Debussy, Ravel, Martin & Mozart

Alexander Mayer, direttore

  • Luogo

  • Teatro Impero - Marsala

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Sabato
    02 Ottobre 2021

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    10 - 5 €

    Calendario

  • Programma

  • Claude Debussy
    Saint-Germain-en-Laye, 1862 - Parigi, 1918

    Prélude à l’après-midi d’un faune (Preludio al “Meriggio d’un fauno”)

    “Abitavo allora in un piccolo appartamento arredato della Rue de Londre… Mallarmé entrò con la sua aria profetica, ravvolto nel suo plaid scozzese. Dopo averlo ascoltato, rimase in silenzio per lungo tempo; poi disse: «Non mi sarei mai aspettato alcunché di simile. Questa musica ravviva l’emozione della mia poesia e le dà uno sfondo più caldo di colore». Ed ecco i versi che Mallarmé mi mandò dopo la prima esecuzione:

     

    Silvano di primo respiro,

    Se il tuo flauto è riuscito

    Tu ascolta tutta la luce

    Che vi soffierà Debussy”

     

    In questa lettera, indirizzata a G. Jean-Aubry il  25 marzo 1910, Debussy ricordava ancora con orgoglio l’apprezzamento di Mallarmé sul suo Prélude à l’après-midi d’un faune. Questo giudizio, certo più valido rispetto alla tiepida accoglienza tributata sia dal pubblico che dalla critica in occasione della prima esecuzione avvenuta il 22 dicembre 1894 alla Société Nationale di Parigi sotto la direzione di Gustave Doret, evidenzia proprio i pregi musicali di questo lavoro riconosciuti anche da insigni musicisti tra cui merita di essere ricordato, per la sua obbiettività, Ignace Philipp, maestro di pianoforte, che sulle colonne del Menestrel aveva scritto:

     

    “Il Prélude à l’Après-midi d’un faune del signor Debussy è finemente e delicatamente orchestrato; ma vi si cerca invano il cuore e la forza. È prezioso, sottile e indefinito allo stesso modo del lavoro del signor Mallarmé”.

     

    Il cuore è assente perché a Debussy interessava ricostruire l’atmosfera e la luce dell’egloga di Mallarmé, pubblicata nel 1876, attraverso i colori orchestrali, il cui prezioso utilizzo era stato esplicitamente riconosciuto anche dal critico del Menestrel. Il progetto originario, diretto ad un’utilizzazione più efficace del poemetto di Mallarmè, era più articolato in quanto prevedeva che la composizione comprendesse tre brani, un Prélude, un Interlude ed una paraphrase finale, come lo stesso compositore aveva annunciato nel programma  di un concerto che si sarebbe dovuto tenere a Bruxelles il 1° marzo 1894. Debussy abbandonò presto tale progetto e si limitò a completare solo il Preludio, utilizzando, in seguito, gli abbozzi per l’Interludio e la Parafrasi finale in altre composizioni.

    Dal punto di vista formale il Prélude presenta uno sviluppo abbastanza libero che solo in parte segue l’egloga di Mallarmè, pur richiamandone le immagini iniziali, e mira ad evocare l’atmosfera di vago languore perfettamente introdotta con rara efficacia dal celebre tema del flauto che si distingue per il caratteristico e sensuale cromatismo, prima, discendente, e, poi, ascendente. Soltanto nella parte iniziale la corrispondenza tra il testo poetico e la musica è, quindi, perfetta, in quanto il tema, affidato al flauto, rende in modo efficace il risveglio del fauno il cui sogno era stato allietato dalla vista di due belle ninfe. Il fauno si abbandona al piacere del suono del flauto e con la sua melodia evoca quelle immagini su un accompagnamento degli archi che sottolinea e sostiene l’atmosfera sensuale di tutto il poema. Da questo momento in poi la musica sembra esprimere soltanto le sensazioni provate dal fauno attraverso un gioco di luci e di colori dei quali il compositore si servì con impareggiabile maestria ricorrendo alla sua ricca tavolozza orchestrale.  

