R. Strauss & Schubert
Marcus Bosch, direttore
Dimitri Ashkenazy, clarinetto
Paolo Carlini, fagotto
23° Concerto in abbonamento
Direttore:
Marcus Bosch
Clarinetto:
Dimitri Ashkenazy
Fagotto:
Paolo Carlini
Tra il celebre poema sinfonico del trentacinquenne Strauss e il Duet-Concertino così raramente eseguito passano 53 anni e due Guerre Mondiali. L’estrema produzione di Strauss, intrisa di malinconia e di ricordi struggenti, pare qui voler riecheggiare il concerto grosso e lo stile galante con la sapienza dei vecchi e dei sopravvissuti. L’eternamente giovane e caro agli dei, Schubert, conclude con l’Incompiuta.
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Programma
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Richard Strauss
Monaco di Baviera, 1864 - Garmisch-Partenkirchen, 1949Tod und Verklärung (Morte e trasfigurazione), poema sinfonico op. 24
Largo-Allegro molto agitato-Meno mosso sempre alla breve-Largo-Allegro molto agitato-Moderato
“Fu sei anni fa che mi capitò di presentare nella forma di un poema sinfonico le ore prossime alla morte di un uomo che aveva combattuto per i più idealistici fini, forse proprio quelli di un artista. L’uomo malato giace nel letto, addormentato, con un respiro pesante e irregolare; amichevoli sogni fanno sorgere un sorriso sui lineamenti di un uomo profondamente sofferente; questi si sveglia; è una volta di più torturato da orribili agonie; le sue membra sono scosse dalla febbre – appena l’attacco passa e le pene lo lasciano, i suoi pensieri vagano nella sua vita passata; la fanciullezza passa prima; il tempo della sua giovinezza con le sue lotte e le sue passioni e allora, appena le pene già incominciano a ritornare, gli appare il frutto del cammino della sua vita, la concezione, l’ideale che ha cercato di realizzare, di presentare artisticamente, ma che non ha potuto completare, poiché all’uomo non è consentito di portare a compimento tali cose. L’ora della morte si avvicina, l’anima lascia il corpo per trovare realizzate in modo glorioso in uno spazio eterno quelle cose che non potevano essere compiute quaggiù”.
Con queste parole, contenute in una lettera indirizzata a un suo amico, lo stesso Strauss descrisse in modo sintetico quanto dettagliato il programma del suo terzo poema sinfonico, Tod und Verklärung (Morte e trasfigurazione), che rappresenta un ulteriore momento di maturazione dello stile sinfonico del compositore tedesco. Per questo suo nuovo lavoro, composto tra la primavera del 1888 e il 18 novembre 1889, Strauss si distaccò dalle fonti letterarie che aveva utilizzato per Macbeth e per Don Juan, per avvalersi di un programma narrativo da lui stesso ideato, la cui origine rimane, tuttavia, misteriosa. Quale sarebbe, infatti, la ragione che avrebbe spinto il ventiquattrenne Strauss, pur così giovane, a comporre questa meditazione musicale sulla morte alla quale non sono estranei elementi autobiografici rintracciabili nell’identificazione tra la sua persona e quella dell’artista? Le ragioni della scelta di un tale programma appaiono misteriose anche perché sembra del tutto destituita di ogni fondamento l’ipotesi secondo la quale Strauss avrebbe sofferto di problemi respiratori nel periodo in cui compose questo poema sinfonico. In realtà i problemi respiratori sopraggiunsero nel 1891, quando Morte e trasfigurazione non solo era stata composta, ma addirittura era stata eseguita, come lo stesso compositore ricordò:
“Tod è un puro prodotto della mia immaginazione; non è basato su alcun evento; la mia malattia non mi colpì che due anni più tardi. Fu un’ispirazione come un’altra. In ultima analisi, lo stimolo musicale”.
