Mozart & Schumann
Fabio Biondi, direttore/violino
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Programma
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Wolfgang Amadeus Mozart
Salisburgo 1756 – Vienna 1791Idomeneo, re di Creta, KV 367, ouverture
Allegro
Quando nell’autunno del 1780 giunse a Mozart, da parte dell’elettore di Monaco Karl Theodor, la commissione di un’opera seria da rappresentarsi nella stagione del Carnevale del 1781, è possibile immaginare la gioia del Salisburghese che, già due anni prima, aveva manifestato il suo desiderio di comporne una in una lettera al padre del 4 febbraio 1778, dove si legge:
“Non scordate il mio desiderio di scrivere opere. Invidio chiunque ne scriva una. Desidererei proprio piangere di dispetto quando sento o leggo un’aria. Ma italiana, non tedesca, seria non buffa”.
L’entusiasmo di Mozart per questa commissione fu, senza dubbio, accentuato da altri fattori, come l’importanza del Teatro di Monaco, dove operava l’orchestra di Mannheim, la più famosa di Europa, che si era trasferita nella città bavarese nel 1778 proprio a seguito dell’elettore Karl Theodor, la presenza di un cast di grandi cantanti e del celebre scenografo Lorenzo Quaglio e, infine, il pubblico particolarmente colto. Come librettista fu scelto l’abate Giovanni Battista Varesco, cappellano di corte dell’arcivescovo di Salisburgo, che per l’occasione si ispirò al libretto della Tragédie-Lyrique, Idoménée, di Antoine Danchet, messo in musica nel 1712 da André Campra. Del libretto, che Varesco modificò, trasformandolo, per quanto possibile, in un dramma di tipo metastasiano, Mozart, in realtà, non fu del tutto soddisfatto, come si evince da una lettera indirizzata da Monaco al padre il 18 gennaio 1781:
“Mon très cher Pére! Ricevetti dal signor Fiala il suo scritto dell’11 e quello del 13. Perdoni se anche questa volta scrivo pochissimo, ma devo recarmi all’istante (son quasi le 10 – del mattino, si capisce) alla prova. Oggi abbiamo la prima prova dei recitativi in teatro ed io non ho potuto prepararmi, ché ho avuto fino all’ultimo un gran daffare con le maledette danze. Laus Deo, ora è finita. Dunque, le cose più importanti: la prova del terz’atto è andata benissimo, e tutti sono concordi che esso supera ancora di molto gli altri due. Solo che la poesia è troppo lunga, e quindi la musica anche – ciò ch’io dissi sempre –; per tale ragione l’aria di Idamante Nò, la morte io non pavento (che comunque non è al suo posto in quel punto, nonostante coloro che l’hanno udita in musica abbiano più volte sospirato) viene a cadere e così l’ultima di Raaff [l’aria di Idomeneo Torna la pace al core] (nonostante su di essa si sia sospirato ancor più, ma tant’è: bisogna far di necessità virtù). Anche il detto dell’oracolo è troppo lungo, e l’ho accorciato. Di tutto ciò non v’è bisogno che sappia Varesco, visto che tutto sarà in ogni modo stampato così come egli lo ha scritto. […]. Nel frattempo dica pure a Varesco, a nome mio, che non riceverà dal conte Seeau [intendente teatrale del Principe Elettore Karl Theodor] un centesimo in più di quanto concordato, giacché i cambiamenti egli li ha apportati per me, non per lui; e che dovrebbe essermi obbligato, visto che ciò è stato fatto a tutela della sua onorabilità – tra l’altro, vi sarebbe molto da modificare –, e che stia pur certo che difficilmente con un altro compositore gli sarebbe andata altrettanto bene: mi son dato già abbastanza pena a trovargli scusanti”.
Da questa lettera si ricava, inoltre, il grande senso del teatro di Mozart che non esitò ad operare dei tagli anche consistenti al terzo atto per rendere l’azione più scorrevole ed efficace. Alla prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Cuvilliés di Monaco il 29 gennaio 1781, l’opera, che fu interpretata da due autentiche star dell’epoca, il tenore tedesco Anton Raaff e il castrato italiano Vincenzo dal Prato, ottenne un grande successo, nonostante in occasione della prima da uno dei palchetti sia stata lanciata a Mozart, che dirigeva, una coscia di fagiano.
