Mozart / Stockhausen / Schumann

Tito Ceccherini, direttore

Michele Marelli, clarinetto di bassetto

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    12 Aprile 2024

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    25 - 15 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    13 Aprile 2024

    Ore

    17,30

    Durata

    80min.

    Prezzi

    25 - 15 €

    Calendario

  • Programma

  • Wolfgang Amadeus Mozart
    Salisburgo 1756 – Vienna 1791

    La clemenza di Tito KV 621, Ouverture

    Allegro

     

    Periodo di composizione: Agosto – 6 settembre 1791

    Prima rappresentazione: Praga, Nationaltheater, 6 settembre 1791. Al 20 giugno 1791 risale la tentata fuga di Varennes. In piena Rivoluzione Francese il re Luigi XVI tentò di lasciare insieme con la famiglia la Francia, ma fu intercettato e catturato dai rivoluzionari a Varennes.

     

    Ultima opera di Mozart, La clemenza di Tito fu composta in appena 18 giorni tra la seconda metà del mese di agosto 1791 e il 6 settembre dello stesso anno, quando fu rappresentata per la prima volta al Nationaltheater di Praga. Non si sa, infatti, la ragione per cui arrivò così tardi la commissione per questa nuova opera da rappresentarsi in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione di Leopoldo II a re di Boemia, ma è certo che Mozart interruppe tutti gli altri lavori, compreso il Requiem, che gli era stato commissionato nel mese di luglio da un uomo misterioso e a lui sconosciuto che si ripresentò nel momento in cui il Salisburghese stava per partire per Praga per ricordargli l’impegno. Mozart si scusò del ritardo, rassicurandolo del fatto che avrebbe ripreso il suo lavoro al ritorno da Praga. I tempi per la composizione della Clemenza di Tito erano talmente stretti che Mozart, la cui salute era già minata, incominciò a comporre l’opera, aiutato anche dal suo allievo Süssmeyer, che scrisse i recitativi secchi, durante il viaggio abbozzando alcuni brani in carrozza e riservandosi di stenderli in albergo. Alla prima rappresentazione quest’opera, il cui libretto è una rielaborazione realizzata da Caterino Mazzolà, poeta della corte di Sassonia dal 1782, di un precedente testo metastasiano, ottenne un successo mediocre tanto che la stessa regina la giudicò, esprimendosi in perfetto italiano, una porcheria tedesca. Questo fu il primo insuccesso di Mozart a Praga, città tradizionalmente a lui favorevole, nella quale il compositore aveva mietuto allori con il Don Giovanni, che fu rappresentato anche in questa occasione il 2 settembre, e Le nozze di Figaro. Una delle cause dell’insuccesso è da imputare certamente al libretto, costruito, nonostante la rielaborazione di Mazzolà, secondo i canoni dell’opera seria, genere ampiamente superato da Mozart che, tuttavia, riuscì a piegarne il carattere solenne alle potenti situazioni drammatiche delle opere della maturità. Ciò appare evidente nella breve e poderosa ouverture in forma-sonata, il cui carattere solenne traspare già nelle prime 8 misure che ricordano quelle introduttive dell’Idomeneo. Nettamente contrastanti sono i due temi, dei quali il secondo è affidato ai legni, mentre lo sviluppo si segnala per una raffinata scrittura contrappuntistica. Molto originale è la scelta di invertire nella ripresa l’ordine dei due temi con il primo, luminoso e solenne, che conclude l’ouverture in un’esaltazione della ragione illuministica.

    Durata: 5'

    Concerto in la maggiore per clarinetto di bassetto e orchestra KV 622 - Cadenze di K. Stockhausen - Prima esecuzione a Palermo

    Allegro

    Adagio

    Rondò

     

    Periodo di composizione: Vienna, 28 settembre – 7 ottobre 1791

    Prima esecuzione: Praga, Teatro Nazionale Nostitz, 16 ottobre 1791

     

