Britten, Ghedini & Stravinskij
Gianna Fratta, direttrice
Ars Trio di Roma (Laura Pietrocini, pianoforte - Marco Fiorentini, violino - Valeriano Taddeo, violoncello)
Giampiero Mancini, voce recitante
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Programma
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Benjamin Britten
(Lowestoft, 1913 - Aldeburgh 1976)Quattro interludi marini da "Peter Grimes", op.33a
Dawn (Alba)
Sunday Morning (Domenica mattina)
Moonlight (Chiaro di luna)
Storm (Tempesta)
La prima rappresentazione del Peter Grimes di Benjamin Britten al Sadler’s Wells di Londra il 7 giugno 1945 con la direzione di Reginald Goodall e con l’interpretazione del tenore Peter Pears, segnò l’alba di una nuova era per la storia del teatro musicale inglese, finalmente emancipato dal dominio della produzione operistica europea. Il successo di critica e di pubblico, arriso alla prima londinese, si ripeté alla première americana avvenuta al Berkshire Festival di Tanglewood nel 1946 dove a salire sul podio fu un allora sconosciuto Leonard Bernstein, allievo preferito del direttore russo-americano Sergej Koussevitzky. Nello stesso anno della prima americana e precisamente il 3 aprile la National Symphony Orchestra, diretta da Hans Kindler, eseguì i Quattro interludi marini che Britten trasse dall’opera insieme ad una Passacaglia in cui è descritto il carattere contrastante di Grimes, ora violento e capriccioso, ora gentile e passionale.
L’argomento del Peter Grimes è tratto da The Borough, un’opera di George Crabbe, da Britten conosciuto fino dal 1941 quando su una rivista aveva letto un articolo di E. M. Forster sul poeta inglese del XVIII sec., come egli stesso avrebbe ricordato in seguito:
“Io non conoscevo niente dei poemi di Crabbe in quel tempo, ma leggere su di lui mi provocò un sentimento di nostalgia per Suffolk, dove io ero vissuto da sempre, che cercai una copia dei suoi lavori e iniziai con The Borough. Il ‘Poeta completamente inglese’ evocava un desiderio intenso per le realtà di quella austera ed eccitante costa attorno ad Aldeburgh”.
La lettura del poema di Crabbe fece maturare nel compositore il progetto di un’opera incentrata sul protagonista, Peter Grimes, la cui storia suscitava il suo interesse, come egli stesso spiegò:
“Per la maggior parte della mia vita io ho vissuto strettamente a contatto con il mare. La casa dei miei genitori a Lowestoft si affacciava direttamente sul mare e la mia vita di bambino fu colorata dalle violente tempeste che alcune volte spingevano le navi sulla nostra costa ed erodevano strisce delle vicine scogliere. Nello scrivere Peter Grimes io volevo esprimere la mia consapevolezza dell’eterna lotta degli uomini e delle donne la cui sopravvivenza dipende dal mare – anche se è difficile trattare un tale tema universale in forma teatrale”.
Sarà proprio la nuova ideologia socialista, comune a Britten e al librettista Montagu Slater, insieme alla scelta di creare il personaggio per la vocalità di Peter Pears, compagno d’arte e di vita del compositore inglese, a trasformare lo statuto teatrale del protagonista; ecco allora che la sinistra figura di Peter Grimes, emarginato dai suoi concittadini per la sua natura violenta e rappresentato nel poema di Crabbe come una specie di mostro, si trasforma in una vittima dei pregiudizi della gente e del suo bisogno spasmodico di migliorare la sua condizione sociale.
Hanno trovato posto nel repertorio sinfonico i quattro Interludi marini, il primo dei quali, The Dawn (L’alba), si colloca subito dopo il prologo e si riferisce ad un desolato paesaggio marino alle prime luci dell’alba rappresentato da una serie di interessanti effetti ottenuti con i vari stramenti; i violini all’unisono e i flauti sembrano evocare il solitario canto del gallo e, al tempo stesso, disegnare con le loro arcate le volte del cielo sopra il mare increspato dalle onde sospinte dal vento che spira negli arpeggi dell’arpa e dei clarinetti. L’apparente calma iniziale viene, però, minata dal sinistro ingresso degli ottoni che, in modo misterioso, mettono in evidenza il carattere pericoloso del mare con la sua violenza.
Con il secondo interludio viene sovvertito, in questa suite, l’ordine dei brani nell’opera, in quanto al posto di The Storm (La tempesta), è inserito il preludio al secondo atto, Sunday Morning (Domenica mattina), nel quale, in forma di toccata, è ritratto il villaggio vicino al mare dove è ambientata l’opera. Il giorno di festa è reso, nella parte iniziale, dai corni i quali sembrano evocare il suono festante delle campane che accompagnano le persone mentre vanno in chiesa. Un tema dolce e contrastante emerge nella parte delle viole e dei violoncelli e si alterna al suono delle campane in un tripudio di timbri.
