Ettore Pagano / Elgar / Brahms

Diego Ceretta, direttore

Ettore Pagano, violoncello

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    10 Maggio 2024

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    25 - 15 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    11 Maggio 2024

    Ore

    17,30

    Durata

    80min.

    Prezzi

    25 - 15 €

    Calendario

  • Programma

  • Edward William Elgar
    Broadheath 1857 - Worcester 1934

    Concerto in mi minore per violoncello e orchestra op.85

    Adagio, Moderato

    Lento, Allegro molto

    Adagio

    Allegro, Moderato, Allegro ma non troppo, Poco più lento, Adagio.

     

    Periodo di composizione: Giugno – Agosto 1919

    Prima esecuzione: Londra, Queen’s Hall, 27 ottobre, 1919. Il 18 gennaio si apre a Parigi la conferenza di Pace con la quale si aprono i negoziati che porteranno alla fine della Prima Guerra Mondiale.

     

    “Aveva un fortissimo dolore da parecchi giorni. Non c’era nulla di simile ai sedativi che abbiamo ora, ma nonostante ciò si è alzato una mattina ed ha chiesto la matita e la carta ed ha annotato il tema del Concerto per violoncello”.

    Da questo ricordo, lasciatoci da Carice, figlia del compositore, sul primo abbozzo del Concerto per violoncello e orchestra, conosciamo lo stato di malessere in cui Elgar versava quando si accinse a comporre quest’opera che costituisce l’ultimo grande capolavoro per orchestra del compositore inglese. Elgar aveva trascorso, infatti, uno dei periodi più difficili della sua vita, in quanto allo stato di frustrazione causato dalla Prima Guerra Mondiale, che sembrava aver inaridito la sua vena compositiva, si era aggiunto, nel marzo del 1918, una tonsillectomia, pericolosa per un uomo di sessant’anni, ma resa necessaria per il suo precario stato di salute. A maggio Elgar, insieme alla moglie Alice e alla figlia Carice, ritornò a risiedere in Sussex, in un cottage di nome Brinkwells, scelto già nell’estate precedente come luogo di rifugio durante i momenti bui e tristi della guerra che aveva fatto maturare in lui la convinzione che dopo quei terribili momenti la vita in Europa sarebbe stata diversa e che anche la musica non sarebbe stata più la stessa. Ciò lo aveva quasi indotto a ritirarsi dalla sua attività di compositore, ma, nell’agosto del 1918, Elgar, rinfrancato dall’ambiente particolarmente salubre del luogo non molto lontano dal villaggio di campagna di Fittlewoth, comunicò alla famiglia il desiderio di farsi portare un suo vecchio Steinway verticale per riprendere a comporre. Disponendo del pianoforte, Elgar incominciò a lavorare alle sue tre più importanti composizioni da camera, la Sonata per violino e pianoforte op. 82, il Quartetto d’archi in re minore op. 83 e il Quintetto con pianoforte in la minore op. 84.

    Eccezion fatta per la citata testimonianza della figlia, non si conosce quando Elgar si accinse a comporre i primi abbozzi del concerto, ma è possibile ricostruirne la genesi grazie ad alcune lettere e ad alcune testimonianze. È certo, infatti, che il 2 giugno del 1919, giorno del sessantaduesimo compleanno di Elgar, il Concerto era già a buon punto come lo stesso compositore disse all’amico direttore d’orchestra Landon Ronald che gli aveva telefonato per fargli gli auguri. La parte del violoncello, inoltre, doveva essere pronta tre giorni dopo quando il violoncellista Felix Salmond, primo interprete del concerto, la provò, come annotò la figlia: “Felix Salmond si dilettò molto ed era entusiasta”. Con rinnovate energie Elgar, nei giorni successivi, lavorò al Concerto instancabilmente non fermandosi nemmeno di fronte all’eventualità di alzarsi anche alle 5 del mattino e lo completò alla fine di luglio come scrisse in una lettera indirizzata a Sidney Colvin. Nella stessa lettera, inoltre, manifestando il desiderio di dedicare l’opera proprio a Sidney Colvin e alla moglie Frances, espresse la volontà di dirigerla personalmente e di affidare la parte del solista a Felix Salmond. Il Concerto fu eseguito, infatti, per la prima volta, dalla London Symphony Orchestra al Queen's Hall il 27 ottobre del 1919 sotto la direzione dello stesso Elgar e con Felix Salmond al violoncello.

