Pietro De Maria / Chopin
Giuseppe Mengoli, direttore
Pietro De Maria, pianoforte
-
Programma
-
Fryderyk Chopin
Żelazowa Wola, 1810 - Parigi, 1849Andante spianato e Grande polacca brillante op. 22 per pianoforte e orchestra
Andante spianato: Tranquillo
Polacca: Allegro molto. Meno mosso
Periodo di composizione: settembre-ottobre 1830 (Polacca) – 1835
Prima esecuzione: Parigi, Salle de Concert du Conservatoire National de Musique, 26 aprile 1835. Il 2 marzo l’Arciduca Ferdinando I d’Austria sale al trono dell’Impero austriaco. In Italia viene pubblicata l’edizione napoletana dei Canti di Giacomo Leopardi.
Il pianoforte fu certamente il terreno sul quale Chopin si sentì più sicuro, come ebbe modo di confessare il compositore stesso alla contessa Delfina Potocka, e del resto anche i suoi pochissimi lavori, in cui è prevista la presenza dell’orchestra, come i due Concerti, hanno come protagonista questo strumento. Testimonianza di ciò è anche questo lavoro, Andante spianato e Grande polacca brillante op. 22 per pianoforte e orchestra, costituito da due composizioni di carattere talmente contrastante da far ritenere ad alcuni critici che esse poco si adattino a essere eseguite insieme. In realtà è proprio questo stridente contrasto a creare un legame quasi indissolubile tra queste due composizioni nelle quali, peraltro, sono accostate due danze nazionali polacche e in particolar modo la Mazurka, che informa la parte centrale dell’Andante, e la Polacca, appunto. Anche la gestazione di questo lavoro denuncia questa latente dicotomia, dal momento che la Grande polacca fu composta tra il 10 settembre e il 25 ottobre del 1830, mentre l’Andante spianato fu concepito nel 1835 inizialmente come un Notturno e soltanto dopo utilizzato come introduzione alla Grande polacca. Così strutturato, questo lavoro fu eseguito per la prima volta a Parigi, presso la Salle de Concert du Conservatoire National de Musique, il 26 aprile 1835, sotto la direzione di François-Antoine Habeneck e con l’interpretazione dello stesso Chopin che, con questo lavoro, non solo diede l’addio a una scrittura di carattere virtuosistico, ma anche alla stagione dei grandi concerti come pianista per ripiegare su una produzione di carattere più salottiero e al tempo stesso più matura e più vicina al suo mondo interiore.
Dalla struttura tripartita, l’Andante spianato, il cui titolo fa chiaramente riferimento al secondo e al terzo movimento, rispettivamente indicati come Cantabile spianato e Polacca, del Terzo concerto per violino e orchestra (1829) di Paganini che Chopin aveva avuto modo di ascoltare, si apre con una sezione in 6/8 di carattere sognante, alla quale segue, nella parte centrale, la mazurka, a cui si è accennato in precedenza, per concludersi con la ripresa di sole 14 battute della parte iniziale, che sfocia in una breve coda. Sedici battute, di cui è protagonista l’orchestra, introducono la Grande polacca brillante, una pagina nella quale l’esuberanza giovanile si mescola a quell’eleganza di scrittura che caratterizzerà la produzione matura di Chopin.
Durata: 14'
Fryderyk Chopin
Żelazowa Wola, 1810 - Parigi, 1849Concerto n. 2 in fa minore op. 21 per pianoforte e orchestra
Maestoso
Larghetto
Finale, Allegro vivace
Periodo di composizione: Varsavia, 1829-1830
Prima esecuzione: Varsavia, Teatro Nazionale, 17 marzo 1830. Il 29 novembre scoppiava a Varsavia, la cosiddetta rivolta di novembre, conosciuta anche con il nome di rivoluzione cadetta, contro il dominio dell’Impero russo in Polonia e in Lituania. Nello stesso anno, Giuseppe Mazzini, in esilio a Marsiglia, fondava la Giovine Italia.