Nonostante tutto un’identificazione autobiografica con il protagonista del programma di questo poema sinfonico è innegabile, come è dimostrato dal fatto che il tema della trasfigurazione è ripreso nel suo poema sinfonico Ein Heldenleben del 1898 e cinquant’anni più tardi nei Vier letzte Lieder (Ultimi quattro Lieder) composti nel 1948 per accompagnare le parole: è forse questa la morte? Secondo un aneddoto, inoltre, Strauss, sul letto di morte, avrebbe detto a sua nuora: «È una cosa bizzarra, Alice, morire è proprio come l’ho descritto in Tod und Verklärung». Alla prima esecuzione, avvenuta il 21 giugno 1890 a Monaco, fu distribuita, come programma di sala, una poesia di Alexander Ritter, scritta su indicazione di Strauss e in seguito ampliata per l’edizione a stampa della partitura che fu pubblicata l’anno dopo a Monaco.
Il poema sinfonico si apre con un Largo introduttivo di grande suggestione nel quale il respiro affannoso e irregolare dell’artista morente è reso dalle pulsazioni sincopate delle viole e dei violini secondi divisi che si alternano ai timpani; questo respiro ansante, realizzato anche dagli accenti sul primo tempo del tema armonico degli archi, cede il posto di tanto in tanto ai sogni che si materializzano in frammenti tematici esposti dagli altri strumenti solisti, compreso un violino, su un etereo accompagnamento degli archi in una scrittura cameristica. Qui prende forma una delle più suggestive evocazioni musicali dell’inconscio umano con i suoi desideri, le sue alate e dolci speranze, i cui slanci (salto di ottava iniziale) e frustrazioni (disegno discendente) sembrano sintetizzate in un unico evocativo tema. Tutti questi sogni e pensieri, chiusi nell’inconscio del moribondo, si affastellano nella sua mente in quella disordinata associazione di idee che caratterizza lo stato onirico. Un gesto teatrale, costituito da un colpo di timpano in fortissimo, sostenuto dagli archi gravi, dalle tube, dai corni e dai controfagotti, sveglia improvvisamente il moribondo il cui dramma interiore si consuma nel serpeggiante ed insinuante tema che percorre la parte iniziale dell’Allegro, dove gli strumentini, sostenuti dal tremolo dei violini primi, continuano ad esprimere il respiro affannoso dell’uomo. In questo Allegro molto agitato il conflitto con la morte si esprime attraverso una rielaborazione molto libera della forma-sonata, nella quale trovano spazio anche i temi già esposti nel Largo iniziale insieme ad uno, di carattere lirico, affidato al flauto a cui rispondono un violino e un violoncello solista in una scrittura quasi cameristica, e ad un altro esposto dagli ottoni di carattere solenne e drammatico. Tra oasi liriche e momenti animati il movimento si snoda nella sua drammaticità fino a quando una breve ripresa del largo iniziale, a cui segue un altro passo animato, non conduce al Moderato conclusivo dove, in un’atmosfera rarefatta con un misterioso tam-tam in sottofondo, si costruisce a poco a poco, coinvolgendo progressivamente l’intera orchestra, il tema in do maggiore della trasfigurazione che, come giustamente notato da Otto Erhardt nella sua monografia su Strauss, non ha nulla di trascendente o spirituale, ma «è un’apoteosi sensuale e una cosciente affermazione di vita terrena».
Durata: 25'
Richard Strauss
Monaco di Baviera, 1864 - Garmisch-Partenkirchen, 1949Duet-Concertino per clarinetto, fagotto, orchestra d'archi e arpa
Allegro moderato
Andante
Rondò. Allegro ma non troppo
"Sono soltanto schegge uscite dall'officina di un vecchio, forse con l'unico desiderio di divertire".
