Mozart, Haydn, Verdi, Bruch & Bottesini

Marco Boni, direttore

Iakov Zats, viola

Alberto Bocini, contrabbasso

I solisti dell'Orchestra Sinfonica Siciliana

  • Luogo

  • Anfiteatro Comunale - Ventimiglia di Sicilia

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Sabato
    17 Luglio 2021

    Ore

    21,00

    Durata

    -

    Prezzi

    - €

    Calendario

I Solisti dell'OSS:

Lorenzo Rovati, violino

Enrico Corli, violoncello

Gabriele Palmeri, oboe

Laura Costa, fagotto

Alessandro Cirrito, clarinetto

 

CONCERTANTE

 

In ottemperanza alla normativa anticovid

INGRESSO GRATUITO SOLO SU PRENOTAZIONE

Per prenotare telefonare (091 60725232/533) al Botteghino del Politeama (ore 9/13) nonché sabato 17 luglio direttamente presso l'Anfiteatro Comunale di Ventimiglia di Sicilia a partire dalle ore 19,30 secondo disponibilità.

  • Programma

  • Wolfgang Amadeus Mozart
    Salisburgo 1756 – Vienna 1791

    Le nozze di Figaro, ouverture

    Presto

     

    La prima rappresentazione di Le mariage de Figaro ou la folle journée di Beaumarchais, avvenuta il 27 aprile 1784 a Parigi alla Comédie Française, era stata salutata da un successo senza precedenti come testimoniato dalle ben 68 repliche della commedia. Ad attirare la curiosità del pubblico era stata molto probabilmente l’iniziale censura da parte di Luigi XVI che, dopo aver letto il manoscritto nel 1781, aveva decretato: cela est détestable, cela ne sera jamais joué. La proibizione del sovrano era stata determinata dal carattere rivoluzionario del testo nel quale non mancavano scene di aperta satira politica. L’astuto Beaumarchais, però, dopo una complessa battaglia condotta da abile stratega, ottenne dal re il permesso per una rappresentazione privata nel castello di Gennevilliers in presenza dei nobili il 27 settembre 1783 e, poi, per una pubblica che suscitò tanto scalpore. Se in Francia Le mariage de Figaro ebbe così la sua prima rappresentazione, diverso fu il suo destino negli altri paesi europei; nell’Austria degli Asburgo, per esempio, ne era stata proibita la rappresentazione dall’imperatore Giuseppe II che aveva intravisto nel testo elementi tali da attizzare l’odio sociale. La prima opera firmata da Mozart e Da Ponte nasceva, quindi, tra tante difficoltà come ricordato dallo stesso librettista nelle sue memorie:

    “io mi misi serenamente a pensar a’ drammi, che doveva fare pe’ miei due cari amici Mozzart [sic] e Martini. Quanto al primo, io concepii facilmente che la immensità del suo genio domandava un soggetto esteso, multiforme, sublime. Conversando un giorno con lui su questa materia, mi chiese se potrei facilmente ridurre a dramma la commedia di Beaumarchais, intitolata Le nozze di Figaro. Mi piacque assai la proposizione e gliela promisi. Ma v’era una difficoltà grandissima da superare. Vietato aveva pochi dì prima l’imperadore alla compagnia del teatro tedesco di rappresentare quella commedia, che scritta era, diceva egli, troppo liberamente per un costumato uditorio: or come proporgliela per un dramma? Il baron Vetzlar offriva con bella generosità di darmi un prezzo assai ragionevole per le parole, e far poi rappresentare quell’opera a Londra od in Francia, se non si poteva a Vienna; ma io rifiutai le sue offerte e proposi di scriver le parole e la musica secretamente, e d’aspettar un’opportunità favorevole da esibirla a’ direttori teatrali o all’imperadore, del che coraggiosamente osai incaricarmi. Martini fu il solo che seppe da me il bell’arcano, ed egli assai liberamente, per la stima ch’avea di Mozzart, consentì che io ritardassi a scriver per lui, finché avessi terminato il dramma di Figaro. Mi misi dunque all'impresa, e, di mano in mano ch'io scrivea le parole, ei ne faceva la musica. In sei settimane tutto era all'ordine. La buona fortuna di Mozzart volle che mancassero spartiti al teatro. Colta però l'occasione, andai, senza parlare con chi che sia, ad offrir il Figaro all'imperadore medesimo. «Come!» diss'egli. «Sapete che Mozzart, bravissimo per l'istrumentale, non ha mai scritto che un dramma vocale, e questo non era gran cosa!» «Nemmen io,» replicai sommessamente, «senza la clemenza della Maestà Vostra non avrei scritto che un dramma a Vienna.» «È vero,» replicò egli; «ma queste Nozze di Figaro io le ho proibite alla truppa tedesca.» «Sì,»soggiunsi io; «ma, avendo composto un dramma per musica e non una commedia, ho dovuto ommettere molte scene e assai più raccorciarne, ed ho ommesso e raccorciato quello che poteva offendere la delicatezza e decenza d'uno spettacolo, a cui la Maestà sovrana presiede. Quanto alla musica poi, per quanto io posso giudicare, parmi d'una bellezza maravigliosa.» «Bene: quand'è così, mi fido del vostro gusto quanto alla musica e della vostra prudenza quanto al costume. Fate dar lo spartito al copista.» Corsi subito”.

