Mendelssohn, Prokof'ev & Beethoven
Giordano Bellincampi, direttore
Leonardo Colafelice, pianoforte
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Luogo
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Politeama Garibaldi
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Venerdì 28 Febbraio 2020
Ore
21,00
Durata
80min.
Prezzi
25 - 12 €
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Programma
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Felix Mendelssohn-Bartholdy
Amburgo, 1809 - Lipsia, 1847Le Ebridi, La grotta di Fingal (Die Hebriden, Fingalshöhle), ouverture op.26
Allegro moderato, Animato
Il viaggio effettuato da Mendelssohn in Scozia nel 1829 e, in particolar modo, la visita alla grotta di Fingal nell’isola di Staffa, appartenente all’arcipelago delle Ebridi, costituiscono la fonte primaria d’ispirazione dell’Ouverture op. 26, Le Ebridi, il cui sottotitolo è appunto La grotta di Fingal. Mendelssohn giunse ad Edimburgo il 30 luglio 1829 reduce dal recente successo ottenuto nei concerti londinesi, organizzati dall’amico Klingemann, diplomatico che lo aveva invitato nella capitale inglese, da Cramer, che lo aveva introdotto nell’ambiente musicale di Londra, e dal pianista Ignaz Moscheles, insieme al quale si era esibito nell’esecuzione del suo Concerto in mi maggiore per due pianoforti. Durante il viaggio verso gli Highlands in Scozia, fatta una sosta ad Abbotsford, fece visita a Sir Walter Scott e il 7 agosto salpò in piroscafo per l’isola di Staffa, dove si trova la Grotta di Fingal. La traversata non fu semplice, in quanto sul Mare delle Ebridi si abbatté una violenta tempesta, della quale il compositore si ricordò certamente durante la composizione di quest’ouverture il cui primo abbozzo risale proprio a quel giorno; l’opera fu, tuttavia, sottoposta a continue revisioni che si protrassero ben oltre la prima esecuzione, avvenuta il 14 maggio 1832 alla Filarmonica di Londra sotto la direzione di M. Attwood. L’ouverture fu pubblicata nel 1833 a Lipsia dalla casa editrice Breitkopf & Härtel dopo un’ultima e definitiva revisione.
Quest’ouverture, la migliore di Mendelssohn, definito da Wagner, con una punta di ironia, un paesaggista di prim’ordine, si presenta come una mirabile sintesi tra una solida costruzione formale, che si fonda sulla forma-sonata, e il contenuto programmatico, rappresentato dall’affascinante paesaggio della Grotta di Fingal bagnata dal mare. Il mare costituisce, infatti, il primo elemento rappresentato da Mendelssohn attraverso un tema formato da un unico inciso esposto dalle viole, dai violoncelli e dal primo fagotto, mentre gli altri strumenti, che si aggiungono a poco a poco, danno la misura della struttura della grotta costituita da colonne basaltiche ordinate in prospettiva. Ogni strumento, che si aggiunge, sembra rappresentare lo stupore del visitatore che s’inoltra al suo interno e vede in sequenza le colonne, ascoltando nel contempo il brusio del mare le cui onde si infrangono contro la roccia. Inoltrandosi nella grotta e, quindi, nell’ouverture, nella sezione modulante dell’esposizione il mare si trasforma quasi in un oggetto di poesia con il primo flauto, il primo oboe ed il primo fagotto che rileggono il tema iniziale per moto contrario e in una forma lirica. Sembra che nella grotta si respiri ancora un’aria impregnata delle gesta del leggendario eroe irlandese Fingal, padre di Ossian, e il secondo tema, dotato di forte lirismo, sorge dalle sue profondità, rese dai toni gravi dei violoncelli e dei fagotti per dispiegarsi senza esitazioni nella parte dei violini. Questo momento di incanto e di poesia è, tuttavia, turbato dal mare che si agita improvvisamente, facendo materializzare, nella parte iniziale dello sviluppo, una tempesta, ispirata probabilmente dalla difficile traversata in piroscafo fatta dal compositore, con il tema del mare che, esposto in questo passo dai violini e dai flauti, si carica di una violenza tale da simboleggiare il rumore delle onde. Non manca il tuono rappresentato perfettamente dai timpani e dagli ottoni che, poco dopo, quando la tempesta si sta ormai allontanando, fanno sentire in lontananza la loro eco, mentre il moto ondoso si placa e il tema iniziale ricomincia a prendere forma. La poesia può di nuovo trionfare ed il secondo tema si può nuovamente dispiegare con tutto il suo lirismo; è il mare, tuttavia, il protagonista con il suo tema variato in canone dai legni e dagli archi che intrecciano un fitto dialogo in un crescendo di eccitazione che conduce alla fine dello sviluppo. La semplice ripresa ripropone l’esposizione in una forma abbreviata, in cui viene eliminato il tema della sezione modulante, e conduce alla coda leggermente più animata.
