CONCERTO LIRICO-SINFONICO
Aldo Sisillo, direttore
Desirée Rancatore, soprano
Dario Di Vietri, tenore
Teatro Regina Margherita - Caltanissetta
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Luogo
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Teatro Regina Margherita - Caltanissetta
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Venerdì 25 Marzo 2022
Ore
21,00
Durata
70min.
Prezzi
5 - €
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Programma
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Giacomo Puccini
Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924da Manon Lescaut: Intermezzo - In quelle trine morbide – Donna non vidi mai
Richard Wagner
Lipsia 1813 - Ca' Vendramin Calergi 1883Der fliegende Holländer (L’Olandese volante ovvero Il Vascello fantasma), ouverture
Allegro con brio, Andante, Allegro con brio
Giacomo Puccini
Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924Da Turandot: Tu che di gel sei cinta - Nessun dorma
Richard Wagner
Lipsia 1813 - Ca' Vendramin Calergi 1883I maestri cantori di Norimberga (Die Meistersinger von Nürnberg), Vorspiel (Preludio)
Sehr mässig bewegt (Molto moderatamente mosso), Sehr gewichtig (Molto pesante)
Pietro Mascagni
Livorno 1863 - Roma 1945Da Cavalleria Rusticana: Preludio e Siciliana - Ave Maria (Intermezzo)
Giacomo Puccini
Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924Da Tosca: E lucevan le stelle
Giacomo Puccini
Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924Da Bohème: Sì, mi chiamano Mimì - Duetto I atto “O soave fanciulla”
Il libretto di Manon Lescaut di Puccini fu il risultato del lavoro di un’equipe di librettisti tra cui: Ruggero Leoncavallo che, suggerito da Ricordi, non soddisfece le aspettative del compositore; Marco Praga, figlio del poeta scapigliato Emilio, al quale si deve la struttura dell’opera, che, come richiesto da Puccini, non avrebbe dovuto essere un duplicato di quella di Massenet né ricalcare lo stile del grand-opéra, e, infine, Domenico Oliva, autore dei versi. Pronto agli inizi dell’estate del 1890, il libretto fu letto a Puccini e a Ricordi nella residenza estiva dell’editore a Cernobbio sul lago di Como, suscitando l'entusiasmo del compositore il quale, però, chiese delle modifiche ai due librettisti che troncarono la collaborazione. Dopo il tentativo di Ricordi con Giacosa, che rifiutò ritenendosi inadatto a scrivere libretti, la scelta cadde su Illica il cui lavoro non soddisfece il compositore. Alla fine Giacosa, su insistenza dell'editore, accettò l'incarico e, finalmente, il lavoro fu portato a termine. L’opera, completata nel mese di ottobre del 1893, dopo circa tre anni di lavoro, fu rappresentata per la prima volta il 1° febbraio 1893 al Teatro Regio di Torino sotto la direzione di Alessandro Pomè con Cesira Ferrani (Manon) e Giuseppe Cremonini (Des Grieux) raccogliendo un consenso unanime ed entusiastico sia presso il pubblico che presso la critica. L’Intermezzo, che apre l’atto terzo anticipando il triste destino dei due amanti e la morte di Manon, inizia con un’introduzione basata su due Leitmotiv già utilizzati nell’opera, rispettivamente quello del legame e quello del destino a cui segue un Andante calmo, caratterizzato da un tema di bruciante passione. Nella romanza del secondo atto, In quelle trine morbide, Manon che si trova nell’elegantissimo salotto di Geronte, del quale è diventata amante, è triste e al fratello, che l'ha appena ritrovata, manifesta il suo rimpianto per la vita misera ma felice con Des Grieux. Tratta dal primo atto è la romanza Donna non vidi mai, intonata da Des Grieux sulle note del tema di Cortese damigella.