Composti tra il 1829 e 1830, i due concerti per pianoforte e orchestra di Fryderyc Chopin sono due opere giovanili influenzate dalla cultura musicale, per certi aspetti, un po’ provinciale che si respirava a Varsavia in quegli anni. Chopin, ancora diciannovenne, viveva ai margini delle grandi e importanti trasformazioni che stavano coinvolgendo la musica e, quindi, la sua conoscenza della produzione concertistica era alquanto limitata. Come tutti i compositori, anche Chopin ebbe i suoi modelli di riferimento che a Varsavia, città solo sfiorata dalle grandi correnti culturali e musicali dell’epoca, erano rappresentati dalle opere di Hummel, Field, Steibelt e Gyrowetz, un compositore boemo, che, nei suoi lavori, non era rimasto estraneo a una certa influenza haydniana. Con evidente riferimento a questi modelli nacquero i due Concerti per pianoforte e orchestra di Chopin nei quali è presente lo stile Biedermeier, nome attribuito a un personaggio immaginario uscito dalla penna di Adolf Kussmaul e Ludwig Eichrodt, con il quale s’identificò un’intera epoca i cui limiti temporali sono rappresentati indicativamente dal 1815, anno in cui si celebrò la fine degli ideali rivoluzionari, e dal 1830, anno che vide l’affermazione della società borghese. In musica con questo termine vennero identificati tutti quei compositori, come Dussek, Cramer, Hummel, Field, Czerny e Ries, che in questo periodo cercarono tenacemente il successo, riuscendo a ottenerlo grazie alle loro doti virtuosistiche. Lo stile Biedermeir trovò la sua realizzazione in questi due concerti, in particolar modo, nel trattamento della parte orchestrale, la cui funzione è limitata all’accompagnamento del solista, nel carattere militaresco del primo movimento del Primo concerto e nella scelta di concludere il lavoro con melodie tratte dal repertorio popolare.
Questi due concerti hanno avuto una vicenda editoriale piuttosto particolare, in quanto l’ordine di pubblicazione è invertito rispetto a quello di composizione. Il Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra op. 11 fu, infatti, composto tra l’inverno e la primavera del 1830, cioè l’anno successivo a quello della stesura del secondo e catalogato con un numero d’opera inferiore, in quanto, secondo una prassi consolidata nell’Ottocento, la numerazione dell’opera era determinata dalla data di pubblicazione e non da quella di composizione. I caratteri peculiari dello stile Biedermeier si riflettono nel Concerto n. 2 in fa minore op. 21, composto tra il 1829 e l’inizio del 1830 ed eseguito per la prima volta in privato il 3 marzo 1830 e in pubblico a Varsavia il 17 marzo dello stesso anno. Questo Concerto, nonostante sia stato il più amato da Chopin, che lo eseguì con maggiore frequenza rispetto all’altro, nell’Ottocento non godette della stessa fortuna in quanto esso fu ripreso raramente da altri pianisti, tra i quali, però, spicca il nome illustre di Clara Schumann che mostrò di preferirlo negli ultimi anni della sua fulgida e brillante carriera. Dedicato a Delphine Potocka, bellissima contessa, con la quale si riteneva che Chopin abbia intrattenuto una relazione testimoniata da alcune lettere rivelatesi, poi, inattendibili, il Concerto fu invece ispirato da un altro amore del compositore per un’allieva di canto del Conservatorio di Varsavia, Konstancja Gladkowoska. Questo amore, che rimase solo platonico, è testimoniato da una lettera del 3 ottobre 1829 indirizzata al suo amico Titus Woychiechovski dove si legge:
“Forse, per mia fortuna, ho trovato il mio ideale, a cui sono rimasto fedele, sebbene senza dire a lei una parola, per sei mesi; quella che sogno ed a cui è dedicato l’adagio del mio Concerto”.
