Mendelssohn & Šostakóvič
Sergej Krylov, direttore/violino
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Programma
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Felix Mendelssohn-Bartholdy
Amburgo, 1809 - Lipsia, 1847Concerto in mi minore per violino e orchestra, op. 64
Allegro molto appassionato
Andante
Allegretto non troppo, Allegro molto
Come molte altre opere di Mendelssohn, il Concerto in mi minore per violino e orchestra fu sottoposto a continue limature e correzioni al fine di trovare quella perfezione formale che costituì una delle preoccupazioni principali del compositore tedesco. Una testimonianza di ciò ci è fornita dal fatto che quest’opera fu composta in un arco di tempo molto lungo, ma non sorprendente per Mendelssohn. Iniziato nel 1838, il Concerto fu completato soltanto nel settembre del 1844 durante un periodo di convalescenza trascorso a Soden nei pressi di Francoforte sul Meno e fu eseguito per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia, il 13 marzo 1845, sotto la direzione di Niels Gade, che sostituì Mendelssohn per tutti i concerti di quella stagione, e con la superba interpretazione di Ferdinand David, al quale l’opera è dedicata. Prima di morire Mendelssohn ebbe, comunque, modo di dirigere questo Concerto sempre con David in qualità di solista il 23 ottobre del 1845 e forse di ascoltarlo ancora una volta il 3 ottobre 1847, a un mese esatto dalla morte, in quest’occasione, con l’interpretazione di Joseph Joachim.
A chiedere a Mendelssohn di scrivere un Concerto per violino e orchestra era stato, nel 1836, Ferdinand David, che, un anno prima, era stato assunto come primo violino solista al Gewandhaus grazie proprio all’intervento del compositore. Il violinista godeva di una certa fama di virtuoso tanto che lo stesso Paganini gli aveva dedicato il Moto perpetuo, una delle pagine più complesse della sua produzione. Molto importante, anche se difficilmente evidenziabile, deve essere stato il contributo di David alla stesura della parte solistica, per la quale Mendelssohn chiese molti consigli. È molto probabile, infatti, che David abbia incoraggiato Mendelssohn ad osare di più sia negli elementi virtuosistici sia nella cadenza del primo movimento che fu portata dalle 12 misure iniziali alle 36 di cui si compone attualmente. In tutto il Concerto, comunque, Mendelssohn mostra di tendere verso una perfezione formale che non deve essere, tuttavia, interpretata come la volontà di uniformare in modo acritico e senza spunti originali la propria opera ai modelli classici, ma va letta, in un senso più ampio, come una forma di attualizzazione di quei modelli che vengono rielaborati in modo del tutto personale. Dell’indipendenza di Mendelssohn dai suoi modelli e in particolar modo da Beethoven si erano accorti, del resto, anche i suoi contemporanei tra cui il pianista e compositore ungherese Stephen Heller, che ebbe modo di affermare:
“Mendelssohn è forse tra tutti i musicisti moderni quello le cui opere ricordano meno quelle di Beethoven”.
Proprio in questo lavoro, infatti, Mendelssohn, trasgredì ad alcune norme formali tipiche del concerto solistico, eliminando, per esempio, l’iniziale esposizione orchestrale ed assegnando, così, un ruolo prevalente al solista che espone immediatamente il celebre e lirico primo tema su un tappeto armonico affidato agli archi, ai clarinetti e ai fagotti. L’orchestra interviene soltanto dopo una breve parentesi virtuosistica del solista per affermare in modo perentorio e autorevole il primo tema e, al tempo stesso, introdurre la transizione modulante che, nella parte conclusiva, contiene una nuova idea melodica cantabile e distesa, riutilizzata, in seguito, nella parte iniziale dello sviluppo. Il secondo tema, esposto, secondo i canoni, nella tonalità di sol maggiore, relativa di mi minore, s’inserisce perfettamente nel clima disteso e sereno, anticipato magistralmente nella parte conclusiva dello sviluppo, che sembra, almeno inizialmente, confermato, nella coda dell’esposizione, dalla ripresa da parte dell’orchestra del primo tema nella tonalità maggiore. Il dialogo seguente tra orchestra e solista, che si scambiano alcuni frammenti del primo tema, acquista, però, una grande forza drammatica in quanto il solista cerca di opporsi all’orchestra, che, nei vani tentativi di ridurlo al silenzio con accordi dissonanti, vuole assumere quel ruolo principale sulla scena strappatole dal violino quando aveva direttamente esposto il primo tema. Questo dramma si ricompone nel raffinato equilibrio dello sviluppo, dove il solista e l’orchestra si ritagliano due ruoli diversi, ma entrambi importanti e complementari; il primo, infatti, si accontenta di riproporre l’idea secondaria, apparsa sul finire della transizione, lasciando