    Durata: 10'

    Maurice Ravel
    Ciboure, 1875 - Parigi, 1937

    Le tombeau de Couperin (La tomba di Couperin), suite per orchestra

    Prélude (Vif)

    Forlane (Allegretto)

    Menuet (Allegro moderato)

    Rigaudon (Assez vif)

     

    Alla stregua di altri lavori di Ravel, anche Le tombeau de Couperin è la versione orchestrale di un precedente lavoro pianistico, composto durante la Prima Guerra Mondiale, alla quale il compositore, preso da acceso patriottismo e da una forte volontà d’azione propugnata dalle ideologie delle moderne avanguardie culturali, aveva partecipato con entusiasmo arruolandosi da volontario senza mai cadere negli eccessi sciovinisti di Debussy che avrebbe voluto escludere dai programmi dei concerti tutti i musicisti tedeschi compreso Beethoven. Ravel iniziò a lavorare a Le tombeau de Couperin, ultimo suo lavoro pianistico, nel mese di luglio del 1914, mentre si trovava nell’incantevole località di Saint-Jean-de-Luz sull’Atlantico, portando a termine lo spartito nella versione pianistica soltanto tra il mese di giugno e il mese di novembre del 1917 al suo ritorno dal fronte. L’idea di comporre questa Suite si fece strada nella mente del compositore quasi per caso, come sembra dimostrato da una curiosa lettera indirizzata da Ravel alla sua amica Cipa Godebski, in cui ironizzava sulla politica di Pio X il quale, cercando di ricomporre la separazione fra Stato e Chiesa in Francia, aveva messo in atto una forma di richiamo all’ordine dei laici francesi, facendo loro riprovare i balli dell’epoca, ma lodando soprattutto le danze campagnole tra le quali la forlana. In questa ironica lettera è contenuto il primo riferimento sia al compositore francese François Couperin sia alle forlane di quest’ultimo, ben più raffinate di quelle popolari di origine trevigiana:

     

    “Lavoro con le finestre aperte su un tempo primaverile… Nel frattempo volteggio secondo le disposizioni del papa. Voi sapete che questo augusto personaggio, del quale la casa Redfern eseguirà prossimamente alcuni progetti di abito, ha appena lanciato una nuova danza, la forlane. Ne sto trascrivendo una di Couperin. Mi occuperò di farla danzare in Vaticano da Mistinguett e da Colette Willy travestite. Non vi stupite di questo ritorno alla religione. È l’atmosfera nativa”.

     

    Dopo questo riferimento a Couperin e alle forlane introdotto in un contesto ironico, il primo probabile accenno alla composizione di una Suite, della quale Ravel non ha ancora scelto il titolo, è contenuto in una lettera posteriore del 1° ottobre 1841 indirizzata a Roland-Manuel:

     

    “Faccio musica nonostante tutto: impossibile continuare Zaspiak-Bat, la documentazione è rimasta a Parigi. Delicato continuare alla Cloche engloutie – questa volta, credo che vada bene – e di terminare Wien, poema sinfonico. In attesa di riprendere Intérieur di Maeterlinck – per effetto dell’alleanza, comincio due raccolte per pianoforte: 1° una suite francese – non è quel che credete: non vi figurerà la Marsigliese, e vi saranno una forlana e una giga; niente tango, però – 2° una Nuit romantique, con spleen, caccia infernale, monaca maledetta eccetera”

     

    Di questi progetti Ravel realizzò soltanto Wien, che sarebbe diventato La valse e la Suite francese che, molto probabilmente, corrisponde a Le tombeau de Couperin, mentre rielaborò le musiche scritte per Zaspiak-Bat nel Concerto in sol, abbandonando la composizione delle altre opere. In particolar modo poté completare la composizione di Le tombeau de Couperin a Frêne presso Lyons-la-Forêt, in casa di madame Dreyfus, madrina di guerra del compositore nel 1917, dopo un’interruzione in seguito al suo arruolamento nel 1916 come conduttore di camion. Costituita da sei brani dedicati, ciascuno dei quali dedicato alla memoria di un suo amico morto durante la Prima Guerra Mondiale, la Suite, nella sua versione pianistica, fu eseguita per la prima volta l’11 aprile 1919 a Parigi nella sala Gaveau da Marguerite Long, moglie del Capitano Joseph de Marliave, morto durante un’azione militare nel mese di agosto del 1914, a cui è dedicata la conclusiva Toccata. Nello stesso anno Ravel fece, in vista di una realizzazione ballettistica per la compagnia Les Balets Suédois (I balletti svedesi) di Rolf de Maré, una versione orchestrale di quattro dei sei brani della Suite e, in particolar modo, del Prélude, della Forlane, del Menuet e del Rigaudon, eliminando così la Fugue e la Toccata. La prima esecuzione della Suite fu, però, in forma di concerto a Parigi il 18 febbraio 1020 presso i Concerts Populaires Pasdeloup sotto la direzione di Rhené-Bâton, mentre il balletto vide le scene l’8 novembre dello stesso anno al Théâtre des Champs-Elysées con la compagnia dei Balets Suédois sotto la direzione di  Désiré-Émile Inghelbrecht con la coreografia di Jean Börlin.