    Composto in appena 10 giorni nell’ottobre del 1791, pochi mesi prima della morte che avrebbe colto Mozart la notte del 5 dicembre dello stesso anno, il Concerto in la maggiore per clarinetto e orchestra KV 622 è uno dei suoi ultimi lavori scritti in un periodo di febbrile attività durante il quale aveva composto i suoi due capolavori teatrali, La clemenza di Tito e Il flauto magico. Concepito inizialmente per clarinetto di bassetto, il Concerto fu scritto per il clarinettista Anton Stadler, suo grande amico e coetaneo, per il quale aveva già composto il Trio KV 498, il Quintetto KV 581 e i due obbligati per clarinetto della Clemenza di Tito. Anton Stadler era un virtuoso di un nuovo strumento, il Klarinett mit Abnderung, oggi noto con il nome di clarinetto di bassetto, inventato nel 1788, che, oltre ad avere un’estensione maggiore verso i suoni più gravi, era molto più difficile da suonare rispetto al normale clarinetto. Il Concerto fu eseguito dallo stesso Stadler per la prima volta in questa versione originale il 16 ottobre del 1791 a Praga, città tradizionalmente favorevole a Mozart, con un discreto successo che si ripeté anche in successive esecuzioni. Stadler eseguì, infatti, il Concerto in altre città europee e la stampa, in particolar modo, non mancò di esaltare il suo virtuosismo, come si evince da un articolo pubblicato nel mese di gennaio del 1792 sul «Berlin Musikalisches Wochenblatt» nel quale si legge: «Herr Stadler, un clarinettista di Vienna. Un uomo di grande talento e riconosciuto come tale nella corte… Il suo modo di suonare è brillante e rappresenta una testimonianza della sua sicurezza».

    Essendo andato perduto l’autografo, non è possibile conoscere la versione originale del Concerto, pubblicato postumo dall’editore André nel 1801 in una forma adattata per il tradizionale clarinetto in la. In questa forma il Concerto ebbe un grande successo per tutto l’Ottocento determinando anche la fortuna dello strumento durante il Romanticismo. Soltanto nel Novecento si è cercato di ricostruire la versione originale e addirittura sono stati costruiti appositamente, per l’esecuzione di questo concerto, alcuni clarinetti di bassetto modellati sugli esemplari settecenteschi. La destinazione originaria della composizione è tradita dalla scrittura della parte solistica che anche in questa versione adattata mostra una particolare predilezione per i suoni gravi i quali contribuiscono a dare alla composizione un tono malinconico evidente già nel primo movimento, Allegro, in forma-sonata. Dopo una breve introduzione orchestrale il clarinetto, esaurita l’esposizione dell’elegante primo tema, intona, nella transizione, una melodia malinconica alla quale se ne contrappone un’altra di carattere sereno. Una scrittura virtuosistica informa, invece, il secondo tema nel quale il solista può mettere in mostra tutte le sue capacità esecutive. Il secondo movimento, Adagio, formalmente strutturato in tre parti con un’esposizione, una parte centrale e una ripresa, è caratterizzato da un tema estremamente espressivo, tipicamente mozartiano, di straordinaria semplicità al quale si contrappone, nella sezione centrale, un motivo quasi implorante. Il terzo movimento, Allegro, è, infine, un brillante Rondò nel quale il solista può esibire tutte le sue doti virtuosistiche. In questa occasione sarà eseguita una versione con le due cadenze sia del primo che del secondo movimento scritte da Karlheinz Stockhausen che ha anche diretto e inciso questo Concerto.

    Durata: 27'

    Robert Schumann
    Zwickau, 1810 - Bonn, 1856

    Sinfonia n. 2 in do maggiore op. 61

    Sostenuto assai, Allegro ma non troppo

    Scherzo: Allegro vivace con Trio I e Trio II

    Adagio espressivo

    Allegro molto vivace

     

    Periodo di composizione: 1845 – Dresda, 19 ottobre 1846

    Prima esecuzione: Lipsia, Gewandhaus Saal, 5 novembre 1846. Il 21 febbraio dello stesso anno era scoppiata a Cracovia una rivolta guidata da Edward Dembowski per l'indipendenza della Polonia dall'Austria.

     

    “Tamburi, trombe in do stavano squillando nella mia testa”.