Durata: 10'
Sergej Sergeevič Prokof'ev
Soncovka 1891 - Mosca 1953Concerto n.3 in do maggiore op.26 per pianoforte e orchestra
Andante, Allegro, Andante, Allegro
Tema con variazioni, Andantino, Allegro, Andante, Allegro giusto
Allegro ma non troppo
“Dopo il rumore degli spettacoli mi ritirai nella Bretagna francese, sulle rive dell’Oceano Atlantico e presi a lavorare al Terzo Concerto per pianoforte. Avevo composto il materiale un po’ alla volta e molto tempo prima. Già nel 1911, mentre stavo scrivendo il Primo concerto per pianoforte che, come il Primo concerto per violino avevo progettato in prima battuta come concertino, avevo pensato, accanto al concertino di realizzare un concerto più ampio […]. Di quel concerto, la cui composizione non era andata molto avanti, si era conservato soltanto un passaggio – triadi parallele che correvano dal grave all’acuto. Ora il passaggio entrò nel Finale del primo movimento del Terzo Concerto. Nel 1913 avevo composto un tema con variazioni che poi avevo conservato a lungo. Negli anni 1916-1917 avevo tentato alcune volte di prendere in mano il Terzo concerto, avevo scritto l’inizio (due temi) e due variazioni sul tema del secondo movimento. Nello stesso periodo mi era venuta l’idea di scrivere un quartetto bianco, vale a dire un quartetto d’archi completamente diatonico, che se si fosse voluto suonare al pianoforte era limitato soltanto ai tasti bianchi. Il quartetto era pensato in due movimenti: un primo tempo lento in forma sonata e un Finale in ¾. Alcuni temi bianchi furono composti a Pietroburgo, altri sull’oceano Pacifico e anche in America, ma l’impresa era troppo difficile, avevo paura della monotonia e nel 1921 decisi di smembrare il materiale accumulato: la parte secondaria divenne il tema di Renata nell’Angelo di fuoco, la principale fu usata per caratterizzare il monastero dove finiva Renata; il primo e il secondo tema del Finale furono trasferiti nel Finale del Terzo concerto. In questo modo iniziando il lavoro di quest’ultimo avevo tutto il materiale tematico con l’esclusione del secondo tema del primo movimento e del terzo tema del Finale”. (M. R. Boccuni, Prokof’ev, Palermo, L’Epos, 2003, p. 200)
Così lo stesso Prokof’ev ricordò la gestazione del Terzo concerto per pianoforte e orchestra op. 26, senza dubbio il suo concerto più famoso che occupò un periodo di tempo insolitamente lungo impegnando, con lunghe pause, il compositore per ben cinque anni della sua vita, dal 1916 al 1921. In effetti Prokof’ev si dedicò in modo sistematico alla composizione del Concerto in quell’estate del 1921 in seguito al suo ritiro nella cittadina bretone di Saint-Brévin-les-Pins, dove, lontano dai rumori degli spettacoli e soprattutto dalla critiche della stampa inglese che aveva stroncato il balletto Le Chout, dopo la prima londinese avvenuta il 9 giugno 1921, trovò la serenità necessaria per scrivere. Eseguito, per la prima volta, a Chicago il 16 dicembre dello stesso anno con Prokof’ev al pianoforte e Frederick Stock sul podio, il Concerto presenta una particolarità nella struttura formale del primo movimento con un Andante introduttivo, un notturno, nel quale è esposto un tipico tema russo affidato al clarinetto, a cui segue un Allegro, nel quale vengono sviluppati i due temi presenti nella seconda parte. Il secondo movimento, Andantino, è scritto nella forma del tema e variazioni, nelle quali si alternano sonorità misteriose ad altre di carattere martellante, mentre il Finale, Allegro ma non troppo, presenta una scrittura virtuosistica estremamente impegnativa.