Il primo movimento (Maestoso) si apre con un’introduzione orchestrale in cui vengono enunciati tutti gli elementi tematici che ne sono alla base. Il primo tema, apparentemente marziale per l’utilizzo dei ritmi puntati, presenta un carattere fortemente espressivo nella dolcezza della melodia che contraddistingue anche il secondo, affidato alle delicate sonorità dei legni. Dopo l’esposizione orchestrale il pianoforte fa il suo ingresso con un passo di carattere improvvisativo e diventa assoluto protagonista lasciando all’orchestra solo la funzione di accompagnamento, secondo i canoni dello stile Biedermeier. Il secondo movimento, Larghetto, e non Adagio, come è stato chiamato nella lettera citata in precedenza, presenta un accentuato lirismo che non esprime soltanto l’amore tutto romantico di Chopin per Konstancja, ma riflette anche lo stile Biedermeier per la sua scrittura di ascendenza operistica. Di particolare suggestione è la parte centrale nella quale il pianoforte si esibisce su veloci gruppi irregolari. Come nel primo, anche nel secondo Concerto l’ultimo movimento attinge il suo materiale musicale dal repertorio popolare, rappresentato, in questo caso, da una mazurca di straordinaria leggerezza.
Durata: 28'
Hector Berlioz
La Côte-Saint-André, 1803 - Parigi, 1869Sinfonia fantastica
Sogni, passioni (Largo, Allegro agitato, e appassionato assai)
Un ballo (Valse: Allegro non troppo)
Scena nei campi (Adagio)
Marcia al supplizio (Allegretto non troppo)
Sogno di una notte del Sabba (Larghetto, Allegro)
Periodo di composizione: 1829-1830
Prima esecuzione: Parigi, Salle du Conservatoire, 5 dicembre 1830. A Parigi tra il 27 e il 29 luglio, scoppia la Rivoluzione di Luglio che rovescerà la monarchia assolutista di Carlo X e porterà sul trono Luigi Filippo I d’Orléans.
Composta tra il 1829 e il 1830, la Sinfonia fantastica op. 14 di Hector Berlioz costituisce una pietra miliare nella storia della sinfonia, in quanto inaugura il nuovo genere della sinfonia a programma che, nell’Ottocento, sarebbe stato foriero di grandi e importanti sviluppi soprattutto nei poemi sinfonici di Richard Strauss dotati di un programma letterario. Fonte d’ispirazione primaria della Fantastica è un evento personale, l’incontro, avvenuto l’11 settembre 1827, con l’attrice irlandese Harriet Smithson, della quale il compositore s’innamorò follemente e che avrebbe sposato, nonostante l’opposizione della famiglia della donna e momenti non sempre felici, nel 1833. Questo incontro con la Smithson, che interpretava in quei giorni all’Odéon di Parigi la parte di Ofelia nell’Amleto, è descritto in modo abbastanza eloquente dal compositore nei suoi Mémoires:
“Vidi nel ruolo di Ofelia, Harriet Smithson, che, cinque anni dopo, è divenuta mia moglie. L’effetto del suo prodigioso talento, o piuttosto del suo genio drammatico, sulla mia immaginazione e sul mio cuore è paragonabile solo allo sconvolgimento che mi fece subire il poeta del quale ella era la degna interprete. Non posso aggiungere altro”.
Berlioz iniziò la composizione della Sinfonia nel 1829, quando la storia d’amore con la bella attrice sembrava sul punto di finire, cercando, in questo modo, di dare sfogo nella musica a quella tempesta di sentimenti causata dalla delusione. Nello stesso tempo una vera e propria folgorazione fu, per Berlioz, la scoperta di Beethoven, del quale ebbe modo di ascoltare nel marzo 1829 la prima esecuzione parigina diretta da Habeneck della Terza e della Quinta sinfonia. Così lo stesso Berlioz descrisse le emozioni suscitate da quella musica:
“Avevo da poco intravisto, come due apparizioni, Shakespeare e Weber; subito dopo, da un altro punto dell’orizzonte, vidi innalzarsi l’immenso Beethoven. La scossa che ne ricevetti fu paragonabile quasi a quella che mi aveva dato Shakespeare. Mi aprì un nuovo mondo nella musica, come il poeta mi aveva svelato un nuovo universo nella poesia”.