    Queste enigmatiche parole, scritte da Schumann nel 1845 in una lettera indirizzata a Mendelssohn, si riferiscono molto probabilmente al motto iniziale della Seconda sinfonia in do maggiore affidato ai corni, alle trombe e ai tromboni. È questo il primo accenno alla suddetta sinfonia, composta in un periodo particolarmente difficile per Schumann a causa della malattia mentale che si era manifestata poco tempo prima e che lo avrebbe condotto lentamente alla prematura morte. Nel mese di agosto del 1844 la moglie Clara aveva scritto, infatti, nel suo diario: «Robert non riusciva a dormire una sola notte. La sua immaginazione gli dipingeva le immagini più terribili». Questo stato piuttosto fragile della sua salute mentale aveva anche ridotto di gran lunga le capacità creative di Schumann che, in una lettera indirizzata a Mendelssohn nel settembre del 1845, scrisse:

    “Tutto lo scrivere è un duro sforzo per me… Io ho prurito e spasimi ogni giorno in un centinaio di luoghi diversi. Un misterioso lamento – ogni volta che il medico cerca di mettere il dito nella piaga – sembra prendere le ali. Ma tempi migliori torneranno; e guardare mia moglie e i bambini è una grande gioia”.

    Tempi migliori tornarono presto e nella seconda settimana di dicembre del 1845 Schumann iniziò a comporre la Seconda sinfonia la cui stesura pianistica fu completata nel breve volgere di tre settimane. L’orchestrazione, iniziata il 12 febbraio del 1846, fu completata soltanto dieci mesi dopo a causa del ripresentarsi delle fobie e di un terribile e insopportabile suono all’orecchio che non gli dava tregua. Non fu salutare nemmeno un breve soggiorno a Maxen, dove, recatosi con la famiglia nel tentativo di riacquistare la salute perduta, fu colpito da nuove e terribili fobie, come la paura della cecità, della morte e di essere avvelenato, alle quali si aggiunse anche la preoccupazione che il pubblico avrebbe trovato delle tracce di questo periodo ottenebrato da tante nevrosi nella musica della Seconda sinfonia.  Nonostante le oggettive difficoltà, l’orchestrazione fu presto completata e la Sinfonia fu eseguita per la prima volta il 5 novembre del 1846 al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione di Mendelssohn. Secondo le affermazioni del musicologo Anthony Newcomb, la Seconda sinfonia è stata concepita come una sorta di romanzo di formazione novecentesco soprattutto per la struttura formale fortemente coesa con alcuni elementi tematici che ritornano nei quattro movimenti conferendo all’intero lavoro una straordinaria unità. Così il motto iniziale, affidato agli ottoni, ritorna nella coda dell’ultimo movimento e nello Scherzo, mentre il Finale riassume alcuni elementi tematici tratti dal primo movimento e dall’Adagio.

    Il primo movimento si apre con un’introduzione lenta, Sostenuto assai, che si impone immediatamente non solo per il motto iniziale, costituito da una suggestiva fanfara il cui suono sembra provenire da lontano, ma anche per una straordinaria perizia contrappuntistica acquisita grazie allo studio, insieme alla moglie Clara, del Cours de contrepoint di Luigi Cherubini. A questa introduzione segue l’Allegro ma non troppo che presenta un contenuto autobiografico come lo stesso compositore affermò: «Riflette la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso e ostinato». Protagonisti del secondo movimento, Scherzo (Allegro vivace), sono gli archi e, in particolar modo, i primi violini che si esibiscono in una sorta di moto perpetuo, mentre i due Trii presentano un carattere contrastante in quanto al primo, sognante, si contrappone il secondo fortemente caratterizzato in senso contrappuntistico. In questo secondo Trio figura un tema strutturato nella forma dell’acrostico sul nome di Bach costituito dalle quattro note, si bemolle, la, do, si naturale, che nella tradizione musicale anglosassone sono indicate con le lettere dell’alfabeto che costituiscono il nome del compositore di Eisenach al quale Schumann ha voluto così rendere omaggio. Carattere malinconico presenta il terzo movimento, Adagio espressivo, con i violini, prima, e gli oboi, dopo, che espongono una melodia che inizia in do minore e si conclude in mi bemolle maggiore. Anche in questo movimento il contrappunto ritorna a essere assoluto protagonista nella sezione centrale che prelude alla ripresa della melodia iniziale conclusa, stavolta, in maggiore. Nel Finale, Allegro molto vivace, insieme alla ripresa di alcuni elementi tematici tratti dal primo e dal terzo movimento, è introdotta, nella parte conclusiva affidata all’oboe, una melodia molto simile a quella del Lied di Beethoven intitolato An die ferne Geliebte già utilizzato da Schumann nella Fantasia op. 17.    

     

    Riccardo Viagrande

     

    Durata: 40'