La prima idea di Der Fliegende Holländer (L’Olandese volante), meglio conosciuto in Italia con il titolo Il vascello fantasma, nacque da un’esperienza personale di Richard Wagner: un viaggio avventuroso e tempestoso tra il Mar Baltico e il Mare del Nord intrapreso nel 1839 dal compositore per sfuggire ai suoi creditori e ad una situazione economica e professionale non certo favorevole, nonostante il suo incarico di direttore d’orchestra a Riga. Giunto a Parigi, Wagner maturò l’idea di comporre l’Olandese volante che fu rappresentato per la prima volta il 2 gennaio 1843 a Dresda. Nell’attacco dell’Ouverture, Wagner ci presenta il tema dell’Olandese in tutta la sua angoscia e disperazione con delle quinte vuote che ricordano la tanto amata Nona di Beethoven trascritta per pianoforte dal compositore in gioventù. Con appena due suoni Wagner, in questo attacco, ci dà la misura della disperazione dell’Olandese, acuita dalla tempesta in cui è costretto a navigare, resa dal drammatico tremolo dei violini che, eseguendo un accordo di re senza terza, conferiscono a questo passo un’atmosfera ancora più misteriosa e vaga; qui sembra di vedere e di sentire lo scrosciare della pioggia e delle onde del mare in una fusione quasi tra cielo e terra. Proprio nell’ouverture, mirabile sintesi del dramma, questo tema si alterna con quello della redenzione di Senta e con quello gioioso dei marinai in una continua ed incalzante spirale che, oltre ad indicare il moto perpetuo a cui il povero Olandese è costretto dalla maledizione, conduce alla gloriosa conclusione in cui la redenzione soffoca la maledizione e anche i marinai col il loro tema possono partecipare alla gioia.
Ultima opera di Puccini, Turandot fu lasciata incompiuta dal compositore a causa della morte che sopravvenne a Bruxelles il 29 novembre 1924. L’opera, che sarebbe stata completata da Franco Alfano, andò in scena per la prima volta alla Scala il 25 aprile 1926 con Rosa Raia (Turandot), Miguel Fleta (Calaf), Maria Zamboni (Liù), Carlo Walter (Timur) con la regia di Giovacchino Forzano e sotto la direzione di Toscanini che non eseguì il finale di Alfano. Eugenio Gara, presente a quella prima, descrisse così la serata:
“Il successo schietto, caldissimo al primo atto, fu meno convincente al secondo. Nel terzo all’ammirazione si frammischiarono elementi patetici, riflessi per così dire biografici. Soprattutto dopo la morte della schiava, quando, spentisi gli ultimi rintocchi («molto rallentando») dell’episodio corale - «Liù, bontà, Liù, dolcezza, dormi! Oblia! Liù, Poesia!» eccetera - Toscanini arrestò l’orchestra, si volse al pubblico e con voce velata, più rauca del solito disse: «Qui finisce l’opera, perché a questo punto il Maestro è morto». Quella prima sera non furono eseguiti il successivo duetto d’amore e il breve quadro del palazzo imperiale, elaborati da Franco Alfano per incarico degli editori”
Ad essere eseguito, insieme alla celebre romanza Nessun dorma che si conclude con l’intervallo di sesta (re-si) che risolve sul la sulla parola vincerò, sarà proprio l’addio alla vita di Liù, Tu che di gel sei cinta, interamente costruito su un tema modale trasposto su alcuni gradi della scala di mi bemolle minore.
