Rota/Mahler
Diego Matheuz, direttore
Massimo La Rosa, trombone
-
Programma
-
Nino Rota
Milano 1911 - Roma 1979Concerto per trombone e orchestra
Allegro giusto
Lento, ben ritmato
Allegro moderato
Noto soprattutto per le sue colonne sonore di film, Nino Rota si dedicò a tutti i generi musicali componendo circa 150 lavori con lo stesso impegno e con quelle straordinarie doti musicali che, alla precocissima età di 8 anni dopo un solo anno di studio di solfeggio, gli avevano consentito di riempire quaderni di musica componendo sinfonie e oratori. Alla manifestazione precoce del suo genio musicale contribuì certo il fatto che egli nacque in una famiglia di musicisti. La madre, eccellente pianista, era figlia di Giovanni Rinaldi, compositore ormai quasi del tutto sconosciuto, che, insieme ad altri musicisti, alla fine dell’Ottocento aveva cercato di contrastare l’egemonia del melodramma in Italia rivalutando la musica strumentale. Pur essendo stato allievo di Pizzetti e di Casella e nonostante la sua ammirazione per Stravinskij, che conobbe personalmente, Nino Rota fu una voce originale nel panorama musicale del Novecento. Egli, convinto del fatto che la musica debba essere una forma di espressione immediata e ingenua, si tenne, infatti, lontano dalle tecniche musicali novecentesche senza mai polemizzare con chi le propugnava e rimase fedele a una concezione musicale ancora ottocentesca basata sul primato della melodia e su una struttura tonale semplice e aliena da complicati giri armonici. Questo suo ritorno alla musica dell’Ottocento costituisce l’aspetto artistico di un animo semplice e spontaneo, di cui è una testimonianza un aneddoto raccontato dal regista Sergej Bondarchuk il quale, ricordando la sua collaborazione con Rota per il film Waterloo, affermò:
“Quando ho visto la partitura della colonna sonora, mi sono subito voluto informare, come sempre, delle necessità tecniche del Maestro. Allora ho chiesto a Rota: «Quanti tromboni le servono?». E lui: «Tre sono più che sufficienti». «Appena tre?», gli ho ribattuto: «certi compositori me ne chiedono cento, centocinquanta...». E lui, di rimando: «Tre o cento... fa lo stesso»".
Tra i suoi 150 lavori ricoprono una certa importanza quelli scritti per strumenti che, in generale, non assurgono, come il violino, il violoncello o il flauto, ad essere solisti. Ne è un esempio questo Concerto per trombone e orchestra che, composto nel 1966 ed eseguito per la prima volta il 6 marzo 1969 presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano con Bruno Ferrari, al quale è dedicato, e l’orchestra dei “Pomeriggi Musicali” diretta da Franco Caracciolo, costituisce oggi uno dei capisaldi del repertorio per trombone e orchestra. Nel primo movimento, Allegro giusto, il trombone si presenta con un tema strutturato sulle note dell’accordo di do minore che emerge sull’accompagnamento degli archi in pizzicato e lo percorre tutto. Nel secondo movimento, Lento, ben ritmato, di carattere misterioso, prima, e più marcato in senso lirico, dopo, è possibile ravvisare due motivi che saranno riutilizzati con opportune modifiche nella colonna sonora del film Il padrino – Parte II del 1974, mentre molto più complesso è il virtuosistico finale, Allegro moderato, un brillante rondò.
Durata: 15'
Gustav Mahler
Kaliště, 1860 - Vienna, 1911Sinfonia n. 5 in do diesis minore
Trauermarsch, In gemessenem Schritt, Streng, Wie ein Kondukt (Marcia funebre, Con andatura misurata, Severamente, Come un corteo funebre)
Stürmisch bewegt, Mit grösster Vehemenz (Tempestosamente mosso, Con la massima veemenza)
Scherzo, Krting, nicht zu schenell (Vigoroso, non troppo presto)
Adagietto, Sehr langsam (Molto lento)
Rondò-Finale, Allegro, Allegro giocoso. Frisch (Brioso)
La Sinfonia n. 5 in do diesis minore costituisce un importante spartiacque all’interno della grande produzione sinfonica di Mahler, in quanto apre un trittico di lavori di musica pura nei quali è del tutto assente un programma letterario, anche se non manca un’unità d’ispirazione di fondo che le accomuna. La Quinta condivide con la Sesta e Settima, come ha notato Deryck Cooke nel suo saggio La musica di Mahler (Milano, Mondadori, 1983, p. 132) una forte tendenza al reale che è la diretta conseguenza della presa di coscienza da parte del compositore che il mondo ideale, a cui aveva dato forma con la precedente produzione liederistica e sinfonica, era andato incontro a uno scacco. In questa produzione matura non c’è più posto per questo mondo ideale, nel quale potevano avere un senso la lotta per la volontà di opporsi al destino, evidente nella Prima sinfonia, la fede cristiana nella Resurrezione, espressa nella Seconda, il panteismo dionisiaco di ascendenza nietzschiana della Terza e, infine, il mito dell’innocenza indistruttibile della Quarta. In questo trittico, chiamato anche Instrumental-Symphonien, sembra affermarsi, attraverso uno studio sui timbri dei vari strumenti che assumono un valore simbolico, un sentimento tragico, che, se nella Quinta si contrappone a un altro gioioso, nella Sesta, che, in un primo momento, fu intitolata da Mahler stesso La tragica, e nella Settima, alla quale fu applicato il titolo di Canto della notte, assume contorni sempre più drammatici pur lasciando aperto, nel solare e luminoso do maggiore del finale uno spiraglio di luce.
