Berlioz/ Mendelssohn
Ion Marin, direttore
Anna Lucia Richter, mezzosoprano
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Programma
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Hector Berlioz
La Côte-Saint-André, 1803 - Parigi, 1869Les Nuits d'été (Le notti d'estate) raccolta di 6 melodie per voce e orchestra op.7
Villanelle (Allegretto)
Le spectre de la rose (Adagio un poco lento e dolce assai)
Sur les lagunes (Andantino)
Absence (Adagio)
Au cimitière. Claire de lune (Andantino non troppo lento)
L’île inconnu (Allegro spiritoso)
Composto originariamente per voce e pianoforte tra il mese di febbraio del 1838 e il giugno del 1841, il ciclo di liriche Les nuits d’été trae la sua ispirazione e i testi da una raccolta, La comédie de la mort, pubblicata nel 1838 dal poeta francese e amico di Berlioz, Théophile Gautier. Il compositore utilizzò complessivamente sei testi della raccolta e diede all’intero ciclo un titolo di ascendenza shakespeariana a ulteriore dimostrazione dell’ammirazione di Berlioz per il drammaturgo inglese. La raccolta è dedicata nella sua interezza alla compositrice Louise Bertin, anche se ogni lirica presenta una dedica particolare. Molto probabilmente la prima idea di orchestrare queste liriche maturò durante una tournée in Germania dove Berlioz fu accompagnato dalla cantante di origine franco-ispanica Marie Recio, con la quale aveva iniziato una relazione destinata a durare fino alla morte della donna, avvenuta il 13 giugno 1862. Per la Recio, sposata nel 1854 dopo la morte della prima moglie Harriet Smithson, egli orchestrò la lirica Absence, tratta appunto dalle Nuits d’été, che la cantante eseguì al Gewandhaus di Lipsia il 23 febbraio 1843. In seguito, nel 1856, egli decise di orchestrare anche il secondo brano, Le spectre de la rose, riscrivendone la parte introduttiva. La prima esecuzione di questa lirica, avvenuta a Gotha il 6 febbraio 1856 con la splendida voce della cantante Anna Bockholtz-Falconi, entusiasmò tanto l’editore svizzero Rieter-Biedermann da indurre il compositore a orchestrare le altre quattro liriche della raccolta.
Nonostante Les nuits d’été non costituiscano un ciclo organico di liriche, è possibile distinguere in tutti i brani un tono comune che dà unità alla raccolta. Il ciclo si apre con una lirica di carattere estroverso dedicata a M.me Wolf, Villanelle, costruita su una semplice melodia di carattere strofico che si snoda in un Allegretto in 2/4. Il pezzo è un autentico gioiello sia per la raffinata orchestrazione che non scade mai in passi onomatopeici sia per l’altrettanto raffinata armonizzazione con una modulazione di passaggio che, nonostante i suoi cromatismi, non si allontana dalla tonalità d’impianto. Nel brano si intravede, in un disegno ritmico, anche una citazione dell’Ottava di Beethoven. Dedicato a M.lle Falconi, il secondo brano, Le spectre de la rose, si distingue per la raffinata orchestrazione in cui risalta, in apertura, il suono del violoncello. Mesta è l’introduzione con il flauto e il clarinetto che intonano il tema principale, mentre la seconda parte si segnala per un’orchestrazione più densa e una scrittura armonica estremamente varia grazie alla modulazione dal si maggiore, tonalità d’impianto, al re maggiore, prima, e al si bemolle, dopo. Ritorna, poi, il tema iniziale accompagnato dal pizzicato degli archi che sfocia nello staccato dei legni. Dopo un cromatismo discendente, viene introdotto da Berlioz un nuovo tema seguito da un momento recitante e da un declamato nel quale la voce è raddoppiata dal clarinetto. Altrettanto raffinata è l’orchestrazione del brano successivo, dedicato a M.me Milde, Sur les lagunes, il cui titolo originale, nella raccolta di Gautier, recitava Lamento-Chanson de pêcheur. Il carattere mesto della composizione è evidente già nelle prime battute con il corno e i violini che giocano sul quinto e sesto grado di fa minore, intervallo sul quale è costruita la melodia. Il delicato accoppiamento di flauto e clarinetto che si muovono in ottava su un ritmo