Il terzo interludio, Moonlight (Chiaro di luna), che, nell’opera introduce il terzo atto, inizia con un esitante corale per rappresentare una situazione che potremmo definire, con un’espressione dantesca, l’ondeggiar della marina. Gli archi con dei pizzicati sembrano evocare le gocce d’acqua, mentre un tema cantabile rende efficacemente i pallidi raggi lunari che attraversano le nuvole. Tromba e xilofono turbano solo per un istante il momento di pace notturna, perfettamente rappresentata dalla dolcissima conclusione dell’interludio.
L’ultimo interludio, The Storm (La Tempesta), che, nell’opera, costituisce il preludio all’atto primo, è un magnifico Rondò con tre episodi in cui Britten fa ricorso a tutti i timbri orchestrali e ad una scrittura bitonale per rappresentare la forza e la violenza del temporale rese dalle trombe e dai tromboni. Nel terzo episodio sembra che un pallido sole possa squarciare il velo delle nubi quando una parte dell’orchestra esegue un ostinato in pianissimo, ma, alla fine, la tempesta prevale con la sua forza minacciosa per la sicurezza delle persone e delle cose.
Durata: 15'
Giorgio Federico Ghedini
Cuneo 1892 - Nervi 1965Concerto dell'Albatro per violino, violoncello, pianoforte, voce recitante e orchestra - Testo dal "Moby Dick" di Melville
Largo
Andante un poco mosso
Andante sostenuto
Allegro vivace
Andante
Allievo a Bologna, per quanto riguarda la composizione, di Marco Enrico Bossi, Giorgio Federico Ghedini, nonostante vengano eseguiti pochi lavori della sua vastissima produzione, fu certamente una delle personalità più importanti del panorama musicale del Novecento, avendo svolto un'intensa attività non solo compositiva, ma anche didattica annoverando tra i suoi allievi musicisti illustri come Luciano Berio, Marcello e Claudio Abbado, Alberto Bruni Tedeschi, Fiorenzo Carpi, Carlo Pinelli e Liliana Renzi. Appassionato di musica antica, Ghedini non solo trascrisse e rielaborò lavori di numerosi autori del Rinascimento e del Barocco, ma si ispirò ad essi anche nelle sue composizioni originali. Ciò è evidente in una delle sue opere più significative, il Concerto dell'Albatro per violino, violoncello, pianoforte, voce recitante e orchestra che, composto nel 1945 alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si ispira, per quanto riguarda la struttura, alla forma del concerto grosso con i tre solisti, che fungono da concertino, i quali dialogano con l'orchestra che, costituita dagli archi, da un ottavino, da due tromboni, dai timpani e dalle percussioni, evoca perfettamente l'immagine dell'Oceano, immenso, gelido e sinistro. Fonte d'ispirazione di questo concerto è, infatti, un celebre episodio del romanzo Moby Dick di Herman Melville nel quale è descritto l'incontro con un albatro, metafora del divino, sulla tolda del Pequod con l'uomo, ignaro del suo destino.
Protagonista del primo (Largo) dei cinque movimenti, di cui si compone il concerto, è con la sua inquietante grandezza l'Oceano sul quale si muove la piccola baleneria. L’Oceano è qui rappresentato da una melodia affidata inizialmente agli archi e ripresa dai tre solisti. Nel secondo movimento, Andante un poco mosso, che segue senza soluzione di continuità, viene rappresentato il carattere tempestoso dell'Oceano, metafora della tempesta dei sentimenti che agitano l'animo del protagonista, incapace di raggiungere, con le proprie forze, la meta e destinato a vagare. Protagonista del terzo movimento, Andante sostenuto, è, invece, il capitano Achab che trascorre la notte insonne passeggiando sul ponte. Il suo incedere è reso dal ticchettio degli archi che riproduce quello della gamba del capitano, fatta di osso di balena. Nel quarto movimento, Allegro vivace, si assiste alla caccia alla balena, rappresentata con una densa scrittura contrappuntistica, in alcuni passi, caratterizzata da un forte impulso ritmico, che sfocia, alla fine, in un corale di legni e ottoni. Nell'ultimo movimento, Andante, nel quale interviene il narratore Ismaele che interpreta alcuni passi del romanzo di Melville, è descritto l'incontro con l'Albatro attraverso una scrittura di carattere contemplativo.
