Laudamo & Beethoven
Inaugurazione stagione Filarmonica Laudamo Messina
Claude Villaret, direttore
Bertrand Chamayou, pianoforte
-
Programma
-
Antonio Laudamo
Messina 1813 - Messina 1884La Ricciarda, sinfonia
Adagio, Allegro
“Direttore per moltissimi anni nel teatro La Munizione, e poi nel Vittorio Emanuele, il Laudamo fu compositore fecondissimo, ispirato, spontaneo, ma scarso di studi, e quindi, poco robusto nelle concezioni e nello strumentale. Scrisse nove e più opere teatrali, un Ballo-pantomima e vari Dialoghi, Cantate e Inni, ma ottenuto il posto al Duomo si dedicò alla musica sacra, nella quale riuscì veramente sommo, scrivendone assai numerosa e bellissima. Però, come la grande maggioranza degli artisti di valore, Laudamo visse ristretto di mezzi, fu combattuto in tutti i sensi da invidiosi suoi cittadini, ed ebbe amareggiata l’esistenza in mille modi. Cessato di vivere, le sue ceneri sarebbero andate disperse, ma l’Amministrazione comunale, retta allora dal Commendatore Martino, e su mia proposta, destinò per gli avanzi del nostro Artista una cella nelle Catacombe del Gran Camposanto, accanto le ceneri di tanti insigni messinesi”. (Gaetano La Corte Cailler, Musica e musicisti a Messina, a cura di Alba Crea e Giovanni Molonia, Quaderni dell’Accademia, I, Messina, 1982, p. 109)
In questo commosso, quanto affettuoso ricordo di Gaetano La Corte Cailler, pianista e compositore dilettante, che, sopravvissuto al terremoto di Messina, si è dedicato allo studio e alla raccolta delle memorie della città dello stretto, emerge il rammarico per l’oblio da cui è avvolta la figura di Antonio Laudamo. Non fu migliore la sorte toccata alla produzione del compositore messinese, della quale quella teatrale fu per la maggior parte dispersa eccezion fatta per alcuni brani, dati alle stampe, della Clarice Visconti, per l’ultima sua opera, Caterina Howard (1859), il cui autografo è stato conservato dal professore Leopoldo Nicotra, e per la Sinfonia della Ricciarda.
Rappresentata per la prima volta al Teatro La Munizione di Messina il 6 novembre 1833 sotto la direzione dell’autore, La Ricciarda, il cui libretto, di autore ignoto, è tratto dalla tragedia di Ugo Foscolo, ebbe un notevole successo testimoniato da Domenico Ventimiglia in una sua lettera pubblicata dal «Passatempo per le dame»:
“In tutta la musica regna lindura, grazia ed armonia: gli accompagnamenti sono sempre sommessi: motivi la maggior parte nuovi e dei quali appena uditili terrai sempre memoria: bell’intreccio di dissonanze: un profondo sentimento regna poi in quasi tutti i pezzi. Bella la sinfonia che dà comincia [sic] allo spartito; bellissima la Marcia che lo segue; piacque molto l’Aria di Averardo, sebbene intensa; il Duetto fra Ricciarda e Guelfo, e la stretta del Finale: in somma, togli qualche prolissità, lo spartito è degno di elogi, e molti ne ebbe il Laudamo dai suoi concittadini per due sere consecutive, e specialmente nella prima sera, quando fra gli applausi di un pubblico rigoroso in fatto di teatri, venne sul proscenio a rendere i suoi ringraziamenti” (Ivi, p. 110)
Bella, dunque, è questa Sinfonia che, rimasta inedita e attestata da due copie conservate nella Biblioteca del Conservatorio “Corelli” di Messina, delle quali una mutila della prima sezione ed una seconda completa, trascritta dal bibliotecario Nicola Gullì, sarà riproposta dall’Orchestra Sinfonica Siciliana. La Sinfonia, articolata in modo tradizionale in due sezioni con un Adagio introduttivo a cui segue un Allegro in forma-sonata, si impone immediatamente per la sua musica non del tutto esente da influenze di Donizetti e di Bellini, compositore profondamente stimato da Laudamo, il quale, in occasione della morte del musicista catanese, aveva scritto un Inno funebre in suo onore. Essendo andata perduta la partitura della Ricciarda, non è possibile sapere se Laudamo abbia usato dei temi dell’opera, ma è plausibile che lo abbia fatto in quanto ciò sarebbe stato conforme alla prassi dell’epoca.