In forma-sonata ma senza sviluppo, l’Ouverture in re maggiore si apre con delle solenni esplosioni a piena orchestra, che alludono alla regalità del protagonista e sono seguite da un tema, esposto dagli archi e di carattere minaccioso, che sembra anticipare le tensioni del Don Giovanni. Un certo lirismo, invece, caratterizza il secondo tema che allude, invece, ai nobili sentimenti provati dai personaggi.
Durata: 5'
Robert Schumann
Zwickau, 1810 - Bonn, 1856Concerto in la minore per violino e orchestra, op. postuma (trascrizione originale di Schumann dal Concerto in la minore per violoncello e orchestra, op. 129)
Nicht zu chnell (Non troppo veloce)
Langsam (Lento)
Sehr Lebhaft (Molto vivace)
“Lo scorso mese Schumann ha composto un Concerto per violoncello che mi è piaciuto moltissimo. Esso sembra che sia stato scritto in perfetto stile violoncellistico”.
Così il 16 novembre 1850 annotava nel suo diario Clara Schumann a proposito del Concerto in la minore per violoncello e orchestra che, composto in circa due settimane dall’11 al 24 ottobre 1850, in un arco di tempo estremamente breve e di prodigiosa creatività, è la prima composizione scritta dal marito Robert durante il suo soggiorno a Düsseldorf, dove era giunto il 2 settembre per assumere l’incarico di direttore dei concerti. Qui egli fu accolto trionfalmente con l’organizzazione di un concerto, durante il quale furono eseguite sue composizioni, di una cena e di un ballo in suo onore. Nonostante l’accoglienza calorosa, si apriva un periodo di grande e febbrile attività, non certo semplice per il compositore tedesco che, sebbene avesse poca esperienza nella direzione d’orchestra, fu costretto a dirigere una compagine orchestrale formata, tra l’altro, da artisti di profilo professionale non proprio altissimo, per ottemperare agli obblighi contratti con questo nuovo incarico. Tale frenetica attività, piuttosto che ostacolare la composizione di nuove opere, servì da stimolo efficacissimo per Schumann che in questo periodo scrisse alcuni dei suoi lavori più importanti, come Le scene dal Faust di Goethe, la Sinfonia n. 3 “Renana” e questo Concerto per violoncello e orchestra.
Autentico capolavoro della letteratura per violoncello e orchestra, questo Concerto è la prima opera concertante scritta nell’Ottocento per questo strumento solista, in quanto prima di Schumann soltanto Haydn nel Settecento aveva composto due concerti per violoncello, il secondo dei quali risalente al 1783. Probabilmente Schumann aveva pensato di scrivere un Concerto per violoncello già nel 1849, ma soltanto nei primi felici mesi del suo soggiorno a Düsseldorf trovò il tempo e l’ispirazione per realizzare questo suo progetto. Egli, inoltre, conosceva abbastanza bene la tecnica del violoncello, di cui aveva iniziato lo studio, sia pure per un breve periodo di tempo, nel 1832, dopo la perdita dell’uso dell’anulare della mano destra che aveva posto fine alla sua carriera di pianista. Oltre alla conoscenza del violoncello è possibile che abbia influito sulla sua scelta dello strumento solista anche la sua convinzione che la grande stagione dei Concerti per pianoforte e orchestra si era ormai esaurita. Lo stesso Schumann, recensendo il Secondo concerto per pianoforte e orchestra di Mendelssohn, aveva scritto:
“Sarebbe certamente una spiacevole perdita per l’arte se andasse completamente fuor d’uso il concerto per pianoforte e orchestra; d’altra parte non si può dar torto ai pianisti quando dicono: «Noi non abbiamo bisogno di nessun aiuto, anche da solo il nostro strumento è assolutamente completo». Così dobbiamo aspettare come si possa unire l’orchestra al pianoforte in modo nuovo e scintillante, tanto da lasciare al virtuoso la possibilità di sviluppare la ricchezza della sua arte e del suo strumento”.