    Il titolo tombeau, lungi dall’avere qualunque significato funebre, deve essere inteso nella sua accezione rinascimentale come un omaggio ad un illustre defunto, alieno da qualunque forma di compianto. Il tombeau è, infatti, una convenzione letteraria rinascimentale in base alla quale si immagina che il defunto, dopo aver acquisito meriti morali e civili in vita, possa godere della beatitudine dei Campi Elisi, dove, secondo una visione di matrice gluckiana, i morti danzano al suono di raffinate danze di corte. In questa Suite, concepita, come dichiarato dallo stesso compositore nell’Esquisse autobiographique, dettato a Roland-Manuel nel 1928, come un omaggio diretto, in realtà, più alla musica francese del XVIII secolo che a Couperin, Ravel ha rivestito con un’armonia moderna le strutture dell’ordre, nome con il quale era chiamata in Francia nel Settecento la forma della suite, del grande clavicembalista francese nelle tre magnifiche danze, Forlane, Menuet e Rigaudon, precedute, nella versione orchestrale, dal Prélude. Il Prélude è una pagina fluida, leggera e volubile, che nella versione orchestrale è dotata di un colore affascinante grazie al timbro dell’oboe, a cui è affidato il moderno tema nella sua struttura pentatonica, del clarinetto, del corno inglese, degli archi e di tutti gli altri strumenti che a poco a poco si inseriscono come delle tessere di un raffinato mosaico. Una raffinata ricerca timbrica caratterizza anche la successiva Forlane, dedicata a Gabriel de Luc il cui tema settecentesco elegante e cerimonioso, esposto inizialmente dai primi violini, ritorna per ben tre volte in una scrittura armonica moderna per la presenza di settime maggiori e cromatismi. Una grazia aristocratica e arcaizzante contraddistingue il successivo Menuet, il cui tema malinconico è esposto inizialmente dall’oboe, mentre il conclusivo Rigaudon dalla struttura formale tripartita (A-B-A1) vive del contrasto tra la brillante sezione iniziale, ripresa nella parte conclusiva, e la delicata parte centrale nella quale l’oboe intona una malinconica melodia pastorale accompagnata dal pizzicato degli archi che evocano le sonorità di una chitarra.

    Durata: 21'

    Frank Martin
    Eaux-Vives 1890 – Naarden 1974

    Ouverture en hommage à Mozart

    Allegro giocoso

     

    Figlio di un pastore calvinista di origine francese-ugonotta, Frank Martin, dopo aver studiato pianoforte, armonia e composizione con Joseph Lauber e aver collaborato con Émile Jaques-Dalcroze, che lo indusse a dare maggiore attenzione alla ritmica, lavorò inizialmente come pianista e clavicembalista e dal 1950 al 1957 svolse l’incarico di docente di composizione presso l’Accademia di Musica di Colonia. Qualche anno prima, Franck Martin aveva ottenuto la sua prima affermazione, come compositore, a livello internazionale con l’esecuzione della Petite symphonie concertante, Op. 54, il 27 maggio 1946 sotto la direzione di Paul Sacher. Nella sua produzione, perlopiù dominata dalla sua fede cristiana e comprendente opere teatrali, oratori, lavori da camera e sinfonici, si nota il suo originalissimo stile, che si configura come una sintesi tra la tradizione tonale e la dodecafonia di Schönberg.

    Composta nel 1956 su commissione della Radio di Ginevra che intendeva in questo modo concludere le celebrazioni del bicentenario della nascita di Mozart, questa Ouverture en hommage à Mozart, lungi dall’essere un pasticcio di temi celebri del Salisburghese, è, come recita il titolo, un vero e proprio omaggio con il quale il compositore volle esprimere il suo amore e la sua ammirazione per Mozart. Per fare ciò Martin utilizzò il proprio linguaggio musicale scrivendo una pagina dalla struttura tripartita (A-B-A) che si apre con una sezione iniziale brillante e ben marcata dal punto di vista ritmico e una parte centrale di intenso lirismo che precede la ripresa.

    Durata: 7'

    Wolfgang Amadeus Mozart
    Salisburgo 1756 – Vienna 1791

    Sinfonia n. 41 “Jupiter” in do maggiore KV 551

    Allegro vivace

    Andante cantabile

    Menuetto (Allegretto)

    Molto allegro

     

    “La sinfonia Jupiter di Mozart è l’opera più bella che io abbia mai ascoltato”.