Durata: 7'
Ludwig van Beethoven
Bonn, 1770 - Vienna, 1827Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra op. 73 “Imperatore”
Allegro
Adagio un poco mosso
Rondò
Composto nel 1809, il Quinto concerto per pianoforte e orchestra costituisce il congedo di un Beethoven ancora giovane da questo genere che pur gli aveva riservato notevoli ed importanti successi e si configura, quindi, come una forma di testamento che, per il suo carattere monumentale e sinfonico, apre le porte agli importanti sviluppi che questa forma avrebbe avuto nell’Ottocento. Acclamato pianista, Beethoven si era, infatti, inserito nel mondo musicale prima come esecutore che come compositore ed era stato il primo interprete al pianoforte dei suoi concerti, dei quali l’ultimo era stato eseguito soltanto un anno prima, il 22 dicembre 1808, al Teatro An der Wien. L’acuirsi della sordità e, quindi, l’impossibilità di sedersi al pianoforte per eseguire come solista la propria musica indussero, probabilmente, Beethoven a non scrivere più concerti per strumento solista in genere e per pianoforte in particolare. Il 1809, inoltre, non era stato certo un anno facile per il compositore per il quale alla già grave menomazione fisica si unì una sfavorevole congiuntura sia personale che politica, determinatasi, quest’ultima, con l’occupazione di Vienna da parte delle truppe napoleoniche che l’11 maggio di quell’anno avevano aperto il fuoco sulla capitale asburgica costringendo Beethoven a lasciare la sua casa a Wallfischgasse e a rifugiarsi presso il fratello Karl.
Il Quinto concerto fu composto proprio in questi alquanto tribolati giorni, ma fu eseguito per la prima volta in pubblico soltanto due anni dopo, il 28 novembre 1811, al Gewandhaus di Lipsia dove il direttore Johann Philippe Christian Schulz e il giovane pianista Johann Friedrich diedero vita ad un’esecuzione che l’«Allgemeine Musikalische Zeitung» non esitò a definire un trionfo. Alla prima esecuzione viennese, avvenuta il 15 febbraio 1812 con il giovane pianista Carl Czerny, allievo di Beethoven, il Concerto non ebbe la stessa accoglienza e solo un ufficiale della Grande Armée francese fu sentito, alla fine, esclamare: Questo è l’imperatore dei concerti. Secondo questo aneddoto il titolo posticcio di “Imperatore” deve essere attribuito a questo anonimo ufficiale e non a Johann Baptist Cramer, pianista ed editore oltre che amico del compositore, come vorrebbe un’altra versione dei fatti. Alla fortuna di questo titolo hanno certo contribuito sia la scelta della tonalità, il mi bemolle maggiore, che lo accomuna all’Eroica, sia la monumentalità dell’opera che raggiunge proporzioni senza precedenti tali da rappresentare un’importante innovazione per la stessa forma del concerto solistico.
Il primo movimento, Allegro, infatti, contrariamente alla consuetudine, che prevede la presenza dell’esposizione orchestrale, mette subito in rilievo il solista, al quale, insieme all’orchestra, è affidato il compito di presentare la tonalità d’impianto, il mi bemolle maggiore, attraverso i suoi accordi più rappresentativi; proprio da questi accordi scaturiscono delle eleganti e virtuosistiche decorazioni del solista, generalmente riservate alla cadenza finale del primo movimento, soppressa in questo concerto per esplicita volontà del compositore che prescrisse: non si fa alcuna cadenza, ma si attacca subito il seguente. A questa introduzione segue l’esposizione orchestrale con il trionfale e solenne primo tema, affidato ai violini primi, al quale si contrappone dialetticamente il secondo che assume prima un carattere saltellante nel delicato staccato degli archi per diventare, poi, sensuale nella dolce versione legata affidata ai corni. La riesposizione del solista si configura già come una forma di sviluppo sia per le eleganti variazioni affidate al pianoforte, che ornano il primo tema, sia per la scelta di Beethoven di riprendere il secondo in una tonalità lontana. Nello sviluppo vero e proprio la dialettica tematica, tipica della forma-sonata si integra in una nuova forma di contrasto dialettico tra l’orchestra che rielabora i temi e il pianoforte al quale è lasciato il compito di variarli virtuosisticamente. Ulteriore