Beethoven, Say & Bartók
Giuseppe Cataldo, direttore
Camille Thomas, violoncello
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Luogo
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Politeama Garibaldi
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Sabato 07 Dicembre 2019
Ore
17,30
Durata
85min.
Prezzi
25 - 12 €
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Programma
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Ludwig van Beethoven
Bonn, 1770 - Vienna, 1827La consacrazione della casa (Die Weihe des Hauses) ouverture op. 124 WoO 98
Maestoso e sostenuto, Allegro con brio
Trasferitosi, all’inizio di settembre del 1822 da Döbling a Baden per iniziare una nuova cura per i suoi problemi alle orecchie, Beethoven, impegnato già nella composizione della Missa Solemnis, non resistette alla tentazione di accettare una nuova commissione. Carl Friedrich Hensler, nuovo direttore del Josephstadt, contattò Beethoven per commissionargli la composizione delle musiche di scena della prima parte di un’allegoria drammatica musicale, su testo di Karl Meisl, la cui seconda parte sarebbe stata curata dal Kapellmeister Joseph Drechsler. Beethoven decise, allora, di riciclare una sua vecchia partitura composta nel 1811 per l’inaugurazione di un nuovo teatro a Pest. Per tale occasione egli, infatti, aveva fornito musiche di scena per due lavori di August von Kotzenbue, Re Stefano e Le rovine di Atene, il cui testo fu riscritto da Karl Meisl. Alla fine il lavoro si rivelò più complicato del previsto, in quanto Beethoven rielaborò alcuni dei numeri musicali e ne aggiunse degli altri tra cui un coro finale con violino solista e un balletto. Resosi conto che l’ouverture, scritta all’epoca per lo spettacolo di chiusura della serata, era troppo piccola se posta all’inizio, decise di scriverne una nuova che, con il titolo La consacrazione della casa, si è affermata come brano indipendente nel repertorio sinfonico. L’ouverture, eseguita per la prima volta il 3 ottobre 1822 sotto la sua direzione, ebbe un immediato successo a differenza delle altre parti che dopo tre serate di replica non furono più eseguite né pubblicate. Lo stesso Beethoven preferì l’ouverture alle altre parti, al punto che la fece inserire nel mese di maggio 1824 nel programma di un concerto a Vienna che prevedeva la première di alcune sezioni della Missa solemnis e della Sinfonia n. 9. Inoltre alla fine del 1825 egli la fece stampare come op. 124 con la dedica al principe russo Nikolai Galitzin. Secondo il racconto di Anton Schlinder Beethoven, mentre passeggiavano, gli sottopose la scelta fra due temi che egli aveva in mente per l’ouverture, di cui uno secondo il suo stile, l’altro da trattare in modo contrappuntistico alla maniera di Händel. Schlinder gli consigliò il secondo, che Beethoven non trattò secondo lo stile di Händel ispirandosi, invece, ad Haydn utilizzando una struttura monotematica con una modulazione e una ripresa del tema nella nuova tonalità.
L’ouverture, nella quale, come già sperimentato in quella definitiva del Fidelio, non sono utilizzati i temi degli altri numeri, si apre con un’introduzione, Maestoso e sostenuto, sviluppata sul modello haydniano e divisa in tre parti, delle quali la prima è una solenne marcia di carattere processionale, mentre la seconda, leggermente più mossa, vede come protagoniste le trombe che eseguono un tema gaio. Nella parte finale dell’introduzione intervengono gli archi che, con disegni in semicrome, rendono il discorso musicale più aggressivo con echi della Quarta sinfonia e delle Ouvertures Leonora. Protagonista del successivo crescendo è il tema händeliano dell’Allegro, la cui arcaica struttura di fugato a due soggetti dei quali il secondo è un tema sincopato senza rilevanza melodica, è incorniciata nella classica forma-sonata con un’esposizione monotematica, uno sviluppo e una ripresa accorciata a cui segue una breve coda.