cullante rende in modo efficace l’oscillazione della barca sul moto ondoso del mare. Meste riflessioni sull’amore non corrisposto costituiscono le tematiche fondamentali delle due liriche successive, Absence e Au Cimitière. Nella prima, dedicata a M.me Nottès, il sentimento d’amore frustrato viene descritto ricorrendo a un’armonia insolita e inquieta con accordi di settima che non risolvono secondo le regole. Il brano presenta una struttura tripartita con una breve introduzione della quale è protagonista l’intervallo di quarta do diesis-fa diesis. Il tema iniziale si distingue per una grande espansione melodica che alla fine si riposa sulla tonica, mentre la parte centrale presenta una scrittura più animata e cromatica. Alla fine è ripreso il tema iniziale. Nella lirica successiva, Au cimetière, dedicata a Herrn Caspari, predomina un sentimento di rassegnazione che, a tratti, presenta toni glaciali ed è accentuato dall’orchestra il cui organico è limitato agli archi e ai soli flauti e clarinetti che accompagnano la voce. La lirica presenta una struttura tripartita con un tema iniziale di carattere modale che, in alcuni momenti, si produce in sospiri e semiminime ribattute, e un secondo tema, apparentemente più recitato, che è accompagnato dall’orchestra in modo più vario con sincopati, con note puntate affidate ai due legni, e cromatismi discendenti. Dopo la ripresa, la lirica si conclude in un’atmosfera rarefatta che riposa sullo sfumato accordo della tonica. Nell’ultima lirica, L’île inconnu, il cui titolo originale è Barcarolle, dedicata a M.me Milde, sembra tornare il clima estroverso della prima. È questa una pagina di carattere vivace e scorrevole sia nella parte del canto che nell’accompagnato degli archi nel quale emergono, per il loro dinamismo, i violoncelli e il fagotto ai quali sono assegnate delle figurazioni rapide. La seconda parte della lirica, di libera struttura bipartita, si distingue per una maggiore partecipazione dell’orchestra che sembra dialogare con la voce. I fiati introducono nuove e brevi idee tematiche.
Durata: 30'
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Amburgo, 1809 - Lipsia, 1847Sinfonia n. 4 in la maggiore “Italiana” op.90
Allegro vivace
Andante con moto
Con moto moderato
Saltarello (presto)
“Finalmente in Italia! Ho pensato ad essa come alla gioia più alta della mia vita, dal momento in cui sono stato in grado di pensare; ora essa è incominciata e ne godo vivendo. La giornata di oggi fu ricca di avvenimenti e siccome soltanto questa sera riesco a raccogliermi un po’, vi scrivo per ringraziarvi, cari genitori, di tutta la felicità che mi avete procurato” (F. Mendelssohn-Bartholdy, Lettere dall’Italia, Torino, Fogola, 1983, p. 69.)
La gioia, che si può leggere in questa lettera indirizzata da Mendelssohn ai propri familiari il 10 ottobre 1830 da Venezia dove era appena giunto, sembra informare il tema iniziale dell’Allegro vivace della Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 “Italiana”, il cui primo abbozzo, relativo alle prime due pagine del primo movimento, risale al periodo trascorso nella nostra penisola per il suo viaggio di istruzione. La Sinfonia, infatti, fu completata a Berlino nell’inverno del 1832 ed eseguita per la prima volta a Londra il 13 maggio 1833 con grande successo che, tuttavia, non eliminò tutti i dubbi del compositore sulla qualità di questo lavoro che fu sottoposto a un rifacimento integrale nel 1838, mai pubblicato in vita dall’autore che, non ancora soddisfatto, si proponeva probabilmente di rivederla altre volte al fine di ottenere una perfezione formale che, a suo giudizio, non aveva raggiunto. La Sinfonia fu pubblicata postuma dalla casa editrice di Lipsia Breitkopf & Härtel nel 1851 e numerata come Quarta dopo la “Scozzese”, che ebbe lo stesso destino. Iniziata, infatti, nel 1829 durante il viaggio di Mendelssohn in Scozia, fu completata nel 1842 dopo l’ultimo rifacimento dell’Italiana, che, in base all’ordine di composizione, avrebbe dovuto essere considerata la Terza.