Anche per questo Concerto per violoncello come per il precedente per pianoforte Schumann si propose di rinnovare questa forma evitando il virtuosismo fine a se stesso alla ricerca della genuinità dell’espressione musicale, come egli stesso aveva avuto modo di affermare a proposito del suo Concerto per pianoforte e orchestra:
“Il mio Concerto è un compromesso fra una Sinfonia, un Concerto, e una vasta Sonata. Mi accorgo che non posso scrivere un Concerto per i virtuosi – debbo progettare qualcos’altro”.
Tale poetica musicale di Schumann trova la sua piena affermazione anche in questo Concerto per violoncello e orchestra che fu eseguito in forma privata con Christian Reimers al violoncello e con Clara Schumann al pianoforte il 23 marzo 1851; la donna, dopo questa esecuzione, annotò nel suo diario:
“Io ho suonato il Concerto per violoncello di Robert di nuovo e ciò ha procurato a me stessa un’ora di musica veramente felice”.
Nonostante il giudizio entusiastico di Clara, il Concerto non ebbe un immediato successo e addirittura fu rifiutato dal violoncellista Robert Bockmühl e da Franz Messer, direttore del Cäcilienverein, che lo giudicarono troppo duro all’ascolto. A finire sul banco degli imputati, come spesso accadde per i lavori sinfonici di Schumann, fu soprattutto l’orchestrazione. Il compositore e violinista Karl Böhmer suggerì, infatti, che per il concerto era più efficace un accompagnamento pianistico piuttosto che quello orchestrale mentre Dmitrij Dmtrevič Šostakovič arrivò addirittura a dargli una veste orchestrale nuova nel 1963. Schumann da parte sua non ebbe modo di ascoltare questa sua creatura che fu eseguita per la prima volta postuma, soltanto il 9 giugno 1860, con Ludwig Ebert in qualità di solista.
Del Concerto Schumann fece anche una versione per violino che è stata ritrovata nel 1987 tra le carte del violinista Joseph Joachim, amico personale dei coniugi Schumann e anche di Brahms. Eseguito per la prima volta nel 1987 a Colonia, il Concerto, in questa versione per violino, non presenta particolari differenze con l’originale, in quanto la parte orchestrale è rimasta identica e quella del solista è stata semplicemente trasportata una o due ottave sopra nei passi in cui scendeva al di sotto della tessitura del violino. Per quanto simile alla versione originale, questa per violino sorprende sicuramente un orecchio abituato ad ascoltare il violoncello come solista. La sua parte, che nella versione originale per violoncello, si insinuava in un registro centrale e, quindi, in mezzo alle altre parti dell’orchestra, in quella per violino, svetta su di esse.
Dal punto di vista formale il Concerto è costituito da tre movimenti, che vanno eseguiti senza soluzione di continuità, nei quali emerge la voce del solista in una scrittura lirica finemente accompagnata dall’orchestra. Già nel primo movimento, Nicht zu chnell (Non troppo veloce), in forma-sonata, aperto da 3 accordi dei legni sostenuti dal pizzicato degli archi, la scrittura della parte solistica si evidenzia per una spiccata vena lirica mentre l’orchestra, dopo essersi prodotta in una breve introduzione, dialoga con il violino in un rapporto paritetico. Subito risalta, infatti, il bellissimo primo tema che permea di sé l’intero movimento, tanto da mettere ai margini il secondo tema in terzine esposto dopo un tutti orchestrale e da ritornare nello sviluppo anche in un assolo del corno. Dopo una falsa ripresa in fa diesis minore, giunge quella vera che, piuttosto che condurre alla tradizionale cadenza e alla coda, porta direttamente al secondo movimento. In questo secondo movimento, Langsam (Lento), formalmente una romanza tripartita secondo lo schema A-B-A, la vena lirica della parte solistica è maggiormente evidente. Molto bello e suggestivo è il duetto iniziale tra il solista e il primo violoncello dell’orchestra che, in questa versione, appare anche più efficace rispetto a quella originale, in quanto i due strumenti appaiono ben distinti. L’ultimo movimento, Sehr Lebhaft (Molto vivace), infine, è un brillante rondò-sonata nel quale appare un tema di tre accordi, che allude all’incipit del concerto. Il movimento, nel quale, oltre ad esserci una maggiore interazione tra solista e orchestra, si notano della allusioni al tema del primo movimento nella parte del clarinetto e del corno, presenta, infine, la virtuosistica cadenza che precede la travolgente coda conclusiva.