Durata: 12'
Fazil Say
Ankara 1970Never give up, concerto per violoncello e orchestra (prima esecuzione in Italia)
Cadenza, Allegro, Adagio, Allegro assai
Adagio tranquillo, elegy
senza misura, Moderato, quasi improvvisazione, senza misura
“Sentirsi irradiato da una carica di energia positiva non è cosa che capiti sempre ad un concerto. Eppure è quello che mi è successo la sera del 3 aprile 2018 a Parigi appena uscito dal Théâtre des Champs-Elysées, dopo aver ascoltato in prima assoluta il concerto per violoncello di Fazil Say interpretato da una straordinaria artista quale Camille Thomas. Fra i vari pensieri che ebbi, ricordo, ce ne fu uno in particolare: “Never give up” era uno di quei concerti che mi sarebbe piaciuto dirigere! Una composizione dal titolo esplicito, militante, ma allo stesso tempo invocazione di pace in un’epoca di terrorismo e guerre. Così, quando il Maestro Panni mi ha invitato a dirigere, è stato naturale proporlo per la Sinfonica siciliana e il suo pubblico in questa prima esecuzione italiana.”
Con queste parole il direttore Giuseppe Cataldo si è espresso sul Concerto per violoncello e orchestra di Fazil Say, il cui titolo, Never give up, suggerito dall’Istituto culturale Bernard Magrez che ha commissionato il lavoro, come spiegato dallo stesso compositore turco nella nota di sala del prima esecuzione avvenuta presso il Théâtre des Champs Elysées il 3 aprile 2018, è un invito «agli uomini di buona volontà» affinché, in un mondo pieno di pericoli, di guerre e terrorismo nel quale diventa sempre più difficile la possibilità di comunicare tra le persone, non rinuncino mai alla pace e alla bellezza.
Caratterizzato da una grande ricchezza di idee riconducibili, per la massima parte a temi e strumenti della musica popolare turca, il primo movimento si apre con una cadenza, una melodia senza fine, che appare come «una struggente invocazione di libertà» (G. Cataldo) per dare gradualmente vita a una sorta di danza ritmica.
Di carattere contrastante è il secondo movimento, un Adagio tranquillo, che, come dichiarato sempre da Say, è stato composto pensando al terrorismo. In esso, infatti, è raffigurato un paesaggio di desolazione e di disperazione in cui le percussioni evocano la violenza brutale delle armi, mentre al solista è affidata una melodia lunga, sebbene fragile in una tensione crescente alla quale contribuisce proprio l'arcata lunga del violoncello.
Caratterizzato da canti di uccelli e suoni di acqua corrente, il terzo movimento, che rappresenta attraverso una danza frenetica un vero e proprio risveglio della vita e della natura, si segnala per il virtuosismo del violoncello che si misura con le strette scansioni orchestrali e l'euforia di ritmi e colori. Quest'ultimo movimento è un inno alla pace nel cui finale è ripreso l'inizio dell'opera.
In questo lavoro non mancano né le influenze della musica popolare turca, evidenti non solo nelle citazioni dirette di melodie, ma anche nell'orchestrazione, con la valorizzazione di percussioni che hanno colori particolari, né quelle della musica dei grandi classici del Novecento come Debussy, Ligeti, Bartók e Stravinkij.
Durata: 25'
Béla Bartók
Nagyszentmiklós, 1881 - New York, 1945Concerto per orchestra Sz 116
Introduzione: Andante non troppo, Allegro vivace
Gioco delle coppie: Allegretto scherzando
Elegia: Andante non troppo
Intermezzo interrotto: Allegretto
Finale: Pesante
Il 4 maggio 1943 Serge Koussevitzkij, direttore della Boston Symphony Orchestra scrisse a Bartók:
“Sono felice di informarla che la Fondazione musicale Koussevitzkij ha autorizzato una concessione di 1000 dollari da offrirle con l’accordo che lei componga un’opera per orchestra. In relazione alla concessione la Fondazione richiede che la composizione sia dedicata alla memoria di Natalie Koussevitzkij e che il manoscritto, dopo l’impiego ai fini della pubblicazione, sia depositato presso i suoi locali. La concessione sarà così ripartita: 500 dollari all’accettazione della commissione e 500 al completamento del manoscritto”.