Beethoven aveva aperto a Berlioz il mondo della sinfonia e della musica strumentale, diventando, in un certo qual modo, la fonte d’ispirazione per questa sinfonia la cui stesura non fu priva di difficoltà, come lo stesso compositore ebbe modo di ricordare:
“Scrissi la Sinfonia fantastica, incontrando parecchie difficoltà in alcune parti, ma con un’incredibile facilità in altre. Così l’adagio (Scena campestre), che impressiona sempre così profondamente il pubblico e me stesso, mi affaticò più di tre settimane; lo abbandonai e lo ripresi due o tre volte. La Marcia al supplizio, al contrario, fu scritta in una notte”.
Nella composizione di questo lavoro il cui sottotitolo è Episode de la vie d’un artiste, Berlioz seguì un programma extramusicale fatto circolare nella sala durante la prima esecuzione, avvenuta a Parigi il 5 dicembre 1830 sotto la direzione di Habeneck dopo soltanto due prove, troppo poche per una perfetta esecuzione, come egli stesso ebbe modo di ricordare nei suoi Mémoires:
“L’esecuzione non fu priva di difetti: con una sola prova non si poteva certo ottenere una perfetta resa di opere così complesse. Nell’insieme tuttavia fu sufficientemente buona perché di esse si intendessero almeno le linee essenziali. Tre brani della sinfonia, Il Ballo, La marcia al supplizio e Il Sabba, fecero una sensazione enorme. In particolare, La marcia al supplizio sconvolse la sala. La scena campestre non produsse alcun effetto. È ben vero ch’essa assomigliava ben poco a quel che è oggi. Presi immediatamente la risoluzione di riscriverla, e Ferdinand Hiller, che allora si trovava a Parigi, mi diede a riguardo preziosi consigli dei quali ho cercato di trarre profitto”.
Del programma scritto per questa sinfonia, più volte modificato da Berlioz, esistono due versioni, delle quali la prima risale al 1845, anno in cui la Sinfonia fantastica fu pubblicata a Parigi dall’editore Schlesinger, mentre la seconda è del 1855. In entrambi i programmi Berlioz affermava la necessità di distribuirli al pubblico perché indispensabili per la comprensione della sinfonia stessa come si legge nell’Avertissement del 1845:
“La distribuzione di questo programma all’uditorio, nei concerti dove figura questa sinfonia, è indispensabile per la totale comprensione del piano drammatico dell’opera”.
Questa necessità è ribadita nel programma del 1855, dove, però, il compositore collegò la Fantastica al suo monodrame-lyrique, Lélio, da lui composto nel 1831 durante un suo soggiorno in Italia:
“Il programma seguente deve essere distribuito all’uditorio ogni volta che la Sinfonia fantastica è eseguita drammaticamente e seguita, in conseguenza, dal monodramma di Lélio che termina e completa l’episodio della vita di un artista”.
In questo programma extramusicale, in cui si narra di un giovane musicista il quale, in preda alla disperazione per una delusione amorosa, cerca l’oblio nella droga che, essendo presa in una dose tale da non ucciderlo, genera nella sua mente una serie di allucinazioni da lui trasformate in musica, è trasfigurata una vicenda autobiografia, la passione per la Smithson, alla quale si sovrappone il ricordo di un essere ideale sognato dalla sua immaginazione e conosciuto da Berlioz, quando aveva solo dodici anni. Questo essere ideale è identificato in una fanciulla ventenne di nome Estelle, alla quale egli aveva dedicato una romanza su versi tratti dalla pastorale Estelle et Nemorin di Florian. Questa romanza, caratterizzata da una dolce e tenera melodia, è posta all’inizio della Sympnhonie fantasique.