Durata: 22'
Wolfgang Amadeus Mozart
Salisburgo 1756 – Vienna 1791Sinfonia n. 38 in re maggiore KV 504 "Praga"
Adagio, Allegro
Andante
Finale (Presto)
“Mozart sembra avere scritto per il popolo della Boemia, la sua musica non è capita in nessun luogo meglio che a Praga, e anche nella campagna essa è ampiamente amata”.
Questo articolo, apparso dopo la morte di Mozart sul giornale «Prager Neue Zeitung», è un’importante testimonianza dell’intenso rapporto affettivo che, stabilitosi tra Mozart e il popolo boemo, trova ulteriore conferma nel titolo di questa sinfonia. In realtà è alquanto fantasiosa la tesi secondo cui il titolo della sinfonia deriverebbe dal luogo della sua composizione, la città di Praga durante il primo soggiorno mozartiano nel mese di gennaio del 1787, in quanto è smentita dalla data, 6 dicembre 1786, in cui l’opera fu completata. Questa data è, infatti, precedente all’invito fatto al compositore di recarsi nella capitale boema per dirigere la ripresa delle Nozze di Figaro. Se la sinfonia non è stata composta a Praga, tuttavia essa fu eseguita per la prima volta il 19 gennaio 1787 nella capitale boema dove Mozart ottenne il successo sperato presso un pubblico caloroso che, negli stessi giorni, aveva acclamato le sue Nozze di Figaro.
Dal punto di vista formale questa sinfonia presenta tre movimenti, al posto dei quattro canonici della sinfonia classica, con l’omissione del minuetto. Secondo alcuni musicologi questa scelta formale non avrebbe nessuna motivazione estetica, né sarebbe giustificata da un presunto ritorno al modello antico di ascendenza italiana in tre movimenti, in quanto sarebbe stata suggerita dalla volontà di Mozart di adeguarsi ai gusti del pubblico praghese che preferiva il vecchio modello in tre movimenti. La scelta di omettere il minuetto conferisce alla sinfonia un forte senso drammatico e un carattere solenne che non viene alleggerito dal ritmo della danza.
Il primo movimento, in forma-sonata, si apre con un Adagio introduttivo molto esteso di cui Mozart si avvalse soltanto in altre due sinfonie, la n. 36 “di Linz” in do maggiore KV. 425 e la n. 39 in mi bemolle maggiore KV 533. L’incipit dell’Adagio presenta un carattere solenne con una scrittura che, pur con le dovute differenze, mostra una stretta parentela con l’attacco dell’ouverture dell’Idomeneo, con la quale condivide anche la tonalità di re maggiore, e con la Jupiter, con la quale presenta altre notevoli ed interessanti affinità. Nel primo tema dell’Allegro, infatti, ai violini secondi, alle viole e ai violoncelli rispondono il flauto e l’oboe con una scala discendente della quale Mozart si sarebbe ricordato nella sezione del ponte modulante del primo movimento proprio della Jupiter. Dopo la sezione modulante Mozart non introduce un nuovo tema alla dominante, ma riprende il primo in un interessante contesto che, per il serrato gioco contrappuntistico, ricorda da vicino il divertimento della fuga qui notevolmente allargato. Finalmente è presentato il secondo tema, anch’esso sviluppato nella parte conclusiva in modo contrappuntistico. Il contrappunto è protagonista anche dell’ampio ed elaborato sviluppo che, basato sull’intreccio di due cellule motiviche del primo gruppo tematico, conduce alla ripresa del primo tema, prima, alla dominante, e, poi, nella tonalità d’impianto.
Il secondo movimento, Andante, in forma-sonata, si distingue per la sua cantabilità che scorre dal primo tema, caratterizzato da un andamento di cullante pastorale, al secondo sviluppato in modo leggermente più inquieto e contrastante.
Il terzo ed ultimo movimento, Presto, è un brano scintillante nel quale la sapienza contrappuntistica di Mozart trova la sua compiuta realizzazione nell’uso degli strumenti che sembrano inseguirsi in modo da dare origine ad un gioco imitativo di grande teatralità e coerenza formale.
Riccardo Viagrande
Durata: 28'