66ma Settimana Internazionale di Musica Sacra di Monreale
Concerto conclusivo
Riflessi del sacro nel XX secolo
Emanuele Andrizzi direttore
Domenico Nordio violino
Orchestra Sinfonica Siciliana
-
Luogo
-
Duomo di Monreale
-
Giorno
ora
Durata
Prezzo
-
Giorno
Sabato 19 Ottobre 2024
Ore
21,00
Durata
70min.
Prezzi
- €
Ingresso libero fino ad esaurimento di posti
-
Programma
-
Franco Mannino
Palermo 1924 - Roma 2005Adagio per archi op. 572 bis - Nel 100° anniversario della nascita del compositore
“Franco Mannino ha fatto moltissime cose. Stupisce e addolora che non ne faccia più, perché quando è morto era ancora inesauribilmente vivo. La sua assenza lascia increduli, e per davvero, come increduli si restava a guardarlo muoversi in questo mondo, un mondo che non ce l’ha fatta neanche in ottant’anni a vedere il suo cuore invecchiare. Il tempo non gli ha mai concesso gli inevitabili disincanti, le necessarie stanchezze, le doverose cautele dell’età adulta; i suoi entusiasmi erano d’infanzia, le sue rabbie di gioco, leggere. Il suo bisogno di “scaricare” energia doloroso, e mai soddisfatto. Perché niente gli bastava. Voleva fare ancora, essere ancora, provare ancora, scoprire ancora e, soprattutto, non si bastava. Sentendolo suonare il pianoforte, per esempio, veniva spontaneo pensare che se ne sarebbe potuto restare tranquillo, sarebbe il caso di dire felice, senza far altro, per il resto dei suoi giorni. Ma a lui, non bastava. Ha composto musica, l’ha diretta, ha scritto libri di ogni genere, ha fatto l’editore, ha scoperto talenti… Mannino è uno che è arrivato al traguardo quasi subito ed è tornato indietro, ha ricominciato la corsa, di giorno in giorno, di ora in ora, come se niente fosse stato, per non fermarsi nemmeno un minuto. Imparava facendo, senza ragionarci più di tanto, senza sovrastrutture, con assoluta, e per alcuni inaccettabile naturalezza. Troppo semplicemente per poter essere compreso. Il suo bisogno d’esser riconosciuto era perentorio e spontaneo come quello di un bambino; diretto, senza scaltrezze, senza sotterfugi. E, però, nel momento in cui il riconoscimento arrivava, se ne distaccava subito, quasi indifferente, quasi che non credesse di essere stato proprio lui a fare tutte quelle cose. Già disponendosi, ancora e ancora a rte aveva schemi: voleva divertirsi e divertire, stupirsi e stupire, voleva esserci giocando. Ad esso che gioca altrove, è forse arrivato il momento di guardare − con la doverosa attenzione – i giocattoli che ha lasciato qui da noi”.
Questo splendido ricordo di Ennio Morricone, che funge da prefazione alla ristampa del suo libro autobiografico Genii nel 2005 per la casa editrice Sideral fondata da Mannino, illustra perfettamente il carattere poliedrico dell’artista palermitano, la cui attività non può non destare meraviglia in chi si accosti alla sua figura. La definizione di artista è, infatti, quella più appropriata per un uomo che non fu soltanto un grandissimo protagonista della scena musicale del Novecento in qualità sia di compositore, con una produzione di oltre 500 lavori, che di raffinato interprete come direttore d’orchestra e pianista il cui straordinario talento era universalmente riconosciuto. Di questa stima una testimonianza è quanto scritto dal critico musicale Paolo Isotta in un articolo apparso sul «Corriere della Sera» il 31 gennaio 2015, nel quale si legge: “Negli anni che vanno dal 1965 a oggi ho ascoltato tutti i Mammasantissima della tastiera. Il più grande di tutti, in Bach, in Beethoven, in Chopin, in Liszt, è il sublime Claudio Arrau. Ma subito dopo viene Franco Mannino”.