     

    Il racconto di Da Ponte non è del tutto attendibile, in quanto studi recenti hanno dimostrato come l’imperatore, desideroso di dare di sé un’immagine di sovrano illuminato, non solo non abbia ostacolato la rappresentazione, ma abbia preso parte attiva alla realizzazione dell’opera dalla quale fece, però, espungere le scene più rivoluzionarie.

    Composta dopo la stesura dell’intera partitura, l’ouverture sembra ispirata, come notato da Otto Jahn, uno dei primi biografi di Mozart, al sottotitolo della commedia francese La folle journée; è, infatti, una pagina brillante, in forma-sonata senza sviluppo, che introduce perfettamente il vortice degli eventi grazie anche alla scelta di Mozart di eliminare dalla versione definitiva un Andante inserito nell’originale prima della ripresa del primo tema dopo un improvviso arresto sull’armonia della dominante. Al primo serpeggiante tema esposto in pianissimo dagli archi e dei fagotti, i quali con il loro timbro danno ad esso un garbato e raffinato tocco di ironia, fa da pendant il secondo pomposo e altrettanto ironico tema introdotto da una cadenza imperfetta (IV-I) frequente nei lavori di Johann Christian Bach, compositore particolarmente ammirato da Mozart.

    Durata: 5'

    Franz Joseph Haydn
    Rohrau, 1732 - Vienna, 1809

    Sinfonia n. 105 concertante in si bemolle maggiore per violino, violoncello, oboe e fagotto Hob. 1: 105

    Allegro

    Andante

    Allegro con spirito

     

    Eseguita, per la prima volta, il 9 marzo del 1792, la Sinfonia n. 105 in si bemolle maggiore è l’unica concertante della vasta produzione del compositore austriaco che comprende ben 107 lavori, un numero di gran lunga superiore a quello dei concerti solistici, composti soprattutto in età giovanile, in un periodo che va dal 1752 al 1761, e comprendenti i 6 Concerti per organo, detti viennesi, e i 6 Concerti Esterházy. Dopo queste prime prove giovanili Haydn ritornò molto raramente a comporre concerti, forse perché poco convinto dall’impianto formale di questo genere oppure perché, non possedendo il virtuosismo di uno strumentista, non si sentiva di esibirsi nella parte del solista. Ciò nonostante, durante il suo primo trionfale soggiorno a Londra, dove si era recato in seguito alla stipulazione di un contratto con Peter Salomon, il compositore decise di scrivere una sinfonia concertante sia per venire incontro ai gusti del pubblico inglese, che apprezzava questo genere di composizione, sia per contrastare, in un certo qual modo, Ignaz Pleyel, suo allievo e famosissimo compositore, che era stato ingaggiato per la stagione del 1792 da Wilhelm Cramer, direttore del  Professional Concert, proprio per competere con il successo della stagione concertistica organizzata da Salomon l’anno precedente. Pleyel, inoltre, aveva scritto due Sinfonie concertanti che godevano di un certo successo nella capitale inglese. Interessante testimonianza di questa rivalità è una lettera di Haydn datata 2 marzo 1792 e indirizzata a Frau von Genzinger nella quale si legge:

    “… non esiste giorno, un solo giorno, in cui sia libero dal lavoro, e devo ringraziare il buon Dio se potrò lasciare Londra; più presto è, meglio è. Le mie fatiche sono state accresciute dall’arrivo del mio allievo Pleyel che il Professional Concert ha fatto venire qui. È arrivato con numerose nuove composizioni, scritte tuttavia, molto tempo fa; egli allora ha promesso di presentare ogni sera un nuovo lavoro. Appena l’ho saputo, mi sono reso conto che ce l’avevano a morte con me, perciò ho annunciato pubblicamente che avrei prodotto anch’io 12 pezzi nuovi. Per mantenere la parola, e sostenere il povero Salomon, mi tocca soffrire e lavorare in continuazione, e la cosa mi pesa davvero molto. Gli occhi soprattutto ne soffrono, e trascorro molte notti insonni, anche se, con l’aiuto di Dio, supererò tutto. Gli organizzatori del Professional Concert hanno voluto mettermi il bastone fra le ruote, perché non ho voluto andare con loro; ma il pubblico è giusto. La presunzione di Pleyel viene criticata aspramente, ma gli voglio bene lo stesso. Vado sempre ai suoi concerti e sono il primo ad applaudirlo”.