    Il Concerto presenta un carattere nobile, segnato all’inizio della partitura nell’indicazione dinamica nobilmente apposta nella parte del solista. Il primo movimento si apre con un Adagio introduttivo di cui il protagonista indiscusso è il violoncello che si presenta al pubblico con tre accordi, dei quali gli ultimi due sono costruiti su tutte e quattro le corde dello strumento. Il carattere enfatico di questa parte introduttiva è smentito dal primo tema del successivo Moderato per la cui composizione Elgar non si avvalse della classica forma-sonata, ma di quella semplicissima della canzone tripartita. Questo tema principale, affidato alle viole, costituisce probabilmente il primo abbozzo del concerto a cui aveva fatto riferimento Carice e, con il suo carattere fluttuante, sembra manifestare la malinconia del compositore per un mondo perduto e ormai irrimediabilmente distrutto dalla guerra. Tutta la prima sezione è occupata dall’esposizione del primo tema, che dalle viole passa al solista e ai violini primi e secondi per essere perorato, infine, da tutta l’orchestra. Il secondo tema, esposto in una scrittura dialogica tra legni, archi e solista, è il protagonista della appassionata seconda sezione. La ripresa del primo tema conclude, infine, il primo movimento. Non molto diverso è l’incipit del secondo movimento, Lento-Allegro molto, dove gli accordi iniziali del primo movimento sono ripresi nelle prime due battute introduttive, interrotte dal tema ribattuto dell’Allegro molto che non si afferma subito, ma cede il posto a una cadenza pensosa del violoncello il quale, alla fine, si lascia andare a quella che sembra una rievocazione della meravigliosa campagna del Sussex dove, con alcune interruzioni, Elgar visse negli anni compresi tra il 1917 e il 1919. Sembra che il carattere spensierato di questo tema, che in modo onomatopeico richiama il canto degli uccelli, possa affermarsi soltanto in un momento, in questo movimento appunto, e con una certa difficoltà. Il brevissimo terzo movimento, Adagio, è costituito da una delicatissima romanza senza parole che, partendo da un impalpabile pianissimo, raggiunge il suo punto culminante nella parte centrale per poi scemare nel Finale che si conclude insolitamente sull’accordo della dominante (fa maggiore) di si bemolle maggiore, tonalità d’impianto dell’intero movimento. Il quarto movimento (Allegro, Moderato, Allegro ma non troppo) si collega al primo per la struttura del tema che deriva da quello del recitativo originario, esposto inizialmente dall’orchestra in una forma brillante per essere ripreso dal violoncello in una versione che presenta un carattere eroico. Il primo tema dell’Allegro ma non troppo, che, dal punto di vista formale si presenta come una sintesi tra il rondò-sonata e la forma del tema e variazioni, ha un carattere brillante che contrasta con l’enfasi melodica della seconda idea. La parte centrale dell’Allegro costituisce la vera e propria sezione virtuosistica la cui regolare struttura melodica è una variazione brillante del tema iniziale. Un’ulteriore variazione del tema costituisce una falsa ripresa di quello iniziale che, alla fine, ritorna nella sua forma originaria, come anche il secondo tema. La coda (Poco più lento e lento) introduce la ripresa del recitativo del primo movimento descrivendo, in questo modo, un cerchio perfetto e conferendo all’opera una grande unità formale e d’ispirazione. A tale proposito la ripresa, nel finale, del brillante tema di quest’ultimo movimento costituisce un’ulteriore conferma del carattere unitario dell’opera.

    La morte dell’amata moglie, avvenuta alcuni mesi dopo, allontanò quasi definitivamente Elgar dalla sua attività compositiva e, così, Il Concerto per violoncello e orchestra rimane l’ultima grande opera per orchestra del compositore inglese. A confermare il carattere di testamento artistico, che sembra avere il Concerto, si narra un aneddoto secondo il quale Elgar, ormai sul letto di morte, dopo avere canticchiato ad un amico il tema di apertura, disse:

    “Se mai dopo che io sono morto, tu ascolterai qualcuno fischiettare questo motivo sul Malvern Hills, non allarmarti. Sono proprio io”.

    Durata: 30'

    Johannes Brahms
    Amburgo, 1833 - Vienna, 1897

    Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90

    Allegro con brio

    Andante

    Poco allegretto

    Allegro

     

    Periodo di composizione: Wiesbaden, Agosto 1893

    Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinssaal, 2 dicembre 1883. Il 22 ottobre era stato inaugurato a New York il Metropolitan Opera House.

     

    “Non so dire quale movimento prediligo. Nel primo mi abbaglia il brillio dell’alba che sorge, raggi di sole che tremano fra gli alberi mentre tutto si apre alla vita. Il secondo è puro idillio […]. Il terzo assomiglia ad una perla, una perla grigia simile ad una lacrima melanconica. Poi la passione dell’ultimo tempo: una tale bellezza da togliermi la parola”.