Composta tra 1901 e il 1902 e pur essendo stata eseguita per la prima volta a Colonia sotto la direzione dell’autore il 18 ottobre 1904, la Sinfonia n. 5 trovò la sua forma definitiva nel 1911, anno della morte di Mahler. La concezione della Sinfonia risale a un periodo molto importante per la vita del compositore che se, da una parte, aveva trovato l’amore nella persona di Alma Schindler, donna di straordinaria bellezza più giovane di vent’anni e musicista di un certo talento (era, infatti, allieva di composizione di Zemlinsky), che, sposò solo dopo quattro mesi di fidanzamento, dall’altra nel mese di febbraio del 1901 era stato colpito da un’emorragia piuttosto grave che, a giudizio del medico, avrebbe potuto stroncare la sua esistenza nel breve volgere di un’ora. Questi elementi biografici influirono certamente sulla composizione di questa sinfonia che a Cooke apparve schizofrenica per la presenza in essa del contrasto fra un sentimento tragico e uno gioioso, che esprimono, da una parte, il poco felice stato di salute e, dall’altra, il lieto momento del matrimonio che, tuttavia, si sarebbe rivelato per il compositore una fonte di tormento sia per la perdita della primogenita Maria all’età di cinque anni, sia per l’atteggiamento della moglie che, ritenendo di aver sprecato il suo talento musicale, non comprese l’animo sensibile del marito.
La sinfonia è composta da cinque movimenti divisibili in tre parti dei quali la prima è costituita dai primi due movimenti, la seconda dallo scherzo intermedio e la terza, infine, dagli ultimi due. Un profondo sentimento tragico informa i primi due movimenti dei quali il primo, Trauermarsch (Marcia funebre), è aperto da una fanfara di trombe che espongono un tema in minore che anticipa perfettamente quello principale del movimento costituito da un canto funebre intonato dagli archi. Toni non meno tragici ha il successivo Trio in si bemolle minore con la tromba che intona un tema dolorosissimo. Il dolore è, infatti, il protagonista di questo trio e, alla fine, finisce per sopraffare anche il tema in maggiore che i violini riescono appena ad accennare. Mahler sembra ribadire questa situazione di dolore nella parte finale del movimento, quando, dopo la ripresa della marcia, il Trio ritorna in una forma ancor più desolata che trova il suo punto culminante nel pianissimo conclusivo. Lo stesso sentimento tragico caratterizza il secondo movimento che si ricollega al precedente anche per la presenza di alcuni elementi tematici già utilizzati da Mahler nel primo. Il carattere tumultuoso della parte iniziale sembra contraddetto dall’andamento tragico e al tempo stesso nobile della marcia funebre, ma costituisce un aspetto che potremmo definire complementare del dolore, qui visto nella sua forza isterica e quasi demoniaca. Sembra che nella parte centrale il compositore possa finalmente trionfare sul dolore, ma questo grido di trionfo in re maggiore, che si trasforma in un nobile Corale, costituisce l’illusione di un momento e il tema principale con il suo tragico sentimento di morte ritorna confermando un’atmosfera tragica. Il terzo movimento, lo Scherzo, in un solare re maggiore contraddice con uno scarto nettissimo il carattere funereo dei primi due movimenti della sinfonia e prepara la terza e ultima parte dell’opera, costituita dagli ultimi due movimenti. Inizialmente lo Scherzo si configura come un vero e proprio Ländler che conferisce una certa serenità al brano, anche se nel Trio, che si snoda, per quanto riguarda l’andamento, in una forma di valzer, affiorano dei sentimenti di nostalgia. Questi momenti non inclinano il clima di serenità che pervade il movimento e che nella parte conclusiva si trasforma in un vero e proprio giubilo. Il quarto movimento, con cui si apre la terza ed ultima parte della sinfonia, è costituito dal celeberrimo Adagietto, scritto per arpa e archi, nel quale traspare tutta la vena lirica di Mahler che, finalmente, sembra trovare un momento di pace. Nella melodia è ripresa da Mahler la parte iniziale del Lied Ich bin der Welt abhanden gekommen (Mi sono staccato dal mondo), tratto dai Rüchert-Lieder, che ritorna anche nel Finale. Al clima disteso e sereno contribuisce anche la scelta della tonalità di fa maggiore che sembra rappresentare un’oasi di pace. La pace del quarto movimento prelude all’esplosione di gioia del Finale con i legni e il corno che introducono dei motivi popolari. Proprio ai corni è affidata l’esposizione del tema principale di questo rondò-sonata, il cui punto culminante è costituito dalla ripresa del grande Corale introdotto nella parte finale del secondo movimento. Sembra che la gioia, appena sfiorata nel secondo movimento, possa essere finalmente raggiunta dal compositore in questo monumento sinfonico in cui dolore e felicità, momenti sempre presenti nella vita dell’uomo, trovano la loro sintesi in una gioia che, alla fine, sembra trionfare, in quanto maturata dalla coscienza del sentimento del dolore.
Riccardo Viagrande
Durata: 72'