Con queste parole lo stesso Strauss liquidò il Duetto-concertino per clarinetto, fagotto, orchestra d'archi e arpa, composto negli ultimi mesi del 1947 su commissione del compositore svizzero Otmar Nussio che, all'epoca direttore dell'orchestra della Radio Svizzera Italiana, aveva chiesto un brano per il piccolo complesso da lui diretto. Strauss, però, compose un lavoro concertante che, come da lui stesso richiesto, sarebbe stato eseguito dalle prime parti dell'orchestra. In effetti alla prima esecuzione avvenuta il 4 aprile alla Radio Monte Ceneri (Lugano) sotto la direzione di Otmar Nussio, furono Armando Basile e Bruno Bergamaschi, rispettivamente primo clarinetto e primo fagotto della compagine orchestrale svizzera ad esibirsi in qualità di solisti e non Hugo Burghauser, fagottista della Filarmonica di Vienna, al quale Strauss aveva dedicato questo lavoro. In una lettera, indirizzata a Burghauser, è, inoltre, esposto, in tono scherzoso, il programma di questa sua composizione, la cui fonte d'ispirazione, secondo quanto affermato da Strauss, sarebbe una fiaba di Hans Christian Andersen, nella quale un fastidioso orso, impersonato dal fagotto, corteggia una principessa (il clarinetto) danzandole intorno e spaventandola. La giovane, allora, per cercare di sfuggirgli, incomincia a danzare fino a quando l'orso si trasforma in un principe tanto che la lettera si conclude con una certa ironia: «Così anche tu, Burghauser, diventi alla fine un principe e tutto finisce bene». Insieme a questo programma ironico è stato, però, tramandato un altro "ufficiale" che, inviato da Strauss a Nussio, differisce nel personaggio maschile che non è un orso, ma un mendicante ed è più preciso nell'indicare la corrispondenza tra elementi extramusicali e le sezioni della partitura. Secondo questo programma le prime nove battute erano intestate "C'era una volta...", mentre il tema che appare in corrispondenza dell'indicazione "Un poco maestoso" (archi soli) era contrassegnato dalla dicitura Il Palazzo. Il secondo movimento aveva come titolo Adorazione, mentre il Rondò era considerato dallo stesso Strauss un radioso lieto fine.
Il primo movimento, Allegro moderato, si apre con nove battute affidate agli archi che, oltre a costituire l'esordio della fiaba (C'era una volta), riprendono a specchio un tema del Sestetto di Capriccio. Il clarinetto, accompagnato da soli sei archi, interviene intonando una tema dolce al quale si contrappone il fagotto che presenta un tema lamentoso ma di carattere umoristico su un accompagnamento realizzato da tutti gli archi. Inizia un serrato dialogo tra i due strumenti che tacciono in corrispondenza del passo marcato con l'andamento Un poco maestoso del quale sono protagonisti gli archi al completo con un nuovo tema. Una scrittura di carattere più drammatico prepara il secondo movimento, Andante, che, legato al primo senza alcuna soluzione di continuità, si configura come un vero e proprio monologo di intenso lirismo del fagotto al quale, in seguito, si uniscono in una raffinata fase concertante il clarinetto, il primo violino e il primo violoncello. Una cadenza del fagotto e del clarinetto conduce all'estroso Rondò conclusivo (Allegro ma non troppo), nel quale è esaltato il virtuosismo dei due solisti che si lanciano in una vera e propria gara di bravura.
Durata: 20'
Franz Schubert
Vienna, 1797 - Vienna, 1828Sinfonia n.8 in si minore D.759 (“Incompiuta”)
Allegro moderato
Andante con moto
Un alone di mistero avvolge ancora la genesi e la composizione del capolavoro sinfonico di Schubert, la Sinfonia n. 8 “Incompiuta”, chiamata così perché priva degli ultimi due movimenti rispetto ai quattro complessivi che tradizionalmente costituivano, nel periodo classico, questa forma. L’unica certezza è la data di composizione, 30 ottobre 1822, apposta da Schubert sull’autografo che egli stesso inviò all’amico Hans Hüttenbrenner, esponente della Società Musicale Stiriana di Graz, in segno di gratitudine per la nomina a membro onorario. Su questa sinfonia, eseguita per la prima volta postuma ben 43 anni dopo la sua composizione, il 17 dicembre 1865 a Vienna sotto la direzione di Johann Herbeck, che, per l’occasione, aggiunse come Finale l’ultimo movimento della Terza sinfonia dello stesso Schubert, sono state formulate diverse ipotesi, delle