Durata: 28'
Igor' Fëdorovič Stravinskij
Lomonosov, 1882 - New York, 1971La sagra della primavera (Le sacre du printemps), quadri della Russia pagana, in due parti
Prima parte, L’adorazione della terra: Introduzione; Gli auguri primaverili; Danze degli adolescenti; Gioco del rapimento; Ronde primaverili; Giochi delle città rivali; Corteo del Saggio; Adorazione della terra (il Saggio); danza della terra
Seconda parte, Il sacrificio; Introduzione; Cerchi misteriosi degli adolescenti; Glorificazione dell’Eletta; Evocazione degli antenati; Azione rituale degli antenati; Danza sacrificale (l’Eletta)
“Che la prima rappresentazione del Sacre du printemps sia stata accompagnata da uno scandalo è un fatto notorio. Comunque, per quanto possa sembrare strano, io stesso non mi aspettavo una simile esplosione. Le reazioni dei musicisti che venivano alle prove d’orchestra non la facevano certo presagire, e lo spettacolo scenico non appariva tale da dover far scoppiare una rivolta […]. Fin dall’inizio della rappresentazione si sentirono moderate proteste contro la musica. Poi, quando il sipario si aprì sul gruppo di Lolite con gambe ad X e lunghe trecce, che saltavano su e giù (Danse des adolescentes), la tempesta scoppiò. Dietro di me gridavano – Ta gueule –. Udii Florent Schmitt urlare: - Taisez-vous garces du seizième –; le «garces» del sedicesimo arrondissement erano, naturalmente, le signore più eleganti di Parigi. Comunque il tumulto continuava, e pochi minuti dopo lasciai furioso la sala; ero rimasto fino ad allora seduto nelle prime file a destra vicino all’orchestra, e ricordo di aver sbattuto violentemente la porta. Non sono mai più stato arrabbiato come allora. Quella musica mi era talmente familiare! Mi piaceva molto e non potevo capire perché gente che non l’aveva ancora sentita volesse protestare in anticipo. Arrivai con furia dietro il palcoscenico, dove vidi Djagilev che faceva manovrare le luci in sala nell’ultimo sforzo di far tornare la calma in teatro”.
Erano trascorsi quasi cinquant’anni dalla prima del Sacre du printemps avvenuta il 29 maggio 1913 al Théatre des Champ-Elysées nell’ambito della stagione organizzata dalla compagnia dei Balletti Russi fondata e diretta da Sergej Djagilev, ma erano ancora vive, in questa intervista rilasciata da Stravinskij al direttore d’orchestra statunitense e suo allievo Robert Craft, la memoria e la rabbia per la pessima accoglienza riservata dal pubblico parigino a questo suo lavoro. La prima esecuzione del Sacre du printemps, la cui traduzione corretta sarebbe Rito della primavera e non Sagra, titolo con cui è conosciuta in Italia, suscitò, infatti, uno scandalo incomprensibile, soprattutto se si considera che la Sagra, come ha notato il musicologo Roman Vlad, sarebbe diventata presto una delle opere più celebrate di tutta la moderna letteratura musicale. Il pubblico della prima esecuzione non comprese l’impostazione rivoluzionaria di un’opera che, con i suoi accordi sovrapposti di diverse tonalità e le sue sonorità violente, comunque non tali da offuscare i timbri dei singoli strumenti, esaltati, invece, nella loro individualità, tendeva alla creazione di una musica a tratti aspra, ma di vibrante intensità. Un linguaggio originale è evidente anche nelle melodie di dimensioni ridotte ma ripetute in modo ossessivo e inserite in una struttura ritmica vitalistica e violenta. Il balletto segue un programma letterario la cui prima idea si materializzò nella mente di Stravinskij quasi in modo spontaneo, come egli stesso dichiarò nelle sue memorie autobiografiche, Chroniques de ma vie:
“Un giorno […] intravidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. Fu il tema del Sacre du printemps”.
Su questo tema di carattere primitivo influenzato dal fauvismo, un movimento artistico che auspicava il recupero di tutto ciò che era ritenuto, appunto, primitivo, Stravinskij scrisse a quattro mani con il pittore Roerich il soggetto che si fonda su un rito pagano dell’antica Russia secondo il quale una giovane fanciulla, chiamata L’Eletta, danza fino alla morte di fronte ad un gruppo di saggi che la osservano e offre, così, in sacrificio la sua vita per propiziare il dio della primavera.
Da un punto di vista macroformale questo lavoro, diviso in due parti, delle quali la prima, L’adorazione della terra, comprende un’introduzione e sette movimenti, mentre la seconda, Il Sacrificio, un’introduzione e sei movimenti, si presenta come una monumentale suite. Il carattere percussivo e, al tempo stesso, vitalistico e violento di questo lavoro è esemplificato nell’incipit del secondo tempo della prima parte, Auguri primaverili. Danze di adolescenti, nel quale Stravinskij si avvalse di una scrittura politonale costituita dalla sovrapposizione di due accordi posti a distanza di semitono e ripetuti in modo ossessivo. La ripetizione di elementi tematici, l’uso percussivo di una compagine orchestrale dall’organico monumentale, la scrittura politonale, perfettamente attuati secondo le intenzioni del compositore, contribuiscono a suscitare nell’animo degli ascoltatori immagini di rara potenza emotiva e impulsi primordiali, barbarici, connessi a riti antichi e ancestrali. Su questo tumulto di suoni e di emozioni si stagliano rari e delicati momenti lirici, di cui un esempio è la melodia, nell’Introduzione della prima parte, affidata al fagotto in un registro insolitamente acuto la cui struttura anametrica, con un ritmo in continua costruzione, esprime perfettamente una materia primordiale e informe che man mano si materializza. Di grande suggestione è l’ultimo tempo, la Danza sacrificale dell’Eletta, dove tutta l’orchestra esplode con selvaggia potenza attraverso ritmi ossessivi e coinvolgenti.
Riccardo Viagrande
Durata: 35'