Bartók accettò la commissione e si trasferì a Saranac Lake dove lavorò intensamente per tutta l’estate tanto da completare la stesura della partitura l’8 ottobre. Il 1° dicembre 1944 Koussevitzkij, entusiasta del lavoro che considerò il migliore degli ultimi vent’anni, diresse a Boston il Concerto per orchestra che il 10 gennaio 1945 fu eseguito alla Carnegie Hall di New York con grande successo; in Europa il Concerto fu eseguito postumo al Festival SIMC di Londra nel mese di luglio 1946. Il Concerto fu spesso adattato a balletto da vari coreografi tra cui Milloss che ne fece una versione dal titolo La soglia del tempo rappresentata all’Opera di Roma nel febbraio 1951 dopo il fallimento di un progetto precedente; si sa, infatti, che Bartók, dopo aver completato la partitura, la diede in visione a Antál Doráti in presenza di Hans Heinscheimer, agente di Boosey, che nel mese di gennaio 1944 comunicò a Bartók la decisione dell’American Ballet Theatre di produrre per la fine dell’anno una versione coreografica del balletto. Bartók, in pochi giorni, fece una riduzione pianistica del Concerto, ma il progetto fallì.
La particolarità del Concerto risiede nell’assenza di uno strumento solista e nell’uso originale degli strumenti dell’orchestra, come lo stesso compositore ebbe modo di spiegare nelle note di presentazione nelle quali si legge:
“Il complessivo assunto espressivo del lavoro presenta, se si prescinde dallo scherzoso secondo movimento, una graduale transizione dalla severità del primo tempo e dal lugubre canto di morte del terzo, all’affermazione di vita dell’ultimo. […] Il titolo di questo lavoro orchestrale simile a una sinfonia è spiegato dalla tendenza a trattare ogni singolo strumento dell’orchestra in modo concertante o solistico. Il trattamento virtuosistico appare per esempio nelle sezioni fugate dello sviluppo della prima parte (realizzato dagli ottoni) o nei passaggi in guisa di “perpetuum mobile” del tema principale che gli archi espongono nell’ultimo movimento, e soprattutto nel secondo movimento in cui coppie di strumenti si presentano con brillanti passi”.
Dal punto di vista formale il Concerto, nel quale confluirono anche pagine composte da Bartók in precedenza per un balletto, si articola in cinque movimenti secondo lo schema a ponte gravitante attorno al movimento centrale, Elegia: Andante non troppo, nel quale appaiono elementi tematici che, tratti dal repertorio popolare ungherese, si distendono in una scrittura di grande intensità lirica. Attorno a questo movimento è strutturato l’intero Concerto con una fitta rete di corrispondenze e richiami sia formali che tematici intercorrenti tra gli altri movimenti.
Il primo movimento (Introduzione: Andante non troppo, Allegro vivace), in forma-sonata, si apre con un lungo Andante non troppo di 75 battute che funge da lento preludio, a cui segue un crescendo ostinato che porta alla vera e propria esposizione, Allegro vivace. Al primo tema, costituito da una rielaborazione di una cellula tematica di tre battute, è correlato il secondo, esposto dal trombone che trae il suo materiale melodico dal primo. Di carattere contrastante è una terza idea tematica affidata all’oboe che, accompagnato dagli archi, gioca su due note. Nello sviluppo vengono rielaborati il primo e il secondo tema sul quale si basa una fanfara in fugato. Nella ripresa i temi appaiono in un ordine diverso rispetto all’esposizione con il terzo a cui seguono il primo e il secondo. Il secondo movimento (Gioco delle coppie: Allegretto scherzando), in cui si esibiscono coppie di strumenti a fiato, ebbe come titolo originario Gioco della coppie, modificato poi in Presentando le coppie, titolo che consisteva nella traduzione letterale della denominazione ungherese Páros gemutato, in seguito abbandonato a favore di quello originario. Interessante è la descrizione che Bartók fece di questo movimento:
“Consiste di una catena di corte sezioni indipendenti in cui gli strumenti a fiato sono introdotti consecutivamente in cinque paia (fagotti, oboi, clarinetti, flauti e trombe con sordino). Dal punto di vista tematico le cinque sezioni non hanno nulla in comune. Segue una specie di Trio – un breve corale per ottoni e tamburo – dopo il quale le cinque sezioni sono riprese con strumentazione più elaborata”.