Questo lungo processo di elaborazione non fu privo di conseguenze e, se è innegabile la presenza di suggestioni e ricordi del viaggio in Italia in alcuni temi e scelte ritmiche, questi vengono trasfigurati e sintetizzati in una superiore purezza formale in cui la solida preparazione contrappuntistica del compositore gioca un ruolo fondamentale. Alcune scelte compositive, come l’utilizzo del Saltarello e l’esposizione di un motivo di carattere processionale nel secondo movimento, possono apparire pretestuose e confacenti a una rappresentazione oleografica e poco sentita dell’Italia che da quel momento in poi sarebbe stata caratterizzata dai compositori stranieri in questo modo nelle cartoline musicali del nostro paese. Berlioz, che ammirò questa sinfonia definendola: “fresca, viva, nobile e magistrale […]. Un pezzo superbo”, non esitò, infatti, a introdurre, rispettivamente nel primo e nel secondo movimento, un saltarello ed un motivo processionale nella sua Sinfonia op. 16 Harold in Italie, composta nel 1834, un anno dopo la prima esecuzione dell’Italiana.
Per quanto, almeno in apparenza, pretestuose, queste scelte compositive conferiscono alla sinfonia una grande unità formale, in quanto il brillante e travolgente ritmo di saltarello non appare soltanto nel celebre Finale, ma caratterizza anche il primo movimento, Allegro vivace in forma-sonata, con la sua freschezza e la sua gaiezza. Un’immagine di gioia è, infatti, quella trasmessa dal primo tema di questo Allegro la cui struttura simmetrica costituisce un’ulteriore testimonianza della grande attenzione prestata da Mendelssohn alla ricerca della perfezione formale. L’elegante secondo tema, esposto dai clarinetti e dai fagotti, deriva dal primo per l’insistenza sull’intervallo di terza e sembra evocare un’immagine marina per il ritmo quasi da barcarola, conferito ad esso dall’utilizzo nella melodia di valori più larghi che contribuiscono a rallentare, almeno per un momento, il travolgente incedere del saltarello, riproposto, quest’ultimo, nella coda. Introdotto da una brillante e veloce figurazione discendente dei primi violini, lo sviluppo inizia con un classico fugato, il cui soggetto, affidato ai secondi violini e costituito da una nuova idea, derivata dal veloce disegno staccato degli archi, diventa il vero protagonista di questa sezione. La ripresa, infine, costituisce un’elegante rilettura dell’esposizione con un’orchestrazione nuova che coinvolge soprattutto il secondo tema, non più esposto dai legni, ma ora affidato alle viole e ai violoncelli.
Il tema del secondo movimento, Andante con moto, è costituito da un canto processionale sulla cui origine sono state formulate varie ipotesi. Secondo Moscheles il tema sarebbe stato tratto da Mendelssohn da un canto di pellegrini di origine cèca, mentre appare alquanto fantasiosa, anche se suggestiva, la tesi secondo la quale il compositore avrebbe utilizzato un tema di un canto processionale del sud Italia. Secondo la tesi più plausibile, questo tema fu tratto da un Lied di Zelter, maestro di Mendelssohn, in quanto esso denuncia un’origine tedesca, in particolar modo, protestante, confermata dal secondo versetto che mostra con maggiore evidenza i suoi legami con il corale luterano. Il carattere solenne e, al tempo stesso, ripetitivo della processione è reso dal moto perpetuo dei violoncelli e dei contrabbassi che accompagnano il tema, interrompendosi nella sezione di transizione che conduce alla parte centrale, contrastante e serena nel dolce motivo dei clarinetti. Il secondo movimento si conclude con la ripresa abbreviata della prima e della seconda sezione, chiusa da una breve coda, in cui sono protagonisti alcuni frammenti del tema iniziale.
Per il terzo movimento, Con moto moderato, sembra che Mendelssohn si sia ispirato alla poesia umoristica, Lilis Park, che Goethe dedicò alla sua amica Lili Schönemann, come si evince da una lettera indirizzata a Fanny il 16 novembre 1830, nella quale si legge:
“L’opera che ora preferisco studiare è Lilis Park di Goethe, soprattutto in tre punti.[…]Voglio farne di Lilis Park uno scherzo per una sinfonia” (F. Mendelssohn-Bartholdy, Op. cit., p. 101),
Da un punto di vista formale questo movimento è di difficile classificazione, in quanto l’andamento, non particolarmente vivace e brillante, farebbe pensare a un minuetto o addirittura a un valzer, ma ciò è contraddetto dalla testimonianza citata in precedenza nella quale il compositore parlò esplicitamente di uno scherzo. Certamente Mendelssohn, in questo movimento, ha costruito una pagina di aureo classicismo che non ha nulla da invidiare ai più importanti esempi mozartiani. In particolare il minuetto della Jupiter sembra il modello più vicino a questa pagina soprattutto per alcune scelte di scrittura come, per esempio, l’incantevole melodia dello “scherzo” e il tema del trio che rilegge il precedente mozartiano per moto contrario e con una leggera variazione ritmica.