Mannino fu attivo fino agli ultimi anni della sua vita, come è dimostrato da questo Adagio per archi op. 572 bis, che, composto nel 2000, è in realtà il secondo movimento del più vasto Concerto per archi. Pubblicato in un volume intitolato Scritti sul minore in memoria della magistrata italiana Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone, questo Adagio, che è stato eseguito il 21 aprile 2001 al Palazzo Steri di Palermo dall’orchestra da camera Gli Armonici sotto la direzione di Umberto Bruno, è una pagina altamente suggestiva basata, nella parte iniziale, su una semplice melodia di carattere cromatico, e per questo estremamente dolorosa, esposta, in modo frammentario, dai violini su degli accordi tenuti dagli archi gravi. Nella parte centrale del brano ad essere protagonisti sono, invece, i violoncelli e contrabassi con un tema cupo che si conclude su un mi bemolle minore, rischiarato da un arpeggio ascendente dei violini che introduce la terza parte. Il brano si conclude con un rarefatto accordo di mi maggiore.
Durata: 5'
Ottorino Respighi
Bologna, 1879 - Roma, 1936Concerto gregoriano per violino e orchestra P. 135
Andante tranquillo
Andante espressivo e sostenuto
Finale (Alleluja), Allegro energico
Se nella musica strumentale di Respighi è facile trovare frequenti ricorsi alle modalità gregoriane, secondo la moda del tempo, il gregoriano è presente esplicitamente in alcune sue partiture come i Tre preludi sopra melodie gregoriane per pianoforte, il Quartetto dorico, il Concerto in modo misolidio e il Concerto gregoriano.
Risale al 1921 la composizione del Concerto gregoriano per violino e orchestra, dedicato all’amico violinista Arrigo Serato che, però, non ne fu il primo interprete dal momento che alla prima esecuzione avvenuta all’Augusteo di Roma, il 5 febbraio 1922, sotto la direzione di Bernardino Molinari, il solista fu Mario Corti. Dal punto di vista formale il Concerto è diviso in tre movimenti, ma, essendo i primi due, Andante tranquillo e Andante espressivo, eseguiti senza soluzione di continuità, appare all’ascoltatore diviso in due blocchi, suddivisi in sezioni contrastanti. Il Concerto si apre con un’ampia introduzione orchestrale, caratterizzata inizialmente da una successione di accordi per sovrapposizioni di quinte affidati ai violini e alle viole che cedono il testimone all’oboe, seguito dal corno inglese e da altri strumenti i quali espongono il tema che, intonato anche dal violino solista, si presenta come una melopea in primo modo trasposto. Nella seconda sezione appare un secondo elemento tematico esposto dal solista in modo eolico. Tutto questo primo movimento è costruito sul contrasto tra sezioni aggressive e altre caratterizzate da un andamento elegiaco. Un’ampia cadenza, posta alla fine del primo movimento, introduce il secondo, Andante espressivo, il cui tema è costruito sui primi quattro emistichi della sequenza Victimae Paschali Laudes. Questo secondo movimento, più esteso del primo, si presenta in una forma più frazionata nella quale la libertà ritmica e fraseologica del gregoriano è resa da continui cambiamenti di tempo, mentre il tema è avvolto in atmosfere timbriche nuove e inconsuete. Un tema gioioso, esposto inizialmente e tratto dall’Alleluja pasquale in modo misolidio, sebbene modificato da Respighi nell’incipit e allargato nella seconda parte da una cadenza, caratterizza l’ultimo movimento, Allegro energico. Anche in questo movimento, in cui sembra venir meno il carattere religioso a causa di un andamento vivace, non mancano sezioni suggestive per l’impasto timbrico orchestrale.