subito dopo all’orchestra il compito di riproporre il tema iniziale nella parte dei flauti e dei clarinetti. In questo passo il solista, lungi dal tacere, decide di ricamare in modo virtuosistico il tema dell’orchestra che, dopo aver girato diverse tonalità, esaurisce la sua azione in un diminuendo con il quale il solista si riappropria del suo ruolo di primo piano. Lo sviluppo si conclude in modo insolito con una cadenza che si evidenzia per la presenza, al suo interno, di una citazione della Ciaccona di Bach e per la sua introduzione alla fine dello sviluppo che costituisce un’altra piccola trasgressione alle regole classiche del concerto solistico, nel quale generalmente trova spazio alla fine della ripresa prima della coda. Anche nella ripresa successiva è operata da Mendelssohn un’altra trasgressione rappresentata dalla scelta di riesporre il secondo tema nella tonalità maggiore, anziché in quella minore. La coda costituisce un momento estremamente virtuosistico per la forte accelerazione impressa alla parte del solista e culminante nei tre accordi conclusivi.
Il secondo movimento, Andante, è legato al precedente da un lungo si tenuto dai fagotti che introduce il tema di ninna-nanna, esposto dal solista. Il clima di serenità, che aveva dominato nel primo movimento, sembra confermato nella parte iniziale del secondo, la cui sezione centrale si colora, tuttavia, di forti tinte drammatiche disegnate dai corni, dalle trombe, dai timpani e dai tremoli dei violini secondi che sostengono una melodia malinconica e piena di tensione esposta dai primi violini, a cui si unisce il solista. Le continue modulazioni accentuano il clima di tensione e allontanano la composizione dal solare do maggiore iniziale che ritorna, tuttavia, nella ripresa, dove il solista riespone il tema iniziale sui delicati tremoli dei violini, ormai privati della drammaticità che li aveva caratterizzati nella parte centrale.
Anche il terzo movimento (Allegro molto vivace) è legato al secondo senza soluzione di continuità con un breve episodio (Allegretto non troppo) in cui viene presentato in una forma rielaborata il primo tema del primo movimento. Dopo una gioiosa fanfara di fagotti, corni e trombe il rondò si apre con un brillante tema iniziale affidato al solista a cui si contrappone la seconda idea tematica, marziale e strutturata in modo da assumere la forma di un dialogo tra orchestra e solista. Lo sviluppo è dominato dal primo tema che viene variato inizialmente dal solista e sfocia in una nuova idea tematica per essere rielaborato dall’orchestra. Nella ripresa la scena è integralmente occupata dal secondo tema che, essendo del tutto assente nello sviluppo, svolge la funzione di ristabilire l’equilibrio apparentemente minato dalle trasgressioni alla forma classica del concerto; un esempio di tali trasgressioni è rappresentato dalla scelta di fare seguire i movimenti in modo da escludere ogni soluzione di continuità. Il carattere maggiormente qualificante è rappresentato, pertanto, proprio dall’evidente tentativo di introdurre elementi originali in un’opera perfetta dal punto di vista formale.
Durata: 24'
Dmitrij Dmtrevič Šostakovič
San Pietroburgo, 1906 - Mosca, 1975Sinfonia n. 15 in la maggiore, op. 141
Allegretto
Adagio, Largo, Adagio, Largo
Allegretto
Adagio, Allegretto, Adagio, Allegretto
Definita dal musicologo Franco Pulcini nella sua monografia dedicata a Šostakóvič «Una sinfonia post mortem in senso laico, una riflessione sulla propria avventura esistenziale rivista con il distacco dei trapassati», la Quindicesima sinfonia fu composta tra la primavera e l’estate del 1971 quattro anni prima della morte del compositore che già nel 1966 era stato colpito da un infarto. Ultima composizione sinfonica, questo lavoro è ritenuto unanimemente dalla critica il testamento spirituale di Šostakóvič, le cui precarie condizioni di salute, già gravemente minate dalla paralisi al braccio destro, lo avrebbero presto condotto alla morte. Gli ultimi anni di vita di Šostakóvič, infatti, sono caratterizzati da frequenti ricoveri durante i quali continuò a scrivere musica. Proprio durante un periodo di degenza trascorso all’ospedale di Kurgan nel mese di giugno del 1971, Šostakovič iniziò a comporre quasi in modo febbrile la Quindicesima sinfonia che avrebbe completato tre mesi dopo durante un suo soggiorno nella Casa dei compositori di Repino, come egli stesso confidò a un suo amico:
“Vi ho molto lavorato. L’ho scritta in ospedale e, più tardi ancora, alla Casa dei compositori, essa non mi ha lasciato un attimo di tregua. È un’opera che mi ha semplicemente preso interamente, una delle rare opere ad essere stata chiara nel mio spirito sin dall’inizio - dalla prima all’ultima nota. Non mi restava altro che scriverla”.