testimonianza della perfetta integrazione fra solista ed orchestra è l’assenza della cadenza nella parte conclusiva del movimento quando il virtuosismo del pianoforte, mai fine a se stesso e sempre teso a rinnovare gli elementi tematici, dialoga con gli altri strumenti in una totale situazione di parità. Il secondo movimento, Adagio un poco mosso, presenta una delicata e solenne compostezza, dotata di una pensosa religiosità espressa magnificamente dall’iniziale tema di corale in si maggiore, affidato agli archi. Sorprendente e, per certi aspetti, straniante è l’ingresso del pianoforte a cui è affidato uno struggente tema in terzine che, soltanto nella parte conclusiva, cede il posto alla ripresa del tema principale. Legato al secondo movimento con due misure in cui il pianoforte anticipa il tema iniziale, il terzo movimento, Allegro, costituisce una geniale contaminazione tra la forma del Rondò e quella del tema e variazioni; il tema iniziale, caratterizzato da una grande libertà agogica che maschera il ritmo di 6/8 con una scansione in 3/4, viene variato virtuosisticamente nei successivi episodi che si alternano ai canonici refrain. Questa scrittura virtuosistica dà l’impressione di una continua improvvisazione, ben controllata da Beethoven, che, costruendo tutto in modo perfetto, non lascia all’improvvisazione del solista nessuno spazio se non quello ritagliatogli dal compositore.
Durata: 38'
Ludwig van Beethoven
Bonn, 1770 - Vienna, 1827Leonora, ouverture n.3 in do maggiore op. 72b
Adagio, Allegro, Presto
Terza delle quattro ouvertures composte da Beethoven per la sua opera Fidelio, il cui titolo originario era Leonora, ne costituisce una magistrale sintesi tanto che dalla critica è stata definita all’unanimità come uno dei suoi più grandi capolavori sinfonici. L’ouverture, composta per la ripresa in due sole serate, il 29 marzo e il 10 aprile 1806, del Fidelio, diretto, in quell’occasione, da J. von Seyfried, è una rielaborazione della Leonora n. 2 già eseguita al Teatro An der Wien per la prima rappresentazione assoluta dell’opera sotto la direzione dello stesso compositore. Beethoven, inizialmente, aveva composto un’altra ouverture, la Leonora n. 1, ma, ritenendola non conforme al principio gluckiano secondo cui l’ouverture doveva contenere i temi dell’opera e costituirne una sintesi, decise quasi subito di non servirsene.
Rispetto alla Leonora n. 1, che contiene soltanto qualche riferimento all’aria, In des Lebens Frülhingstagen (Nella primavera della vita), di Florestano languente nel carcere dove è rinchiuso, già la Leonora n. 2 presenta molti spunti tematici dell’opera, che nella terza ouverture vengono organizzati in modo conforme alla forma-sonata. Nemmeno quest’ouverture, tuttavia, soddisfece Beethoven che per la terza rappresentazione del Fidelio, andato in scena al Teatro di Porta Carinzia di Vienna il 23 maggio 1814, ne compose una nuova nella quale è assente ogni riferimento all’opera stessa. Beethoven, considerando la Leonora n. 3 anticipatrice del secondo atto corrispondente alla parte più drammatica dell’opera, là dove si delinea la figura di Florestano languente nel carcere fino alla definitiva liberazione, ritenne più opportuno che fosse lo stesso spettatore seguisse lo sviluppo della vicenda sulla scena. Il carattere drammatico dell’ouverture, inoltre, sembrò a Beethoven troppo stridente con l’inizio dell’opera che si inscrive a buon diritto nel genere del dramma borghese con gli equivoci sentimentali di Marcellina, Jaquino e Fidelio; ciò che appare strano è che la Leonora n. 3 sia stata sostituita con una nuova ouverture proprio nell’ultima versione del Fidelio al quale l’intervento del librettista Georg Friedrich Treitschke aveva attribuito un carattere più spiccatamente drammatico. Per la sua bellezza, tuttavia, l’ouverture ha trovato una collocazione stabile nel repertorio sinfonico ed è stata reintegrata nell’atto secondo nell’opera prima dell’ultimo quadro.
La nuova collocazione dell’ouverture, non voluta da Beethoven, ma abbastanza frequente nelle esecuzioni moderne del Fidelio, è certamente più vicina, dal punto di vista tematico, al contenuto dell’atto secondo.
Riccardo Viagrande
Durata: 15'