Da Bellini in poi

 

Gianluca Marcianò, direttore

Alessandra Di Giorgio, soprano

Max Jota, tenore

Serban Vasile, baritono

Bellini International Context 2023

Palermo - Piazza Ruggiero Settimo

 

  • Luogo

  • Piazza Ruggiero Settimo

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Domenica
    24 Settembre 2023

    Ore

    21,00

    Durata

    -

    Prezzi

    0 - 0 €

    Calendario

INGRESSO GRATUITO SU PRENOTAZIONE (due biglietti a persona) SINO AD ESAURIMENTO POSTI

https://www.vivaticket.com/it/ticket/da-bellini-in-poi/215805

 

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  • Programma

  • Vincenzo Bellini
    Catania 1801 - Puteaux 1835

    I Capuleti e i Montecchi: Sinfonia

    Vincenzo Bellini
    Catania 1801 - Puteaux 1835

    Norma: "Casta Diva"

    Vincenzo Bellini
    Catania 1801 - Puteaux 1835

    I Puritani: “Ah! per sempre io ti perdei”

    Giuseppe Verdi
    Roncole di Busseto, 1813 - Milano, 1901

    Aida: “Celeste Aida”

    Giuseppe Verdi
    Roncole di Busseto, 1813 - Milano, 1901

    Il Trovatore: “Tacea la notte placida” - “Il balen del suo sorriso” - “Di quella pira”

    Giacomo Puccini
    Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924

    Le Villi: “La tregenda”

    Giacomo Puccini
    Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924

    La Bohème: “O soave fanciulla” - “O Mimì, tu più non torni”

    Umberto Giordano
    Foggia 1867 - Milano 1948

    Fedora; Intermezzo, Atto II

    Umberto Giordano
    Foggia 1867 - Milano 1948

    Andrea Chénier: “La mamma morta” - “Nemico della patria” - “Vicino a te s'acqueta"

     

    Sesta opera di Bellini, I Capuleti e i Montecchi, alla prima rappresentazione avvenuta alla Fenice di Venezia l’11 marzo 1830, fu un trionfo che ebbe una vasta eco nei giornali dell’epoca, tra i quali va ricordata la «Gazzetta privilegiata di Venezia», sulla quale si lesse: « L’opera del maestro Bellini, che andò in scena ieri sera ebbe l’esito più strepitoso e felice. Acclamazioni ed applausi senza fine al principio, al mezzo ed al termine di ogni atto».  Il soggetto, suggerito probabilmente dalla Grisi e ispirato da un libretto scritto da Romani cinque anni prima per Nicola Vaccaj fu ampiamente rielaborato dal librettista non solo per venire incontro alle esigenze dettate dal cast di cantanti scelto dal teatro, ma anche a quelle di Bellini, che, dovendo scrivere l’opera in breve tempo, fece ricorso alle musiche della Zaira le cui parti di Zaira e Nerestano si prestarono ad essere rielaborate per quelle di Giulietta e Romeo. L’opera si apre con una concisa sinfonia che, dal punto di vista formale, può essere ricondotta a una rielaborazione piuttosto libera di una forma-sonata ridotta all’esposizione e alla coda. Aperta da un rullo di timpani che introduce degli squilli di carattere militare, la sinfonia si snoda su tre temi diversi dei quali il primo è una cellula tematica estremamente incisiva affidata ai corni, il secondo è un tema marziale intonato dai legni che sembra anticipare Già mi pasco nei tuoi sguardi della Norma e il terzo, che dà l’avvio al crescendo, è una cellula motivica breve ed orecchiabile che Bellini utilizzerà come accompagnamento nel coro iniziale di introduzione.

    Composta in meno di tre mesi tra l’inizio di settembre e la fine di novembre del 1831, anno prodigioso per Bellini, reduce del grande successo ottenuto con la Sonnambula il 6 marzo al teatro Carcano di Milano, Norma è una delle sue opere più note, nonostante il fiasco della prima rappresentazione avvenuta il 26 dicembre dello stesso anno alla Scala di Milano. L’insuccesso della prima serata, dovuto forse sia alla scarsa vena di Giuditta Pasta, che aveva trovato particolarmente difficile la “cavatina” Casta diva, sia all’ostilità di una parte del pubblico sobillata da Giulia Samoiloff, amante di Pacini, compositore catanese meno famoso e rivale di Bellini, che il 10 gennaio dello stesso anno avrebbe dovuto mettere in scena sempre nel teatro scaligero il suo Corsaro, non pregiudicò l’affermazione dell’opera che tenne il cartellone per ben 34 serate. La celeberrima cavatina, Casta diva, si apre con lo splendido, sognante, estatico e affascinante tema affidato al flauto. Questa preghiera di Norma alla luna è una pagina di rara bellezza e di incanto che, caratterizzata da una scrittura particolarmente complessa soprattutto nella sezione in cui interviene il coro, blocca l’azione e immerge il pubblico in una dimensione trascendente.

    La composizione dei Puritani, chiamati dal compositore catanese in una lettera indirizzata a Rossini con una certa umiltà “un povero suo lavoro”, non fu semplice, in quanto non sempre il librettista, il Conte Carlo Pepoli, fervente patriota al quale Giacomo Leopardi aveva dedicato l’epistola in versi Al Conte Carlo Pepoli, aveva soddisfatto le sue pretese. Nonostante le difficoltà dovute alla scarsa esperienza come librettista di Pepoli, l’opera, andata in scena il 24 gennaio 1835 al Théâtre Italien di Parigi, fu un trionfo. Nella cavatina, Ah per sempre io ti perdei, collocata all’inizio del primo atto, Riccardo racconta all’ufficiale puritano Bruno che la sua richiesta di matrimonio presentata al padre dell’amata Elvira è stata rifiutata e si produce in questa pagina di pura bellezza melodica e di belcanto con le colorature che certo esaltarono la bravura di Tamburini alla prima rappresentazione.