Durata: 27'
Ludwig van Beethoven
Bonn, 1770 - Vienna, 1827Sinfonia n.2 in re maggiore op. 36
Adagio molto, Allegro con brio
Largo
Scherzo (Allegro)
Allegro molto
Composta tra il 1800 e il 1802, la Seconda sinfonia riflette due stati d’animo contrastanti con la gioia che si tramuta in dolore in concomitanza con i drammatici fatti che negli stessi anni travagliarono la vita di Beethoven. I primi abbozzi risalgono, infatti, al 1800, anno in cui Beethoven conobbe la contessa Giulietta Guicciardi, una bellissima sedicenne della quale s’innamorò perdutamente. Il compositore visse l’amore per questa fanciulla, sua allieva di pianoforte, come un breve sogno, di cui è rimasta una splendida ed immortale traccia nella Sonata al chiaro di luna, ma che s’infranse nel 1803 quando la donna sposò il Conte Gallemberg. Nello stesso tempo cominciò a profilarsi il dramma della sordità, i cui primi sintomi si erano già manifestati nel 1795, ma che nel 1801 aveva costretto Beethoven a ridurre drasticamente i suoi concerti pubblici come pianista. Dello stato d’animo di profonda frustrazione, nella quale versava Beethoven, è eloquente testimonianza una lettera all’amico Wegeler del 29 giugno 1801, nella quale si legge:
“Un démone invidioso, la mia cattiva salute, mi ha messo un bastone fra le ruote; e questo significa, in sostanza, che il mio udito da tre anni a questa parte è diventato sempre più debole. Sembra che la causa prima di questo malanno sia nelle condizioni del mio addome, che, tu lo sai, era già malridotto prima che partissi da Bonn […]. Frank [direttore dell’ospedale di Vienna] ha cercato di ridar tono al mio organismo con medicine ricostituenti e al mio udito con olio di mandorle, ma quanto bene mi ha fatto! La cura non è servita a nulla […]. Devo confessare che la mia vita trascorre miseramente. Da quasi due anni ho smesso di prender parte ad ogni vita sociale, proprio perché mi è impossibile dire alla gente: sono sordo”.
Quando sul finire del 1801, dopo l’illusione di un piccolo miglioramento, la sordità di aggravò, i medici consigliarono il musicista di trascorrere un periodo di villeggiatura ad Heilingestadt, un sobborgo campestre vicino Vienna ritenuto particolarmente salubre; anche questo tentativo si rivelò inutile e il compositore, in preda ad una profonda disperazione, meditò il suicidio, scrivendo nel frattempo il toccante Testamento spirituale. Ad Heilingestadt Beethoven completò la Seconda sinfonia che fu eseguita a Vienna al Teatro An Der Wien il 5 aprile 1803 sotto la direzione dell’autore.
Il primo movimento si apre, secondo lo schema haydniano, con un Adagio molto introduttivo che conduce all’Allegro con brio, dove si afferma un linguaggio più maturo, che, pur guardando ancora ai modelli mozartiani e soprattutto alle ultime sinfonie del Salisburghese, si caratterizza per una certa ampiezza del materiale tematico e per una struttura dialettica che sarebbe stata approfondita nei capolavori successivi. Dopo la tensione dialettica di certi passi del primo movimento, il secondo, Larghetto, anch’esso di ampie proporzioni, si staglia come un’oasi di amabile soavità. Il terzo movimento, formalmente uno Scherzo, innovativo perché utilizzato in sostituzione del tradizionale Minuetto, è dotato di una straordinaria energia ritmica che si placa soltanto nei toni pastorali del Trio. Il Finale è un brillante rondò-sonata in cui un tono umoristico si mescola a prefigurazioni del tema dell’inno alla gioia che sembrano nascere dalla profondità dell’animo di Beethoven e sono ben espresse grazie al registro grave dei violoncelli che contagia tutti gli altri archi.
Riccardo Viagrande
Durata: 30'