tempo - Variazione II: L'istesso tempo - Variazione III: L'istesso tempo - Variazione IV: Più vivo - Variazione V: Tempo precedente - Variazione VI: L'istesso tempo - Variazione VII: Meno mosso, a tempo moderato -Variazione VIII: Tempo I - Variazione IX: L'istesso tempo - Variazione X: L'istesso tempo - Variazione XI: Moderato - Variazione XII: Tempo di minuetto - Variazione XIII: Allegro - Variazione XIV: L'istesso tempo - Variazione XV: Più vivo scherzando - Variazione XVI: Allegretto - Variazione XVII: Allegretto - Variazione XVIII: Andante cantabile - Variazione XIX: A tempo vivace - Variazione XX: Un poco più vivo - Variazione XXI: Un poco più vivo - Variazione XXII: Un poco più vivo (Alla breve) - Variazione XXIII: L'istesso tempo - Variazione XXIV: A tempo un poco meno mosso
Composta nel 1934, la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra op. 43 è uno degli ultimi lavori di Rachmaninov che, con questa composizione, conseguì uno dei suoi ultimi importanti successi. La fredda accoglienza, riservata dal pubblico al suo Quarto concerto per pianoforte e orchestra alla prima esecuzione avvenuta il 18 marzo 1927 alla Symphony Hall dell'American Academy of Music di Filadelfia, aveva acuito quella forma di impasse creativo a cui il compositore era andato soggetto già da quando, nel 1917, aveva lasciato la sua patria. Al compositore Nikolaj Medtener, suo amico di vecchia data, che gli aveva chiesto quali fossero le ragioni dell’abbandono della sua attività creativa, Rachmaninov, infatti, aveva risposto: come faccio a scrivere musica senza una melodia? Rachmaninov sembrò ritrovare quella melodia apparentemente perduta nel 1931, in Svizzera, dove si era stabilito, grazie allo studio delle opere dei grandi compositori del passato e, in particolar modo, di Arcangelo Corelli, del quale scelse il celeberrimo tema della Follia per una serie di variazioni per pianoforte. Rinfrancato dal successo ottenuto con questa composizione alla prima esecuzione avvenuta il 12 ottobre 1931 all’His Majesty's Theatre di Montréal, Rachmaninov decise di comporre un’altra serie di variazioni, questa volta, per pianoforte e orchestra. Per questo suo nuovo lavoro, che egli scrisse in un mese e mezzo circa tra il 3 luglio e il 18 agosto del 1934, rivolse la sua attenzione ad un altro grande compositore italiano, Niccolò Paganini, nella cui figura sembrò identificarsi sia per aspetti attinenti alla loro esperienza umana, in quanto entrambi vissero lontani dalla terra natale, sia per la fama di virtuosi che li accomunava, dal momento che, come Paganini era stato considerato il maggiore violinista della sua epoca, anche Rachmaninov fu ritenuto uno dei più importanti e maggiormente richiesti pianisti del suo tempo. Per questo lavoro il compositore scelse il tema del celeberrimo ventiquattresimo Capriccio di Paganini, già utilizzato da Liszt e Brahms, qui sottoposto a una serie di 24 variazioni in una struttura che lo stesso compositore definì una fantasia in forma di variazioni su un tema di Paganini.
Eseguita con notevole successo il 7 novembre 1934 a Baltimora sotto la direzione di Leopold Stokowski e con il compositore al pianoforte, la Rapsodia, dal punto di vista formale, può essere divisa in tre movimenti da eseguire senza soluzione di continuità e corrispondenti a quelli tradizionali del concerto solistico. L’opera, il cui primo movimento corrisponde, in base a questo schema, alle prime 10 variazioni, si apre con un’introduzione orchestrale nella quale il tema appare in una forma frammentaria. Ad essa segue la prima variazione, chiamata Precedente, in quanto precede la vera e propria esposizione del tema presentandone soltanto lo scheletro ritmico. Finalmente il tema viene esposto dai violini a cui segue la seconda variazione della quale è protagonista il pianoforte. Nelle successive tre variazioni il pianoforte e l’orchestra fanno sfoggio del loro virtuosismo dando vita, nella quinta variazione, a un dialogo serrato, mentre protagonista della sesta è il solista che si produce in un episodio di carattere rapsodico. Nella settima variazione è introdotto dai corni il tema del Dies irae, che manifesta quel sentimento quasi ossessivo della vicinanza della morte provato dal compositore nei suoi ultimi anni di vita. Nell’ottava, caratterizzata da possenti accordi del pianoforte, nella nona, tutta giocata su un insistente sincopato, e nella decima, dove il tema del Dies irae è ripreso dal solista, la scrittura ritorna ad essere virtuosistica. Con l’undicesima variazione, di carattere rapsodico, si apre la seconda sezione di questa composizione con il pianoforte che si stacca gradatamente dall’orchestra la quale, nella quattordicesima, rielabora il tema in una scrittura marziale. Il pianoforte torna protagonista nella quindicesima variazione con rapidi arpeggi sullo schema armonico del tema per cedere il testimone all’oboe, al corno inglese e al violino che si scambiano il tema tra di loro nella sedicesima. Qui sembra introdursi un’atmosfera sentimentale che raggiunge il suo punto culminante nella diciottesima variazione dove appare un tema tenero e cantabile in tonalità maggiore che viene perorato dall’orchestra. Le successive sei variazioni costituiscono l’ultima virtuosistica sezione della Rapsodia con il pianoforte che ritorna progressivamente protagonista per affermare la sua supremazia nell’ultima variazione dopo una sua cadenza di carattere solistico. Molto suggestiva è la conclusione in pianissimo con un semplice pizzicato degli archi.