    Proprio in questo periodo fu composta la Sinfonia concertante per violino, violoncello, oboe e fagotto che, sette giorni dopo la stesura di questa lettera, fu eseguita per la prima volta con la partecipazione, come violino solista, dallo stesso Salomon.

    La Sinfonia si compone di tre movimenti dei quali il primo, Allegro, il più ampio, è scritto in forma-sonata, riconoscibile nella struttura tripartita (doppia esposizione, sviluppo e ripresa) e nel percorso tonale, anche se si accosta maggiormente al concerto barocco per il prevalere del concertino sull’orchestra. Manca, tuttavia, la contrapposizione tematica tipica della forma-sonata, in quanto l’intero movimento si basa su un unico tema che viene trattato contrappuntisticamente. Il secondo movimento, Andante, aperto da una melodia mesta affidata al violino e al fagotto, presenta un carattere eminentemente lirico, il cui punto culminante è raggiunto nel secondo tema, esposto, inizialmente, dal violoncello a cui si unisce in seguito il violino. Molto interessante è la parte conclusiva nella quale la melodia, quasi in eco, è fagocitata dai corni secondo un procedimento che si riscontra in altre sinfonie londinesi. Il terzo movimento, Allegro con spirito, è un rondò che si apre con un’introduzione orchestrale nella quale il tema principale è declamato all’ottava per spegnersi in un recitativo, affidato qui al violino solista,  che ritorna anche al posto della cadenza. L’uso del recitativo era già stato sperimentato da Haydn nella giovanile Sinfonia n. 7 “Il Mezzogiorno”.

    Durata: 26'

    Giuseppe Verdi
    Roncole di Busseto, 1813 - Milano, 1901

    La forza del destino, sinfonia

    Allegro, Allegro agitato e presto, I° tempo, Andantino, Andante mosso, Presto come prima, Andante come prima, Allegro brillante

     

    Dopo Un ballo in maschera sembrò che l’energia creativa avesse abbandonato Verdi, dal momento che si mostrava poco interessato a comporre altre opere, come si evince da una lettera a Piave:

    “Ora sono completamente paesano. Spero di aver dato un addio alle muse e desidero non mi venga la tentazione di prendere la penna di nuovo”.

    Intanto, contrariamente alle sue intenzioni, cominciava a profilarsi un suo ritorno al teatro. Mentre si trovava a Torino per convincere Cavour ad accettare le sue dimissioni dal Parlamento, Giuseppina Strepponi ricevette dall’amico Mauro Corticelli, segretario della celebre attrice Adelaide Ristori che si trovava in tournée in Russia, una lettera nella quale ve n’era acclusa un’altra indirizzata a Verdi dal cantante Tamberlick. In entrambe vi era la richiesta se il compositore fosse disposto a considerare la possibilità di scrivere un’opera per il Teatro Imperiale di Pietroburgo per la stagione invernale 1861-1862. A Giuseppina la proposta non dispiacque, allettata dall’idea di trascorrere l’inverno lontana da Sant’Agata e in una delle più belle capitali europee, e manifestò la sua fiducia di poter convincere il maestro in una lettera a Corticelli:

    “Correggerei volentieri quell’imponente numero 22 sotto zero che gli farà spalancare gli occhi dallo spavento. Quanto a me mi sono rifugiata leggendo quel periodo quasi sotto il camino [...]. In ogni modo, per quanto cattivo avvocato io mi sia, metterò insieme, in quell’occasione, i migliori squarci della mia eloquenza onde persuaderlo ad esporre il suo naso al pericolo di gelare in Russia. Non riuscendo con l’eloquenza, metterò in opera un mezzo che, a quanto mi viene assicurato, riesce anche alle frontiere del Paradiso, coll’illustrissimo San Pietro, cioè: insistere, seccare, finché si ottenga”.

