Mahler, Mozart, Bizet & Saint-Saëns

Chiesa Santa  Maria dello Spasimo

Quartetto Ondine

  • Luogo

  • Complesso Santa Maria dello Spasimo - Palermo

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Giovedì
    17 Settembre 2020

    Ore

    21,00

    Durata

    60min.

    Prezzi

    5 - €

    Calendario

Floriana Franchina, pianoforte e flauto

Sergio Guadagno, violino

Vytautas Martisius, viola

Enrico Corli, violoncello

  • Programma

  • Gustav Mahler
    Kaliště, 1860 - Vienna, 1911

    Quartetto (Quartettsatz) per pianoforte e archi in la minore

    Nicht zu schnell

    Scherzo (incompiuto)

     

    Opera giovanile, il Quartettsatz per pianoforte e archi fu composto da Mahler nel 1876 alla fine del suo primo anno di studio al Conservatorio di Vienna e fu eseguito il 10 luglio dello stesso anno con il compositore al pianoforte. Nonostante sia incompiuto, in quanto dello Scherzo ci sono rimasti pochi schizzi, questo lavoro ha un grande valore storico dal momento che si presenta come una delle rare testimonianze del periodo in cui Mahler studiava presso il prestigioso Conservatorio della "Gesellschaft der Musikfreunde" di Vienna (dal 1875 al 1878) con Julius Epstein (pianoforte), Robert Fuchs (armonia e contrappunto) e Franz Krenn (composizione). Di questo lavoro, eseguito per l'ultima volta nell'Ottocento il 12 settembre 1876 a Iglau sempre con Mahler al pianoforte, si erano perse le tracce fino agli anni Sessanta allorché la vedova Alma Mahler ritrovò il manoscritto;  il quartetto fu, allora, eseguito per la prima volta in tempi moderni a New York il 12 gennaio 1864 con Peter Serkin (pianoforte) e il Galimir Quartet.

    Pur essendo un lavoro giovanile, il Quartettsatz rivela già il talento di Mahler che mostra di affrontare con una certa maturità la forma-sonata e di avere una buona padronanza della scrittura pianistica basata sulla conoscenza delle opere di Beethoven, Schubert, Chopin, Schumann e Brahms, la cui influenza appare, inoltre, nel lirico primo tema. Ad esso si contrappone un secondo gruppo tematico tonalmente e ritmicamente contrastante. Particolarmente raffinato è lo sviluppo, mentre nella ripresa si segnala un'originale quanto inaspettata modulazione alla tonalità di fa diesis minore.

    Durata: 15'

    Wolfgang Amadeus Mozart
    Salisburgo 1756 – Vienna 1791

    Quartetto per flauto ed archi n. 1 in re maggiore KV 285

    Allegro (re maggiore)

    Adagio (si minore)

    Rondò. Allegretto (re maggiore)

     

    Nel mese di dicembre 1877, Mozart, grazie ai buoni auspici di Johann Baptist Wendling, primo flautista della famosa orchestra di Mannheim, che aveva cercato inutilmente di fare ottenere al giovane compositore un incarico a corte, ottenne una commissione interessante dal punto di vista economico. Wendling aveva messo in contatto Mozart con un ricco olandese di nome Willem De Jean o, secondo alcune fonti, Dechamps, noto come «l’indiano», che gli promise una somma di 200 fiorini per tre concerti per flauto e orchestra brevi e semplici e per quattro quartetti con il flauto perché li potesse suonare. Mozart, che non amava particolarmente questo strumento, accettò la commissione anche perché allettato dalla proposta economica che gli consentiva di sistemare, in qualche modo, le già dissestate finanze. Alla fine Mozart non riuscì ad ottemperare agli obblighi della committenza portando a compimento tre dei quattro quartetti e due concerti, dei quali il primo, composto per l’occasione, è il Concerto in sol maggiore KV 313, mentre il secondo, quello in re maggiore KV 414, è la trascrizione di un concerto per oboe e orchestra scritto l’anno precedente a Salisburgo. De Jean, per nulla soddisfatto del lavoro di Mozart, decise di non pagare l’intera somma pattuita, liquidando appena 96 fiorini al giovane compositore che si lamentò dell’accaduto in una lettera indirizzata al padre Leopold il 14 febbraio 1778:

    “Il Signor De Jean, che parte anche lui domani per Parigi, mi ha dato solo 96 fiorini, perché non gli ho finito che 2 concerti e 3 quartetti (si è sbagliato di 4 fiorini, così sarebbe stata la metà). Ma mi deve pagare interamente; sono già d’accordo con Wendling che gli manderà il resto a Parigi. Che qui non abbia potuto terminare il lavoro è  più che naturale. Non ho un’ora di pace; posso scrivere solo di notte e di conseguenza non posso alzarmi presto la mattina. Inoltre non sempre si è disposti a lavorare. Buttar giù qualcosa posso farlo tutto il giorno, ma questa roba va in giro per il mondo e non voglio vergognarmi che ci sia sopra il nome mio. Poi, come Lei sa, mi stufo presto a scrivere per uno stesso strumento (che non posso sopportare); cosi tanto per cambiare, ho scritto qualcosa di diverso, duetti per pianoforte e violino e parte di una messa. Ora però mi metto a lavorare seriamente ai duetti col pianoforte per poterli far stampare”.

    Nonostante Mozart non amasse troppo il flauto, questo Quartetto per flauto ed archi n. 1 in re maggiore KV 285, la cui stesura fu ultimata il 25 dicembre 17 come si legge nell'epigrafe del manoscritto autografo, è un capolavoro assoluto. Autentico protagonista del quartetto è il flauto, al quale sono affidati i temi principali già nel primo movimento Allegro, in forma-sonata, nel quale gli altri strumenti si limitano ad accompagnare. Di carattere malinconico è il secondo movimento, Adagio, che si segnala per una scrittura particolarmente espressiva nella quale emergono i caratteristici "sospiri" di Mannheim. Il quartetto è concluso da un brillante Rondò particolarmente impegnativo per il violino e per la viola.   

    Durata: 15'

    Georges Bizet
    Parigi, 1838 - Bougival, 1875

    Carmen suite

    Aragonaise

    Habañera

    Chanson du toréador

     

    Come è accaduto per molti altri capolavori del teatro musicale, anche la Carmen di George Bizet non ebbe, alla sua prima rappresentazione avvenuta il 3 marzo 1875 all’Opéra-Comique di Parigi, un’accoglienza tale da far presagire la straordinaria fortuna di cui avrebbe goduto in seguito. Il benpensante pubblico parigino, saldamente ancorato al moralismo e al perbenismo della borghesia che proprio in quel periodo celebrava i suoi fasti, rimase scandalizzato dal soggetto dell’opera che i librettisti H. Meilhac e L. Halévy trassero da una novella di Mérimée, in cui tutti i valori borghesi dell’Ottocento romantico venivano sistematicamente colpiti e il lieto fine, tipico di quel genere teatrale, era disatteso per la morte della protagonista per mano del suo gelosissimo amante Don José. La Carmen, alla cui composizione Bizet si era dedicato sin dal 1872 con grande entusiasmo, rimane un’opera importante per aver anticipato il verismo e il realismo psicologico nel teatro lirico oltre che il mito decadente della femme fatale, suprema dispensiera di piacere, ma anche di morte. La Carmen, che conobbe il successo già nell’autunno dello stesso anno in una rappresentazione a Vienna con i dialoghi parlati sostituiti con recitativi da Giraud, annoverò, tra i suoi estimatori, il filosofo Nietzsche che la considerò espressione della solarità mediterranea e di un ritorno alla natura e alla gioia.

    Protagonista dell’opera è Carmen, una zingara di straordinaria bellezza, che lavora come sigaraia in una manifattura di tabacco nei pressi di una piazza di Siviglia; al suo fascino nessuno riesce a sottrarsi, nemmeno Don Josè, un brigadiere dei dragoni, che non esita a sacrificare il suo onore favorendone la fuga dopo l’arresto in seguito ad una rissa in cui la donna ha ferito una sua compagna e la sua stessa carriera aggregandosi ad un gruppo di contrabbandieri di cui Carmen faceva parte. Queste prove d’amore non sono sufficienti a conquistare definitivamente l’amore di Carmen che, divenuta l’amante del torero Escamillo, viene uccisa dal brigadiere geloso.

    Dalle due Suites, costituite da alcuni dei passi più significativi dell’opera che Bizet compose succcessivamente, sono stati tratti i brani proposti in questo concerto: Aragonaise, Habañera, Chanson du toréador.