Durata: 23'
Sergej Sergeevič Prokof'ev
Soncovka 1891 - Mosca 1953Sinfonia n.6 in mi bemolle minore, op.111
Allegro moderato
Largo
Vivace
“Ricordo bene il concerto nella sala della Filarmonica, era la prima esecuzione della Sesta sinfonia di Prokof’ev. Il compositore concedeva l’onore della prima al collettivo dell’orchestra della Filarmonica e al direttore Evgenij Mravinskij. Al mattino ci recammo alla prova, che andò benissimo. La sera, Prokof’ev, Mira Aleksandrovna, Nest’ev ed io sedemmo in un palco a destra del palcoscenico; in sala c’era un’atmosfera festosa, dovuta alla presenza del grande compositore. […]. La Sesta Sinfonia, eseguita splendidamente, venne accolta dai Leningradesi con entusiasmo. Il successo fu pieno, reale, con chiamate interminabili all’autore e al direttore. Quasi subito (il 25 dicembre 1947) seguì la prima moscovita, con altrettanto successo. L’Orchestra Sinfonica Statale dell’URSS era diretta da Mravinskij. Pareva che la Sesta Sinfonia di Prokof’ev, una delle opere più drammatiche e nobili, fosse pronta per occupare il posto d’onore nel tesoro dell’arte sovietica. Invece, com’è noto, il destino di questa composizione durante la vita di Prokof’ev fu infausto. Per molti anni fu soggetta a non essere eseguita, come se soffrisse di eccessivi pericoli espressionisti, di un linguaggio dal carattere intenzionalmente cifrato. Insieme all’Ottava di Šostakovič, alla Seconda e alla Terza (Sinfonia-Poema) di Chačaturjan, insieme alle opere di Mjaskovskij, Šebalin e Popov, la Sesta di Prokof’ev venne classificata come arte formalista”.
Con queste parole il musicologo Grigorij Šneerson ricordò il grande successo tributato alla Sesta Sinfonia di Prokof’ev in occasione della prima esecuzione avvenuta nella Sala Grande del Conservatorio di Leningrado, l’11 ottobre 1947 sotto la direzione di Evgenij Mravinskij. Non tutto di questo ricordo è in realtà corretto, in quanto la prima moscovita, nonostante tutti i biglietti fossero stati venduti già 15 giorni prima del concerto, si tramutò in un insuccesso, dovuto anche al clima politico notevolmente mutato nei confronti del compositore e di questa sua opera che era stata liquidata dalla «Pravda», organo di stampa ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, con un commento piuttosto scarno. Questo breve commento fu nulla in confronto alla terribile sentenza di condanna che, qualche mese dopo, il 10 febbraio 1948, il Comitato Centrale del VKP (Grande Partito Comunista) avrebbe pronunciato contro la sua musica e quella di altri compositori come D. Šostakovič, A. Chačaturjan, V. Šebalin, G. Popov, N. Mjaskovskij. L’opera di Prokof’ev fu, infatti, dettagliatamente analizzata e questa sinfonia fu, come ricordato da Šneerson, posta all’indice in quanto giudicata arte formalista. Non era stato, molto probabilmente, gradito il suo carattere cupo che, in contrasto con l’estetica sovietica che si prefiggeva di celebrare Stalin e la sua vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, era in realtà una denuncia degli orrori del conflitto, come ebbe modo di dire lo stesso Prokof’ev al suo biografo Nestjev:
“Ci siamo rallegrati per la nostra grande vittoria, ma ognuno di noi ha catene che non può spezzare. C’è chi ha perso i propri cari, chi la sua salute. Questo non dobbiamo dimenticarlo”.