Nella descrizione del protagonista i due programmi differiscono notevolmente, in quanto, nel primo, manca qualunque riferimento all’uso della droga e il giovane musicista è presentato, nella parte iniziale del programma del 1845, come affetto da quella malattia romantica, chiamata, con un’espressione tratta da Le génie du Christianisme di François-René de Chateaubriand, vague des passions (ondata di passioni):
“L’autore suppone che un giovane musicista, affetto da questa malattia morale che uno scrittore celebre chiama vague des passions, vede per la prima volta una donna che riunisce tutte le grazie dell’essere ideale che sognava la sua immaginazione, e ne diviene disperatamente preso. Per una singolare bizzarria, l’immagine cara si presenta sempre allo spirito dell’artista come legata ad un’idea musicale, nella quale trova un certo carattere appassionato, ma nobile e timido come quello che egli attribuisce al suo oggetto. Questo riflesso melodico con il suo modello lo perseguita senza sosta come una doppia idea fissa. Questa è la ragione dell’apparizione costante, in tutti i pezzi della sinfonia, della melodia che incomincia il primo allegro. Il passaggio da questo stato di sogno malinconico, interrotto da alcuni eccessi di gioia senza motivo, a quello di una passione delirante, con i suoi scatti di furore, di gelosia, i suoi contraccambi di tenerezza, le sue lacrime, le sue consolazioni religiose, è l’argomento del primo pezzo”.
Molto più sintetico è invece il programma del 1855, nel quale, oltre ad apparire attenuata la responsabilità del giovane a causa dell’assunzione della droga, manca l’elogio sperticato della donna amata:
“Un giovane musicista d’una sensibilità malata e d’una immaginazione ardente si avvelena con dell’oppio in un attacco di disperazione amorosa. La dose di droga, troppo debole per dargli la morte, lo sprofonda in un sonno pesante, accompagnato dalle più strane visioni, durante il quale le sue sensazioni, i suoi sentimenti, i suoi ricordi si traducono nel suo cervello malato in pensieri e in immagini musicali. La stessa donna amata è diventata per lui una melodia e come un’idea fissa che ritrova e sente dappertutto”.
L’idée fixe corrisponde al pensiero della donna follemente amata dal musicista. Il tema centrale della Sinfonia è, quindi, l’amore che ossessiona il giovane nelle varie circostanze e costituisce, trasformandosi in melodia, il primo tema del primo movimento della sinfonia. La caratterizzazione ossessiva, quasi folle, di questo tema, che lega tutti i 5 tempi, contraddistinti da un titolo che illustra la situazione rappresentata, è resa da Berlioz attraverso la ripetizione dello stesso disegno musicale che diventa il protagonista indiscusso. Il primo movimento, Rêveries, passions (Sogni-passioni), che narra l’incontro del giovane con la donna amata e la nascita dell’amore, si apre con un’introduzione lenta, Largo, estremamente espressiva nella delicata e sognante melodia dei violini. Prima della conclusione di questo Largo introduttivo, che prepara l’esplosione della passione, ritorna il tema della romanza di Estelle, mentre il corno contribuisce a rendere l’atmosfera ancor più rarefatta e irreale. La passione è rappresentata da un classico colpo di fulmine, reso da un’improvvisa serie di accordi orchestrali che aprono l’Allegro agitato e appassionato assai introducendo il primo tema, l’idée fixe appunto, esposto dai violini primi e dal flauto e tratto dalla sua cantata Herminie, presentata nel 1828 al concorso per il Prix de Rome. Il secondo tema del movimento, in forma-sonata, che appare dopo alcuni decisi interventi dell’orchestra che spezzano l’esposizione tematica, è molto simile al primo in una concezione classica, in base alla quale la varietà non è data dalla struttura