    Così Clara Schumann, in questa lettera indirizzata a Brahms, precisò, con rara efficacia descrittiva, le immagini e le emozioni suscitate in lei dalla Terza sinfonia, tanto intense e ineffabili da toglierle la capacità di profferire parola. Clara Schumann aveva avvertito la presenza, in questa sinfonia, di toni idillici e leggendari oltre a echi del paesaggio renano e dello stesso parere fu Claude Rostand il quale scrisse:

    “Delle quattro la Terza Sinfonia è forse quella dove Brahms ha più riversato di se stesso, del se stesso più intimo e profondo e dove il suo carattere di tedesco del Nord si è più messo in luce in tutti i suoi aspetti: ardore epico e fantastico da leggenda, tenerezza e malinconica poesia tipica dei romanzi di Theodor Storm. Se così si può dire, è la più stormiana delle 4 sinfonie, quella dove si ritrovano i ricordi delle saghe alle quali Brahms si era molto accostato durante la giovinezza. Vi si trova anche il ricordo dei paesaggi nei pressi della foce dell’Elba, della costa frisone, dello Schleswig-Holstein”.

    Con un tono più moderato si era espresso, invece, il compositore Ferruccio Busoni il quale, dopo la prima esecuzione avvenuta a Vienna presso la Società Filarmonica il 2 dicembre 1883 sotto la direzione di Hans Richter, pur non negando il valore e gli aspetti positivi dell’opera, scrivendo sull’«Indipendente» di Trieste, di cui era corrispondente nella capitale asburgica, aveva avanzato delle riserve:

    “Il primo tempo, energico ed eroico, ha del Beethoven; i tempi di mezzo non reggono invece il confronto con gli altri due mentre il Finale, dapprima pieno di fuoco e di vita, chiude piuttosto fiacco. Tutto ciò non toglie che questa sinfonia debba essere annoverata tra le grandi creazioni moderne, benché non ci si possa astenere dall’asserire che essere il più grande in un’epoca in cui tutti sono piccoli non è difficile; e che scienza e profondità non bastano a mascherare povertà d’invenzione”.

    Il giudizio di Busoni, alquanto critico e, per alcuni aspetti, severo, fu immediatamente smentito dal successo arriso alla sinfonia che in tutta Europa passò di trionfo in trionfo suscitando la meraviglia dello stesso autore che la definì la sinfonia disgraziatamente troppo celebre. Alla composizione della musica di questa sinfonia, sempre oggetto di giudizi contraddittori e paragonata da Richter e da Hanslick all’Eroica di Beethoven, contribuì certamente il periodo particolarmente felice trascorso da Brahms nell’estate del 1883 a Wiesbaden dove si era ritirato in compagnia di Hermine Spies, una giovane cantante che, qualche mese prima, aveva interpretato il suo Lied Serenata inutile. La Terza sinfonia nacque, quindi, in un momento di grande serenità e in un luogo alquanto singolare così descritto da Brahms in una lettera indirizzata a Billroth:

    “Mi sono insediato in un posto incredibile. Si potrebbe pensare che abbia ereditato i gusti di Wagner, se si venisse a sapere che lo studio che occupo era l’atelier di un pittore. Un ambiente decisamente singolare: altissimo, fresco, luminoso”.

    A conferma di questa condizione di felicità lo stesso Brahms fece notare che le tre note iniziali (fa-la bemolle-fa) corrispondevano alle tre lettere musicali F.A.F. abbreviazione del motto Frei aber froh (libero ma felice).

    Il primo movimento, Allegro con brio, in forma-sonata, si impone per il celebre attacco di grande effetto drammatico e per il motto di tre note esposto dai legni nella sezione acuta. Da questo motto iniziale nascono gli altri due temi, dei quali il primo è di carattere popolare, mentre il terzo, affidato all’oboe, è estremamente dolce. Il secondo movimento, Andante, si staglia come un’oasi di serenità e di riposo, dopo il momento di forte tensione drammatica, con una scrittura liederistica che si associa al gusto della variazione. Famosissimo è il tema che apre il terzo movimento, Allegretto, di carattere fondamentalmente melodico e lirico sia nella struttura del primo tema, simile a quello delle Danze ungheresi, sia in quella del secondo in cui è prevalente un carattere lirico. Sintesi dell’intera sinfonia, soprattutto perché in esso convergono gli spunti drammatici del primo movimento e le zone elegiache degli altri, il Finale, Allegro, è caratterizzato dall’esposizione di tre temi crudi, drammatici che, insieme ad altre idee secondarie, contribuiscono a formare il grandioso sviluppo. Non meno importante e grandiosa è la coda che si conclude con un dolcissimo accordo di fa maggiore in pianissimo di consolante serenità.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 36'