Durata: 33'
Arthur Honegger
Le Havre 1892 - Parigi 1955Sinfonia n. 3 “Liturgica”
Dies irae: Allegro marcato
De profundis clamavi: Adagio
Dona nobis pacem: Andante. Adagio
Pur facendo parte del gruppo dei sei, Arthur Honegger non condivise pienamente il programma antisentimentale e oggettivo e nemmeno l’interesse di Poulenc e Auric per la musica da circo preferendo le grandi strutture architettoniche, la polifonia lineare e, per le sue opere teatrali, soggetti drammatici che trattò con una musica imponente. La più imponente tra le cinque sinfonie è, del resto, la Symphonie n. 3 (Liturgique) che, composta tra il 1945 e il 1946, mostra l’evidente influenza del grande sinfonismo austro-tedesco dell’Ottocento che per Honegger costituiva un modo per dare una risposta al suo bisogno di spiritualità indotto dalla tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale, come egli stesso ebbe modo di affermare in un commento inedito, ritrovato tra le sue carte, nel quale si legge:
“Ho voluto, in questo lavoro, simboleggiare la reazione dell’uomo moderno contro l’ondata di barbarie, stupidità, sofferenza, meccanizzazione, burocrazia che ci assediano da alcuni anni; ho descritto musicalmente il conflitto che indugia nel suo cuore tra l’abbandono alle forze cieche che lo rinchiudono e l’istinto di felicità, l’amore della pace, il sentimento del rifugio divino. La mia sinfonia è un dramma che si gioca, se volete, tra tre personaggi, reali o simbolici: l’infelicità, la felicità e l’uomo. Sono i temi eterni. Ho cercato di riproporli in modo nuovo”.
Della struttura di questa sinfonia, eseguita per la prima volta presso la Tonhalle di Zurigo, il 17 agosto 1946, lo stesso Honegger, sempre nel documento sopracitato, ci ha fornito una descrizione:
“Questa Terza sinfonia è come la maggior parte delle mie opere sinfoniche in forma di trittico. Essa è una diretta reazione alla moda della musica detta «oggettiva». Ciascuna delle tre parti vuole tentare di esprimere un’idea, un pensiero che io non voglio qualificare come filosofico – sarebbe pretenzioso – ma il sentimento personale dell’autore. Ho dunque fatto appello ai sottotitoli liturgici e intitolato la sinfonia liturgica, sperando così di farmi meglio comprendere”.
Il primo movimento, Dies irae, è una specie di toccata con sonorità balenanti e ritmi puntati, la cui comprensione, come ebbe modo di affermare Honegger, non pone alcun problema, “dal momento che tutti abbiamo vissuto quei giorni di guerra, di rivoluzione, di cui coloro i quali presiedono ai loro destini hanno gratificato i loro popoli”.
Intriso di lirismo è, invece, il secondo movimento, De profundis clamavi ad te, nel quale emerge uno splendido tema dei violoncelli e che, sempre come affermato da Honegger, descrive “tutto ciò che resta ancora di puro, di chiaro, di fiducioso nell’uomo che tende verso quella forza che sentiamo al di sopra di noi. Dio, forse, o ciò che ciascuno porta con fervore nella parte più segreta dell’anima”.
Nel terzo movimento, Dona nobis Pacem, nella cui prima parte (Andante) ritorna, attraverso ritmi marziali, l’atmosfera cupa del Dies irae che si dissolve in sonorità rarefatte nell’Adagio, Honegger ha ben rappresentato “la crescita ineluttabile della stupidità del mondo: il nazionalismo, il militarismo, la burocrazia, le amministrazioni, le dogane, le imposte, le guerre, tutto ciò che l’uomo ha inventato per perseguitare l’uomo, avvilirlo e trasformarlo in robot. La spaventosa stupidità che porta a forzare questo grido di disperazione: Dona nobis pacem. E ciò termina con una breve meditazione su ciò che la vita potrebbe essere: la calma, l’amore, la gioia… un canto d’uccello, la natura, la pace”.
Riccardo Viagrande
Durata: 30'