Dopo un intervento del tamburo, la prima coppia protagonista è quella dei fagotti che eseguono un motivo popolaresco in seste parallele. A questa coppia segue quella degli oboi con il loro motivo ciarliero in terze parallele. Dopo un breve intervento dei contrabbassi interviene la coppia dei clarinetti che intonano un motivo lamentoso in settime minori parallele e, dopo un altro intervento dei contrabbassi, la coppia dei flauti esegue una melodia per quinte parallele. Infine interviene la coppia di trombe con sordino che eseguono una frase ironica invertita e frammentata. Dopo un Trio scritto nella forma della corale protestante ritornano le coppie nello stesso ordine che, per rendere più divertente il gioco, o sono arricchite con l’aggiunta di qualche strumento o sono mescolati ad altri. Ai fagotti, per esempio, se ne aggiunge un terzo che li sostiene contrappuntisticamente, mentre agli oboi fanno eco le terze in imitazione esposte dai clarinetti. La conclusione è una cadenza in cui tutti gli strumenti sono combinati dando vita ad un unico accordo costruito con i rapporti intervallari che hanno caratterizzato ciascuna coppia. Anche per il terzo movimento, Elegia, sono importanti i chiarimenti dati da Bartók che scrisse:
“La struttura del terzo movimento è a catena, tre temi vi appaiono in successione. Essi costituiscono il cuore del movimento, che è inframmezzato da una nebbiosa tessitura di motivi rudimentali. Gran parte del materiale tematico deriva dall’introduzione al primo movimento”.
Elementi del folklore magiaro, presenti anche in questo movimento, sono evidenti nei tre temi, dei quali il primo è esposto dai violini, mentre il secondo è un motivo contadino affidato inizialmente alle viole e poi ripreso dai legni. Il movimento si chiude quasi in modo mahleriano con una scrittura che vede protagonisti i flauti in una forma di dissolvenza. Nel quarto movimento (Intermezzo interrotto: Allegretto), Bartók attuò una parodia della Sinfonia n. 7 di Šostakovič introducendo un motivo sul tema del primo movimento della suddetta sinfonia. Il movimento è costituito da una successione di episodi musicali e inizia con una melodia affidata alla viola, una serenata cantata da un giovane idealista alla sua amata, ma la melodia è ben presto interrotta da una banda che rappresenta il brutale attacco di alcuni ubriaconi ai danni del giovane idealista il quale cerca d’intonare ancora la sua serenata con lo strumento rovinato, per cui può solo accennare a degli spezzoni. La struttura è costituita da una mescolanza di forma ad arco e di rondò secondo lo schema A-B-A-Interruzione-B-A. Della sezione iniziale protagonista è l’oboe che introduce e poi chiude un fragile tema basato sul tritono e sviluppato dai fagotti. Segue un Trio costruito su una nostalgica melodia della viola ripetuta da violini e corno inglese a cui segue la ripresa del tema della sezione iniziale da parte dell’oboe. Questo discorso musicale si interrompe grazie ai contrabbassi che si producono in disegni che si trasformano metricamente e subito dopo il clarinetto esegue il tema di Šostakovič. Dopo volgarità e rumori, l’atmosfera iniziale viene ripristinata con la ripresa dei temi principali. Il Finale, Pesante, secondo la descrizione di Bartók, si presenta come una
“più o meno regolare forma-sonata… la cui esposizione è alquanto estesa e il cui sviluppo consiste in una fuga costruita sull’ultimo tema dell’esposizione”.
Esso rappresenta perfettamente la volontà di Bartók di affermare il carattere energico del popolo ungherese grazie ad una straordinaria irruenza vitalistica. Nell’esposizione Bartók presenta tre temi dei quali il primo è esposto dai violini, il secondo dagli archi e il terzo si produce in una trionfante fanfara. La fuga, che corrisponde alla sezione centrale di sviluppo, è costruita interamente su questo tema in una scrittura ingegnosa, mentre nella ripresa i tre temi ritornano nello stesso ordine.
Riccardo Viagrande
Durata: 38'