L’ultimo movimento, Presto, è costituito da un Saltarello napoletano, con il quale Mendelssohn ha voluto rendere omaggio a quella parte brillante, impetuosa e solare del carattere latino che solitamente è attribuita, in modo stereotipato, ad alcune popolazioni meridionali. Un prorompente gesto teatrale, che prepara il travolgente ritmo della danza, introduce, su un semplicissimo pedale di tonica, il famosissimo tema, esposto inizialmente dai due flauti, che, come una coppia di ballerini, si esibiscono in virtuosismi coreografici e contagiano prima una nuova coppia (i due clarinetti) e, infine, l’intera piazza (tutta l’orchestra), che non può fare a meno, in un crescendo di eccitazione, di unirsi ai solisti. Un sinuoso e brillante disegno degli archi caratterizza il primo episodio confermando, inizialmente, almeno in apparenza il clima festoso del brano, interrotto, tuttavia, da una nuova idea misteriosa e interrogativa che sembra far di tutto per evitare la tonica, l’accordo solare della quiete e della gioia. Nell’animo del compositore, pur nel clima festoso, sembra insinuarsi un sentimento di nostalgia del quale non sa liberarsi nemmeno quando la coppia iniziale (i due flauti) ritorna freneticamente a danzare, interrotta da una nuova e travolgente idea tematica affidata agli archi che diventa protagonista del secondo episodio. Il carattere travolgente di questo episodio conduce alla ripresa del tema principale nella tonalità maggiore, ma la successiva coda, con il progressivo ritorno alla tonalità minore iniziale, conferma una malcelata nostalgia.
Durata: 27'
Hector Berlioz
La Côte-Saint-André, 1803 - Parigi, 1869Il Carnevale romano (Le carnaval Romain), ouverture op. 9
Saltarello, Andante sostenuto, Saltarello
“Si tributò all’ouverture un successo esagerato e si fischiò tutto il resto con un accordo e un’energia ammirevoli. Comunque l’opera venne replicata per tre volte, dopodiché, Duprez, avendo creduto di dover abbandonare il ruolo di Benvenuto, scomparve dal cartellone e non vi riapparve che molto tempo dopo”.
Con queste parole, non prive di una certa amarezza, Berlioz avrebbe ricordato in seguito nei suoi Mémoires la fredda accoglienza riservata alla sua opera Benvenuto Cellini alla prima rappresentazione, avvenuta all’Opéra di Parigi il 10 settembre 1838 sotto la direzione di Habeneck. L’opera, pur trovando in seguito tra i suoi estimatori Franz Liszt, che nel 1852 ne mise in scena una nuova versione approntata da Berlioz, non riscosse mai il successo sperato dal compositore francese che, tuttavia, aveva creduto in questa partitura forse troppo moderna per essere compresa ed eseguita in modo corretto nel 1838. Habeneck, pur essendo un grande direttore d’orchestra, non era riuscito, infatti, a superare alcune difficoltà tecniche che presentava il brillante Saltarello dell’atto secondo, come ricordò lo stesso Berlioz:
“Quando arrivammo alle prove con l’orchestra, i musicisti, vedendo l’aria accigliata di Habeneck, si ritirarono alla mia vista nel più freddo riserbo. Loro facevano il loro dovere tuttavia. Habeneck faceva male il suo. Egli non riuscì mai ad arrivare a cogliere la brillante velocità del Salterello danzato e cantato a piazza Colonna nel mezzo del secondo atto. I ballerini non riuscivano ad adattarsi al suo andamento strascicato, venendo a lamentarsi con me e io gli ripetevo: ‘Più presto! Più presto! Animate dunque!’