quali alcune, per quanto suggestive, sono del tutto destituite di fondamento. La tesi, sostenuta, tra gli altri, dall’autorevole musicologo Alfred Einstein, secondo la quale Schubert avrebbe considerato la sinfonia un lavoro perfettamente compiuto soltanto con due movimenti, è smentita dall’esistenza della versione pianistica quasi completa di uno Scherzo, del quale il compositore portò a termine l’orchestrazione delle prime due pagine; non è, inoltre, verificabile l’ipotesi secondo cui l’intermezzo in si minore, tratto dalle musiche di scena per il dramma, Rosamunde, Fürstin von Cypern (Rosamunda, principessa di Cipro), di Helmina von Chézy, sia stato originariamente concepito come ultimo movimento di questa sinfonia, come è stato affermato da alcuni musicologi, tra cui gli inglesi Gerald Abraham e Brian Newbould che hanno tentato di completarla. Non si conoscono le ragioni per cui Schubert decise di non completare la sinfonia, ma è plausibile l’ipotesi che l’insistenza su uno stesso metro, il 3/4 del primo movimento, il 3/8 del secondo e, nuovamente, il 3/4 dell’incompiuto scherzo, mai attuata in nessuna delle sinfonie del periodo classico, abbia potuto indurre, molto probabilmente, il compositore a non ultimarla. Anche la scelta della tonalità di si minore, mai utilizzata da Haydn, Mozart e Beethoven, oltre a costituire uno strappo con il classicismo, apre le porte alla temperie romantica e permette a Schubert di esprimere gli angosciosi tormenti del suo animo tra immagini di morte e momenti sognanti che hanno nella memoria la loro origine.
Sul primo movimento, Allegro moderato, che della forma-sonata conserva solo l’apparenza esteriore, dal momento che i due temi si sviluppano in modo libero, il critico musicale Eduard Hanslick così si è espresso:
“Quando dopo le battute di introduzione, il clarinetto e l’oboe all’unisono elevano il loro dolce canto [primo tema] sul quieto mormorare dei violini, anche un bambino sente di quale compositore si tratta e la sala intera sussurra il nome: Schubert! Non è ancora entrato ma è come lo si conoscesse al passo, al suo modo di aprire la serratura. Su quella modulazione in minore contrasta il tema in sol maggiore del violoncello [secondo tema], un magnifico canto di Lied di piacevolezza quasi agreste, e allora ogni cuore ha un palpito come se Schubert dopo una lunga assenza comparisse in persona in mezzo a noi. Tutta questa parte è un dolce torrente di melodie chiaro come cristallo che lascia vedere ogni pietruzza sul fondo. E dappertutto un raggio di sole caldo, dorato filtra attraverso il fogliame!”
Non si può non condividere il commento di Hanslick su questo primo movimento che, aperto da una breve introduzione la cui sonorità grave, secondo il direttore d’orchestra austriaco Felix Paul Weingartner, sembra uscire dalle profondità dell’Averno, si svolge con una scrittura melodica di straordinaria purezza che qualche volta cede, nello sviluppo, il posto a momenti drammatici e si conclude con una ripresa del motivo introduttivo che, esposto da tutte le famiglie orchestrali, riporta sulla scena i fantasmi iniziali. La stessa purezza melodica contraddistingue il secondo movimento, Andante con moto, che, dal punto di vista formale, è strutturato con la giustapposizione di due episodi dei quali il primo presenta un carattere pastorale venato da una certa tristezza, mentre il secondo è pieno di pathos nella melodia esposta dal clarinetto su un accompagnamento sincopato dei violini e delle viole. Anche il percorso armonico è più tortuoso con modulazioni continue che esprimono perfettamente l’inquietudine tipica del Romanticismo. Altrettanto fine e acuto è il commento su questo secondo movimento di Eduard Hanslick che, nella parte conclusiva, non risparmia una pungente allusione a Wagner, suo bersaglio preferito:
“Più largamente e maestosamente si svolge l’Andante. Tristezze ed inquietudini affondano in questo canto pieno di intimità e di calma felicità. In tutte e due le parti la sonorità miracolosa; isolando qualche battuta di corno e qualche breve a solo di clarinetto o di oboe sullo sfondo semplice e naturale dell’orchestra Schubert ottiene degli effetti di sonorità che nessuna raffinatezza di orchestrazione wagneriana sa raggiungere”.
Riccardo Viagrande
Durata: 25'
Guida al concerto