    Alla fine Verdi capitolò e, dopo un’attenta ricerca del soggetto, la scelta cadde sul dramma Don Alvaro, o la Fuerza del Sino di Angel de Saavedra, duca di Rivas, rappresentato nel 1835 a Madrid. L’opera, su libretto di Francesco Maria Piave, fu rappresentata per la prima volta a Pietroburgo il 10 novembre 1862 con un esito che non soddisfece il compositore. Criticata per la sua lunghezza, l’opera fu difesa dalla «Gazzetta Musicale» che attribuì l’esito deludente alla presenza in teatro di cultori della musica tedesca e a gruppi nazionalisti.  Verdi rielaborò l’opera che, nella nuova versione, fu rappresentata alla Scala il 27 febbraio 1869 con Teresa Stolz (Loenora), Mario Tiberini (Don Alvaro) e Luigi Colonnese (Don Carlo). Per l’occasione Verdi sostituì il breve preludio della versione di Pietroburgo, che, aperto dalle tre ottave esposte dai fiati, prosegue con il trascinante tema del destino, con quello del perdono e con quello della preghiera di Leonora, con l'attuale sinfonia, nella quale il compositore aggiunse altri temi salienti sviluppati in una struttura più coerente grazie alla quale questa pagina si è imposta anche nel repertorio sinfonico.

     

    Durata: 9'

    Max Bruch
    Colonia 1838 - Friedenau 1920

    Concerto per clarinetto, viola e orchestra in mi minore, op.88

    Nato a Colonia, Max Bruch, dopo aver studiato con Carl Heinrich Carsten Reinecke e Ferdinand Hiller, fu assunto come docente di composizione all’Accademia di Berlino dove rimase per circa vent’anni pur compiendo numerose tournées in Russia e in America. Fu anche direttore stabile a Coblenza, Berlino, Liverpool e Breslavia. All’interno della sua produzione spicca il presente Doppio Concerto per clarinetto, viola e orchestra in mi minore op. 88, composto nel 1911 per suo figlio Max Felix Bruch che lo eseguì con il suo clarinetto insieme con Willy Hess alla viola nel 1912.

    Aperto da due episodi di natura cadenzante di cui sono protagonisti prima la viola e poi il clarinetto che sembrano in questo modo presentarsi come due attori sulla scena, il primo movimento, Andante con moto, si caratterizza per una scrittura di intenso lirismo che contraddistingue entrambi i temi. Un intenso lirismo informa anche il secondo movimento, Allegro moderato, un elegante Ländler in sol maggiore dalla struttura tripartita con una sezione centrale in si minore. Aperto da una fanfara, il terzo movimento Allegro molto contamina la forma del Rondò, il cui refrain è costituito dal tema del tutti orchestrale, con quella della variazione, dal momento che negli episodi solistici i temi appaiono leggermente variati. 

    Durata: 20'

    Giovanni Bottesini
    Crema, 1821 - Parma, 1889

    Gran duo concertante per violino, contrabbasso e orchestra

    Allegro maestoso, Lento, Adagio, Allegro maestoso, Mosso

     

    Passato alla storia con l’appellativo di “Paganini del contrabbasso”, Giovanni Bottesini, oltre ad essere un virtuoso di questo strumento, fu un compositore e direttore d’orchestra molto apprezzato. Dopo aver iniziato gli studi  musicali all’età di 5 anni ed essersi diplomato al Conservatorio di Milano nel 1839, intraprese una brillante carriera di contrabbassista che lo portò a calcare i più importanti palcoscenici del mondo. Autore di opere liriche, tra cui Ero e Leandro su libretto di Arrigo Boito, Bottesini diresse, il 24 dicembre 1871, al Cairo, la prima dell’Aida di Giuseppe Verdi, grazie al cui interessamento, poco prima di morire, divenne direttore del Conservatorio di Parma.

    Composto nel 1880 originariamente per due contrabbassi ed eseguito dallo stesso Bottesini insieme con Luigi Negri, un allievo di Luigi Rossi al Conservatorio di Milano, il Gran Duo Concertante è stato trascritto nella sua forma per violino e contrabbasso da Camillo Sivori, un allievo di Paganini. Si tratta di un unico movimento dalla grande varietà agogica, che, aperto da un’introduzione orchestrale un po’ retorica, a cui segue una sezione di carattere cadenzante, si segnala per una scrittura di intenso lirismo soprattutto nel tema esposto in 6/8 inizialmente dal violino. Dopo la ripresa dell’introduzione iniziale i due solisti si producono in un passo di grande lirismo dal sapore operistico che sfocia in una sezione di carattere virtuosistico. Il brano si conclude con una virtuosistica coda.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 17'