     

    È impossibile non sottoscrivere queste parole espresse da Richard Strauss a proposito di quest’ultimo lavoro sinfonico di Mozart che, per la grandiosità dei suoi temi e della sua architettura musicale, fu soprannominata dall’impresario londinese Peter Salomon, in un’edizione postuma di una trascrizione pianistica, Jupiter. Completata il 10 agosto del 1788, la Jupiter chiude un bimestre prodigioso e straordinariamente creativo per Mozart che in brevissimo tempo aveva scritto i suoi tre ultimi capolavori sinfonici come si evince dalle date di composizione di questi tre lavori che furono completati nell’ordine: la Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore K. 543 il 26 giugno e la Sinfonia in sol minore il 25 luglio 1788, meno di un mese prima della Jupiter. Il 1788 non fu un anno favorevole per il compositore che, sebbene particolarmente ispirato, non aveva visto ripetersi, per il suo Don Giovanni, nella rappresentazione viennese del 7 maggio di quell’anno al Burgtheater, il successo ottenuto a Praga e che non si trovava in floride condizioni economiche nonostante i 225 fiorini percepiti per la sfortunata rappresentazione nella capitale asburgica. Il 1788 fu, dunque, per Mozart un anno di grandi delusioni le cui tracce, rinvenibili nella precedente Sinfonia in sol minore ricca di pathos, sono del tutto dissipate nella Jupiter. Queste due sinfonie, pur così vicine dal punto di vista cronologico, sono sostanzialmente diverse sia per la tonalità, che nella Jupiter è costituita dal solare e perentorio do maggiore, sia per l’organico orchestrale che prevede l’inserimento delle trombe e dei timpani conferendo al brano un carattere marziale.

    L’affermazione trionfale e perentoria della regalità, che molto probabilmente indusse Salomon a soprannominare la sinfonia Jupiter, è racchiusa già nella semifrase iniziale del primo tema del primo movimento (Allegro vivace) che ricorda da vicino l’incipit dell’ouverture dell’Idomeneo con le terzine di semicrome che risolvono sulla tonica. A questa semifrase, così perentoria, risponde una seconda dotata quasi di una serenità olimpica e maestosa nell’elegante canto dei primi violini. Il carattere marziale del movimento è confermato nell’esposizione di questo primo tema soprattutto nei ritmi puntati affidati a legni e ottoni, mentre il secondo tema si evidenzia per una scrittura più distesa che trasfigura in modo elegante il ritmo puntato. Nella coda dell’esposizione viene introdotta infine un terza idea tematica, vera e propria protagonista dello sviluppo e tratta dall’arietta Un bacio di mano composta tre mesi prima. Il secondo movimento Andante cantabile è una pagina di straordinario lirismo che contrasta con il primo movimento anche per l’utilizzo di un organico orchestrale ridotto per la mancanza dei timpani e delle trombe; questo movimento, estremamente libero dal punto di vista formale con un’esposizione ben marcata in cui sono presentate tre diverse idee tematiche, un breve sviluppo, ed una ripresa con il primo tema che ritorna nella parte conclusiva quasi in eco, si evidenzia per un carattere disteso, ma al tempo stesso pensoso solo appena turbato dalla seconda idea tematica dall’andamento angosciante nella scrittura sincopata degli archi. Con il successivo Menuetto ogni tipo di angoscia appare fugato e il clima festoso del primo movimento si afferma con una straordinaria eleganza che coinvolge anche il Trio diviso in due sezioni, delle quali la prima è strutturata in un dialogo tra flauti, fagotti e corni da una parte e oboe e archi dall’altra, mentre la seconda espone il motivo di quattro suoni su cui si fonda l’ultimo movimento. L’ultimo movimento, Molto allegro, è, infine, una mirabile sintesi tra scrittura contrappuntistica e forma-sonata configurandosi come un testamento sinfonico di altissimo valore;  il primo tema, costituito da appena quattro suoni (do-re-fa-mi), è immediatamente riesposto nella forma di uno stretto di fuga a cinque parti e lascia il posto ad una nuova idea civettuola che svolge la funzione di transizione al secondo tema di carattere lirico. Nello sviluppo emerge la grande perizia contrappuntistica di Mozart attraverso un gioco imitativo che trova la sua espressione più completa nella coda del movimento dove, in un poderoso fugato, appaiono tutti i motivi di questo Finale amalgamati in una straordinaria e suggestiva sintesi.

     

    Riccardo Viagrande

     

    Durata: 42'