. Habeneck, irritato, colpiva il suo leggio e rompeva la sua bacchetta. Infine, dopo averlo visto abbandonarsi a quattro o a cinque eccessi di collera simili, io finii per dirgli con un sangue freddo che lo esasperò: ‘Mio Dio, signore, voi potrete rompere cinquanta bacchette, cosa che non impedirà al vostro movimento di essere la metà più lento. Si tratta d’un Salterello’. In quel momento Habeneck si fermò e girandosi verso l’orchestra: ‘Dal momento che io non ho la fortuna di accontentare il signor Berlioz, disse egli, noi ci fermeremo qui per oggi, voi potete ritirarvi’. La prova si concluse così. Qualche anno dopo, quando io ebbi scritto l’ouverture del Carnevale romano il cui Allegro ha per tema questo stesso Salterello, che egli non era mai riuscito a far più veloce, Habeneck si trovava nel foyer della sala Herz la sera del concerto in cui doveva essere ascoltata per la prima volta questa ouverture. Egli aveva appreso che alla prova del mattino, l’assistente della guardia nazionale mi aveva tolto una parte dei musicisti, noi avevamo provato senza gli strumenti a fiato: ‘Bene, aveva detto tra sé, ci sarà qualche catastrofe nel suo concerto, bisogna andare a vederlo’. Presentandomi all’orchestra, in effetti, tutti gli artisti che avevano la parte degli strumenti a fiato mi attorniarono spaventati dall’idea di suonare davanti al pubblico un’ouverture che a loro era integralmente sconosciuta. ‘Non abbiate paura, dissi loro, le parti sono corrette, voi siete tutte persone di talento, guardate la mia bacchetta più frequentemente possibile, contate bene le pause e andrà’. Non vi fu un solo errore. Io lanciai l’allegro nel movimento vorticoso dei ballerini trasteverini; il pubblico gridò bis; noi ricominciammo l’ouverture; essa fu eseguita ancor meglio la seconda volta e rientrando nel foyer dove si trovava Habeneck un po’ deluso, io gli lanciai passandogli accanto queste quattro parole: ‘Ecco che cos’è!’. Non ebbe il coraggio di rispondere. Io non ho mai sentito più intensamente che in quell’occasione la felicità di dirigere da me stesso l’esecuzione della mia musica; il mio piacere raddoppiava al solo ricordo di ciò che Habeneck mi aveva fatto passare”.
Certamente il successo della prima esecuzione del Carnevale romano, avvenuta nella Sala Herz di Parigi il 3 febbraio 1844, rappresentò, anche per le difficoltà in cui maturò, una bella rivincita per Berlioz sia come direttore d’orchestra che come compositore. Egli era riuscito a dirigere il diabolico saltarello che per Habeneck aveva presentato delle difficoltà insormontabili e, inoltre, aveva recuperato una parte della musica di quel Benvenuto Cellini che era stato, a suo giudizio, ingiustamente accolto con eccessiva freddezza. Indicato, poi, da Berlioz come seconda ouverture da eseguirsi ad libitum prima del secondo atto del Benvenuto Cellini, il Carnevale romano è il frutto della delusione per lo scarso successo tributato a un’opera in cui egli aveva molto creduto, e del tentativo di rilanciare alcuni brani del melodramma tra cui il duetto del primo atto di Cellini e Teresa, Oh Teresa, vous que j’aime plus que ma vie e il coro carnevalesco Venez, venez peuple de Rome.
Quest’ouverture si apre proprio con il tema del Salterello che, esposto dagli archi, è ripreso in canone prima dai legni e poi dagli ottoni. Il travolgente incipit cede subito il posto alla rappresentazione dell’amore con la melodia del duetto tra Cellini e Teresa tratta dall’atto primo dell’opera e qui affidata, prima, alla calda ed espressiva voce del corno inglese e, poi, ai violoncelli e alle viole da una parte e ai violini primi e secondi dall’altra che, riprendendo in canone il tema precedentemente esposto, rappresentano efficacemente le anime vibranti di passione dei due giovani amanti. Tre misure più animate, di cui sono protagonisti i legni e le percussioni in una strumentazione quasi bandistica, introducono il celeberrimo e travolgente saltarello che, tratto da alcune scene del secondo atto dove veniva rappresentata la festa del Carnevale in piazza Colonna, costituisce una testimonianza dello straordinario virtuosismo orchestrale di Berlioz.
Riccardo Viagrande
Durata: 10'