intervallare del tema stesso, ma dalla componente armonica, ritmica e timbrica. Dal punto di vista armonico Berlioz costruisce un contrasto tra il do maggiore e il do minore arricchito da cromatismi ascendenti e discendenti, mentre il sincopato dei fiati rompe la fluidità del 4/4. Nel secondo movimento, Un bal. Valse (Un ballo. Valse), il giovane, in una sala da ballo, cerca disperatamente la donna amata, diventata per lui idea fissa, che appare tra le eleganti movenze di un valzer. Anche in questo caso Berlioz nel programma del 1855, qui citato perché costituisce la versione definitiva, è molto più sintetico, limitandosi a dire: egli ritrova l’amata in mezzo ad una festa brillante. In questo movimento, che si segnala per una raffinata ricerca timbrica ottenuta grazie all’introduzione di due arpe e alla contemporanea eliminazione delle trombe e dei fagotti, l’idée fixe è affidata al clarinetto che la espone nella tonalità di dominante prima che la musica si lasci trascinare nel vortice della danza. Nel terzo movimento, Scène aux champs (Scena nei campi), il protagonista, che sente in lontananza il suono di due zampogne di pastori, reso con un dialogo desolato tra oboe e corno inglese, sembra trovare la pace nella campagna, come recita il programma del 1855:
“questo duetto pastorale, il luogo della scena, lo stormire leggero degli alberi dolcemente agitati dal vento, alcuni motivi di speranza che ha concepito da poco, tutto concorre a restituire al suo cuore una calma insolita, a dare alle sue idee un colore più ridente; ma essa appare di nuovo, il suo cuore si stringe, dolorosi presentimenti lo agitano: se lei lo inganna… Uno dei pastori riprende la sua ingenua melodia, l’altro non risponde più. Il sole tramomta… un tuono lontano… solitudine… silenzio”.
Anche in questo movimento l’idée fixe tormenta il giovane al punto tale da farlo ricadere nell’angoscia che aumenta fino a raggiungere il suo punto culminante in un tremulo urlato dall’intera orchestra. Da qui si dipana un motivo mesto del clarinetto che porta con sé tutti i dubbi e le ansie del giovane ossessionato ancora dall’idée fixe, ripresa dal flauto, dall’oboe e dal clarinetto, fino a quando un nuovo tremulo dell’orchestra (il tuono del programma) non introduce la coda conclusiva.
Nel quarto movimento, Marche au supplice (Marcia al supplizio) il giovane, dopo essersi drogato, cade in preda ad allucinazioni che gli fanno vedere il momento in cui uccide la donna e, condannato a morte, viene accompagnato al patibolo per essere giustiziato. Questa macabra marcia, aperta da un minaccioso rullo dei timpani, si divide in due parti, delle quali la prima, cupa e selvaggia, secondo quando affermato da Berlioz stesso nel programma, è caratterizzata da un tema discendente esposto dai violoncelli e contrabbassi, mentre la seconda, brillante e solenne, è affidata ai timbri chiari degli ottoni e dei legni. Prima della conclusione ritorna l’idée fixe nella calda e appassionata voce del clarinetto. Nel quinto movimento, Songe d’une nuit du Sabbat (Sogno di una notte del Sabba), il nostro giovane musicista è in mezzo a un Sabba e vede una schiera di ombre che organizzano appunto un Sabba infernale durante il suo funerale. Dopo un’introduzione misteriosa, Larghetto, un clarinetto da lontano espone il tema dell’idée fixe, a cui risponde l’intera orchestra con un’esplosione. Esposta da oboi, clarinetti e ottavino, l’idée fixe si alterna all’annuncio del tema de Sabba fino a quando i rintocchi di due campane introducono il tema del Dies irae che scatena la cosiddetta Ronda del sabba, un ampio episodio in stile fugato. Un improvviso tremolo in pianissimo degli archi lascia il posto prima al tema del Dies irae e, poi, al travolgente finale.
Riccardo Viagrande
Durata: 50'