Alla prima rappresentazione, nella versione originaria in due atti, il 17 febbraio 1904 alla Scala di Milano, Madama Butterfly andò incontro a un clamoroso fiasco, nonostante l'ottimo cast, che comprendeva Rosina Storchio (Cio-Cio-San), Giovanni Zenatello (Pinkerton) e Giuseppe De Luca (Sharpless) e con Cleofonte Campanini sul podio. Puccini, però, convinto dei valori musicali della sua opera, il giorno dopo di questa sfortunata prima, scrisse a Camillo Bondi, un suo amico milanese: «la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e più suggestiva che io abbia mai concepito! e avrò la rivincita, vedrai – se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni». Puccini ebbe effettivamente ragione e l’opera, in una versione in tre atti, con Salomea Krusceniski nella parte della protagonista al posto della Storchio, trionfò al Teatro Grande di Brescia il 28 maggio 1904 in una sala gremita di importanti personalità del mondo musicale milanese, tanto che la rappresentazione può essere ritenuta di pari livello rispetto ad una vera e propria prima alla Scala. Uno dei momenti più suggestivi dell’opera è sicuramente il poetico duetto Bimba dagli occhi pieni di malia, nel quale Pinkerton e Butterfly danno vita ad una delle pagine più appassionate della storia della musica in quanto il melos pucciniano qui raggiunge uno dei suoi momenti più alti su un’orchestrazione raffinatissima in cui l’intervento dei solisti in alcuni passi, come quello in ascolto Vogliatemi bene, esprime, nuovamente in una scrittura cameristica, l’intimità del sentimento amoroso.
I Maestri cantori erano, nella Norimberga del XVI secolo, artigiani-poeti che, per tradizione, effettuavano le loro gare di canto nella città e Wagner ebbe l’opportunità di conoscere la loro storia nel 1845 quando, per distrarsi dalle fatiche della composizione del Lohengrin, lesse, per puro svago, la Storia della poesia tedesca di Georg Gottfried Gervinus. Passarono, però, 17 anni prima che Wagner si accingesse a scrivere Die Meistersinger von Nürnberg, la cui composizione durò ben cinque anni dal 13 aprile 1862 al mese di ottobre del 1867. Rappresentata per la prima volta sotto la direzione di Hans von Bülow, alla Bayerische Staatsoper di Monaco, il 21 giugno 1868, alla presenza del re Luigi II di Baviera, contravvenendo al desiderio di Wagner il quale avrebbe voluto che fosse Norimberga ad ospitare la première, l'opera fu il suo più grande successo teatrale, nonostante qualche perplessità da parte della critica. Composta nella primavera del 1862, l'ouverture è una pagina di carattere festoso la cui struttura è ascrivibile alla forma-sonata con un ampio sviluppo nel quale vengono presentati i principali Leitmotiv dell'opera, tra cui spiccano quello della processione dei Maestri e il lirico tema dell'appassionato canto di Walther von Stolzing.
Cavalleria rusticana fu composta da Mascagni nel 1889 in appena due mesi su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci per partecipare al concorso indetto da Sonzogno, nel quale risultò vincitore. Mascagni, che in quel periodo si definiva un naufrago per il quale ogni molecola è una tavola, aveva visto in questo concorso una possibilità di sopravvivenza artistica e, trovati i due librettisti, si dedicò alla composizione dell’opera abbandonando l’amato Ratcliff, ma, completata partitura, esitava ad inviarla. Il concorso si rivelò, alla fine, quel trampolino di lancio nel quale egli aveva sperato e la sua Cavalleria conquistò il primo premio su 73 lavori esaminati da una commissione di cui facevano parte Sgambati, Marchetti e Platania, il cui giudizio favorevole costituisce una testimonianza dell'alto livello qualitativo dell'opera che, alla prima rappresentazione avvenuta al Costanzi di Roma il 17 maggio del 1890 con un cast d’eccezione costituito da Gemma Bellincioni (Santuzza), Federica Casali (Lucia), Annetta Gulì (Lola), Roberto Stagno (Turiddu), Gaudenzio Salassa (Alfio) sotto la direzione di Leopoldo Mugnone, fu un vero trionfo. L’opera si apre con un preludio dalla struttura formale piuttosto ardita con la celeberrima Siciliana, incastonata al suo interno e cantata a