    Durata: 10'

    Camille Saint-Saëns
    Parigi, 1835 - Algeri, 1921

    Danse macabre (Danza macabra)

    Mouvement modéré de Valse

     

    Particolarmente caro all’iconografia medievale, il soggetto della Danza macabra è stato spesso scelto come fonte ispiratrice sia di lavori musicali, tra cui ricordiamo Totentanz di Franz Liszt, sia di opere letterarie, tra le quali spiccano La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe e la ballata di Goethe La danza macabra. Proprio il tema di questa ballata, nella quale è descritta una danza macabra a cui partecipano in un cimitero gli scheletri ritornati in vita quasi per incanto al rintocco della mezzanotte, fu ripreso e rielaborato in chiave ironica dal poeta francese Henri Cazalis, pseudonimo di Jean Lahor, il cui poemetto servì da fonte di ispirazione per Saint-Saëns, che lo mise in musica per voce e pianoforte orchestrando in seguito la parte pianistica. Da questo lavoro Saint-Saëns nel 1874 trasse il terzo dei suoi quattro poemi sinfonici, per il quale utilizzò come programma il seguente testo liberamente ispirato al poemetto di Cazalis:

    “I raggi della luna filtrano a intervalli fra nuvole a brandelli. Dodici cupi rintocchi risuonano dal campanile della chiesa. Svanito l’ultimo di essi, si odono strani rumori dall'attiguo cimitero, e la luce della luna investe una fantomatica figura: la Morte, che suona il violino, seduta su una pietra tombale. Si odono strida dai sepolcri circostanti e il vento ulula fra le cime degli alberi spogli. Le note sinistre dello scordato violino della Morte chiamano i morti fuori dalle tombe; e questi, avvolti in bianchi sudari, volteggiano attorno in una danza infernale. La quiete del sacro recinto è distrutta da grida sorde e risa orribili. La ridda degli scheletri, col rumore secco delle ossa, diviene sempre più selvaggia, e la Morte, nel mezzo, batte il tempo col suo piede scricchiolante di scheletro. Improvvisamente, come presi da un sospetto terribile, i morti si arrestano. Nel vento gelido si sentono le note della Morte. Un fremito percorre i ranghi dei trapassati: i teschi sogghignanti si rivolgono in ascolto verso la pallida luna. Ma le note stridenti della Morte di nuovo rompono il silenzio, e i morti riprendono a danzare più selvaggiamente di prima. L’ululo del vento si unisce al coro dei fantasmi, gemendo fra i rami nudi dei tigli. D'improvviso la Morte smette di suonare, e nel silenzio che segue si ode il canto del gallo. I morti si affrettano verso le tombe e la fatale visione svanisce nella luce dell'alba”.

    Il poema sinfonico, eseguito, per la prima volta, ai Concerts Colonne di Parigi il 24 gennaio 1875 e qui presentato in una versione da camera, segue in modo abbastanza fedele questo programma perfettamente realizzato anche nell’organico con il violino, che sostiene la parte principale, accordato sol-re-la-mi bemolle e non normalmente sol-re-la-mi. La fedeltà al programma letterario è evidente già nella parte iniziale con i rintocchi della campana resi perfettamente da 12 re ribattuti e con gli strani rumori, realizzati dal pizzicato degli archi, corrispondenti in realtà a misteriosi e sinistri passi provenienti dal cimitero attiguo. Questi sono i passi della Morte che si presenta con il suo violino scordato reso perfettamente dalla doppia corda la-mi bemolle eseguita a vuoto. Al richiamo della Morte gli scheletri, annunciati da un tema affidato al flauto e, poi, ripreso dagli archi, escono dalle loro tombe facendo scricchiolare le loro ossa su un ritmo di valzer. La Morte ritorna ad essere protagonista con un tema lamentoso e invita a danzare gli scheletri; la danza si anima e si trasforma quasi in una ridda sfrenata che culmina in una fuga nella quale appare variato il celeberrimo tema del Dies irae. La danza sfrenata e quasi selvaggia raggiunge il punto culminante nell’ironico e brillante Presto che si arresta d’improvviso, introducendo la coda del poema. È l’alba e la Morte, pur cercando di riprendere frammenti del tema esposto in precedenza, scompare.

     

    Riccardo Viagrande

     

    Durata: 10'