La sinfonia, peraltro, era stata composta in un periodo non certo facile proprio per la salute di Prokof’ev che, nel mese di gennaio del 1945, in seguito a una caduta dovuta a una crisi ipertensiva, aveva battuto la testa riportando una commozione cerebrale. Le precarie condizioni di salute avevano certo rallentato il lavoro di Prokof’ev, ma non lo avevano del tutto fermato. Il compositore, infatti, nell’estate di quell’anno, rinfrancato da una nuova serenità ritrovata presso la Casa messa a disposizione dall’Unione dei Compositori di Ivanovo dove era andato a risiedere insieme con la compagna Mira Mendel’son, incominciò ad abbozzare la Sesta sinfonia, come si evince da una lettera del 19 agosto 1945 indirizzata all’amico Mjaskovskij:
“Caro Nikolaj Jakovlevič,
abuso della gentilezza di Vera Jakovlevna per mandarvi alcune righe da Ivanovo, dove risiediamo già da quasi due mesi, e dove ho piacere di soggiornare. A dire il vero, ci sono gli urli di cari ragazzini, ma l’aria è salubre, il cibo è saporito, mi sto rimettendo a poco a poco, ad ogni modo la testa mi fa male raramente. Lavoro per un’ora o un’ora e mezza al giorno; mi sono gettato sull’Ode per la fine della guerra e ho quasi steso due movimenti della Sesta sinfonia”.
A differenza di altri lavori, come la Quinta, la composizione della Sesta sinfonia fu particolarmente lunga, dal momento che occupò circa due anni nei quali cambiò repentinamente e radicalmente il clima politico nei confronti del compositore che, insignito nel gennaio del 1946 di due premi Stalin, dei quali il primo per la Quinta sinfonia e l’Ottava sonata per pianoforte e il secondo per la colonna sonora della prima parte del film Ivan il terribile di Ėjzenštejn, fu non molto tempo dopo colpito dalla censura da parte delle stesse autorità sovietiche. La Sinfonia fu, comunque, completata, per quanto attiene allo spartito pianistico, nel gennaio del 1947 e nell’estate dello stesso fu orchestrata.
Un tono cupo caratterizza già il primo movimento, Allegro moderato, particolarmente complesso a livello formale per la sua struttura “a pannelli” in quanto costituito da diverse sezioni basate fondamentalmente su tre motivi. Questo movimento, che secondo quanto affermato dallo stesso Prokof’ev, è «di carattere agitato, a volte lirico, altre austero», si apre innanzitutto con un’introduzione cupa e drammatica di 10 battute nelle quali trombe, tromboni, violoncelli e contrabbassi eseguono dei suoni secchi, carichi di tensione che conducono direttamente al primo tema, una sommessa melodia cantilenante e malinconica esposta inizialmente dai violini e dalle viole con sordina. Preparato da nove battute di grande suggestione (Poco più sostenuto), fa il suo ingresso, nella parte degli oboi, l’altrettanto sommesso e cantilenante secondo tema (Moderato) che lascia il posto a un momento “agitato” preparato da un trillo del clarinetto. Di carattere contrastante è, invece, la terza idea tematica che, introdotta nella sezione marcata con l’andamento Andante molto, si presenta come una lugubre ma intensa melodia in 4/4 che si staglia su un drammatico accompagnamento di note staccatissime del pianoforte e del fagotto. Il primo tema, in una forma variata e quasi più aggressiva dal punto di vista ritmico e timbrico, ritorna nella sezione Allegro moderato, che si spegne nella brevissima ripresa del secondo tema e, poi, in quella del terzo. Dopo un breve ritorno del primo tema in una scrittura propulsiva dal punto di vista ritmico, il movimento, quasi a sorpresa, si conclude su sonorità lugubri e raggelanti.
Una sorprendente esplosione orchestrale, che sembra un angoscioso grido di dolore, apre il secondo movimento (Largo) che, secondo quanto affermato dallo stesso Prokof’ev, «è il più luminoso e ricco di melodie». In effetti di intenso lirismo sono i due temi principali, dei quali il primo è esposto dai violini raddoppiati dalla tromba, mentre il secondo è affidato al fagotto e ai violoncelli.
Totalmente contrastante è il clima che contraddistingue il terzo e ultimo movimento, Vivace, formalmente una sorta di Rondò-Sonata, che, sempre come affermato da Prokof’ev, è «vicino al carattere della Quinta Sinfonia, nonostante le reminiscenze austere del primo movimento». Il primo tema, esposto dai violini primi, è, infatti, pieno di brio, allo stesso modo del secondo, affidato all’oboe, che presenta anche un tono ironico. I due temi sono protagonisti dello sviluppo di questo movimento in cui i toni cupi sembrano cedere a quell’ottimismo propagandato dal regime sovietico se non fosse per la ripresa del secondo tema del primo movimento che riporta la sinfonia all’atmosfera di dolore che l’ha contraddistinta.
Riccardo Viagrande
Durata: 45'