Completata l’orchestrazione il 19 luglio, fu immediatamente organizzata dall’Unione dei compositori di Mosca un’audizione della sinfonia in una versione per pianoforte a quattro mani che si tenne qualche giorno dopo con l’interpretazione di Boris Tchaikovsky e di Moïse Vainberg. Šostakóvič, da parte sua, a conferma dell’enorme sforzo che aveva profuso nello scriverla, scrisse in una lettera del 26 agosto a Marietta Chaguinian:
“Ho lavorato molto [alla sinfonia]. Fino a piangerne. Ma se mi sono scese le lacrime, non è stato perché la mia sinfonia era triste, ma a causa dello sforzo al quale sono stati sottoposti i miei occhi. Sono anche andato dall’oculista che mi ha prescritto una piccola pausa. Mi è molto costata, perché quando sto componendo, la minima interruzione m’infastidisce in modo considerevole”.
La prima esecuzione, avvenuta l’8 gennaio 1972 a Mosca con l’orchestra della Radio Sovietica diretta dal figlio Maxim, regalò uno dei rari momenti di felicità di quell’anno a Šostakóvič che sarebbe stato colpito nel mese di settembre da un secondo infarto. Di carattere enigmatico e intrisa di citazioni ed autocitazioni, la Sinfonia, la cui musica, secondo alcune testimonianze, sarebbe legata al progetto, non realizzato, di scrivere un’opera tratta dal racconto di Čechov Il monaco nero, sembra, comunque, che scorra lungo il filo della memoria, come lo stesso compositore affermò in un’intervista rilasciata al quotidiano «Trud», nella quale si legge:
“Il primo movimento descrive l’infanzia – proprio un negozio di giocattoli, con un cielo senza nuvole”.
Secondo alcuni musicologi, inoltre, il Leitmotiv tratto dalla Tetralogia di Wagner, noto in italiano con il nome enigma del destino, sarebbe un sinistro ricordo del patto tra Hitler e Stalin che era stato suggellato con una rappresentazione della Walkiria al Bol’šoj di Mosca.
Di carattere enigmatico è il primo movimento, Allegretto, in forma-sonata, nel quale è citato un tema tratto dal Guglielmo Tell di Rossini a cui è giustapposto un altro dodecafonico che crea una situazione di forte contraddittorietà. Tutto il movimento è pervaso da una gioia che, oltre a richiamare l’infanzia, ricorda alcune pagine della Prima sinfonia, mentre la coda con il suo carattere bandistico mostra un certo legame con la Circus Polka. Un’oasi romantica è il secondo movimento, Adagio, che, aperto da un corale, a cui segue un motivo seriale affidato al violoncello, presenta un’autocitazione dell’Undicesima sinfonia, costituita da una fanfara a distanza. Nella parte centrale sono introdotti due accordi che sembrano richiamarsi al sesto dei Sei piccoli pezzi per pianoforte op. 19 di Schönberg. Di carattere grottesco è il terzo movimento (Allegretto), uno scherzo il cui melos mostra delle inflessioni popolareggianti che trovano una perfetta sintesi con alcune note ornamentali di carattere avanguardistico con le quali Šostakóvič esaurisce il totale cromatico. Un autentico capolavoro è il quarto movimento, intriso di citazioni più o meno esplicite tra cui emerge quella del tema dell'enigma del destino tratto dalla Walkiria di Wagner. Pagina di grande finezza intellettuale, il movimento è percorso da un tema costituito dalle prime note del preludio del Tristano, che funge quasi da autentico filo della memoria dal quale si dipanano altri motivi musicali. Tra questi emerge quello sul motto D.Sch. la cui struttura ritmica ricorda quella del tema dell’invasione della Sinfonia di Leningrado.
Riccardo Viagrande
Durata: 39'