sipario chiuso da Turiddu, che il compositore decise di non inviare insieme con il plico dell’opera nel timore che fosse giudicata dalla commissione troppo azzardata. La Siciliana taglia in due il preludio proprio nel momento di massima tensione, quando l’orchestra a pieno organico riprende uno dei passi più drammatici del duetto tra Turiddu e Santuzza. Il preludio, che comincia con un pianissimo su un accordo di settima di seconda specie costruendosi a poco a poco, dà vita alla ripresa del tema che si accompagna all’inizio delle funzioni religiose, rappresentando immediatamente l’atmosfera dell’opera. Il drammatico duetto tra Santuzza e Turiddu, vero centro dell’opera, informa questo preludio, nel quale emerge la contrapposizione tra il carattere religioso della festa pasquale, rappresentato all’inizio, e il dramma della gelosia che prende forma nel contrastato rapporto tra i due protagonisti. Il celeberrimo Intermezzo, che separa le due parti dell’atto unico, è una brevissima, ma intensa pagina sinfonica nella quale Mascagni rielaborò la musica di una precedente Ave Maria. La prima parte dell’Intermezzo, di carattere preludiante, dal punto di vista tematico, deriva dal Regina Coeli dell’opera ed è caratterizzata dalle sonorità celestiali dei violini che si muovono in un registro acuto, mentre la seconda presenta una melodia di grande intensità, intonata sempre dai violini e composta per la suddetta Ave Maria. L’organo, che accompagna questa melodia, dipinge, come in un grande affresco, l’ambientazione del dramma che si svolge nel santo giorno della domenica di Pasqua.
Piuttosto complessa fu la gestazione del celebre addio alla vita del pittore Cavaradossi nell’opera Tosca. Nel libretto di Illica questo passo, che aveva suscitato i consensi di Verdi, presentava un carattere riflessivo e quasi filosofico poco adatto alla concezione della vita e della musica di Puccini che avrebbe preferito un addio in cui si esprimessero l’angoscia e la disperazione del suo personaggio per la definitiva separazione dalla donna amata. La divergenza fu appianata quando il compositore, dopo aver fatto ascoltare ai librettisti la musica già composta, sottopose loro alcuni versi-guida che Giacosa trasformò immediatamente nell’attuale E lucevan le stelle, dove mantenne soltanto il verso Muoio disperato. Il successo di questa romanza indusse il compositore a dichiarare che gli ammiratori avrebbero dovuto essergli grati per tre motivi: per aver scritto la musica; per averne fatto scrivere le parole e, infine, per non averla cestinata cedendo al parere degli esperti tra cui anche Ricordi.
Completata anche nell’orchestrazione il 10 dicembre 1895, come si apprende da quanto scritto sull’autografo della partitura, Bohème fu rappresentata il 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino sotto la direzione di Arturo Toscanini con Evan Gorga (Rodolfo), Cesira Ferrani (Mimì), Tieste Wilmant (Marcello), Camilla Pasini (Musetta), Antonio Pini-Corsi (Schaunard) ottenendo un buon successo di pubblico, sebbene non paragonabile a quello di Manon Lescaut con la quale fu posta a confronto dalla critica non sempre tenera. La romanza Mi chiamano Mimì, nella quale la protagonista si presenta nel primo atto a Rodolfo, è una pagina molto articolata, la cui struttura è riassumibile nello schema A-B-A-C-D-B. In essa al personaggio timido ed esitante che viene rappresentato con il tema iniziale si contrappone una donna la cui vita si rianima come la melodia che la accompagna nel momento in cui afferma Ma quando vien lo sgelo. Nel duetto O soave fanciulla, che chiude il primo atto, Rodolfo, rimasto finalmente indisturbato con Mimì, ne approfitta per dichiararle il suo amore; è una pagina pullulante di passione romantica grazie al Leitmotiv (Talor nel mio forziere) che, dopo aver accompagnato l’uomo, emerge con forza nella parte vocale di entrambi i personaggi, ormai uniti in una comunione di sentimenti, in corrispondenza del verso Fremon già nell’anima. I due decidono di aggregarsi agli altri cantando la parola amore mentre l’orchestra quasi si ritira per lasciare spazio all’intimità dei sentimenti.
Riccardo Viagrande