    Rappresentata per la prima volta il 24 dicembre 1871 al Teatro Khediviale del Cairo sotto la direzione di Giovanni Bottesini, Aida, che era stata composta su libretto di Antonio Ghislanzoni, per celebrare l’apertura del canale di Suez, ottenne un enorme successo confermato dall’affollatissima prima scaligera, l’8 febbraio 1872, alla quale Verdi teneva particolarmente. Nella celeberrima romanza, Celeste Aida, il capitato delle guardie Radamès spera di essere indicato, dall’oracolo di Iside già consultato da Ramfis. come comandante supremo delle truppe del faraone nell’imminente campagna militare contro l’Etiopia. Il giovane, innamorato della schiava etiope Aida, dalla quale è ricambiato, manifesta la sua speranza di coprirsi di gloria in battaglia e di poter ridare alla donna amata la patria e il trono.

    Seconda opera della cosiddetta Trilogia popolare, Il Trovatore fu composto in un periodo di intensa creatività per Verdi che, a differenza di quanto era accaduto in altre occasioni, non ebbe dubbi sulla scelta del soggetto. Mentre si trovava a Venezia per le repliche del Rigoletto, egli aveva scritto una lettera al librettista Cammarano nella quale proponeva come soggetto per una nuova opera proprio El Trovador del drammaturgo spagnolo Garcìa Gutiérrez. Andata in scena il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma, l’opera ottenne un enorme successo e la scena finale fu interamente bissata.  Nella cavatina del primo atto Tacea la notte placida, Leonora racconta ad Ines di aver sentito la voce di un trovatore, nel quale riconosce il suo amato Manrico, cantare sotto il suo balcone un brano nei cui versi c’era il suo nome, mentre nel cantabile: Il balen del suo sorriso il Conte di Luna, rivale in amore del trovatore perché innamorato di Leonora, elogia la bellezza della donna amata. Nel terzo atto, Manrico, dopo essere stato avvisato da Ruiz che la madre Azucena è stata arrestata e sta per essere condotta al rogo, abbandona Leonora, del tutto ignara del fatto che l’uomo da lei amato è il figlio della zingara, per correre a salvare la madre e canta la celebre cabaletta Di quella pira. La critica ha notato una somiglianza tra questa cabaletta e una versione della cabaletta di Leicester Se fida tanto approntata da Donizetti per la prima milanese della Maria Stuarda nel 1835, periodo in cui Verdi studiava a Milano.

    Dopo alcune composizioni giovanili, Puccini si affacciò al teatro musicale con l'opera in un atto, Le Villicomposta per un concorso bandito dall’editore Sonzogno e annunciato dalla rivista «Il Teatro Illustrato» il 1° aprile 1883. Egli partecipò al concorso su esortazione del suo insegnante al Conservatorio di Milano, l’operista Amilcare Ponchielli, che gli consigliò di rivolgersi a Ferdinando Fontana per il libretto. Il concorso non ebbe l’esito sperato dal momento che l’opera non solo non vinse, ma non figurò nemmeno tra le prime 5 degne di menzione. L’opera, comunque, sarebbe andata in scena grazie all’interessamento di Fontana, che organizzò un’audizione privata a Milano alla quale assistettero eminenti personalità tra cui Arrigo Boito, Giovannina Lucca e Alfredo Catalani, e a una sottoscrizione alla quale parteciparono Marco Sala, lo stesso Boito e il duca Litta. La prima rappresentazione al Teatro Dal Verme di Milano il 31 maggio 1884 sotto la direzione di Arturo Panizza e con un giovanissimo Pietro Mascagni al contrabbasso in orchestra fu un vero successo. In quest’opera, la vena sinfonica di Puccini trova la sua espressione nell’intermezzo del quale La tregenda è il secondo tempo. È questa una pagina, al ritmo di tarantella, basata su due temi dei quali il primo rappresenta la ridda delle Villi, mentre il secondo ha un carattere languido.

    Rappresentata, per la prima volta, il 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino sotto la direzione di Arturo Toscanini con Evan Gorga (Rodolfo) e Cesira Ferrani (Mimì), La Bohèmecomposta da Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, ottenne un buon successo di pubblico, sebbene non paragonabile a quello di Manon Lescaut con la quale fu posta a confronto dalla critica non sempre tenera. Alla fine del primo atto Rodolfo, rimasto finalmente indisturbato con Mimì, ne approfitta per dichiararle il suo amore nel duetto O soave fanciulla, pullulante di passione grazie al Leitmotiv (Talor nel mio forziere) che, dopo aver accompagnato l’uomo, emerge con forza nella parte vocale di entrambi i personaggi, ormai uniti in una comunione di sentimenti, in corrispondenza del verso Fremon già nell’anima. I due decidono di aggregarsi agli altri cantando la parola amore mentre l’orchestra quasi si ritira per lasciare spazio all’intimità dei sentimenti. Il quarto atto si apre in una soffitta dove Rodolfo e Marcello, lavorando senza particolare ispirazione, parlano tra di loro delle loro amanti. In particolare Marcello rivela a Rodolfo di aver visto Mimì vestita come una regina in una carrozza, suscitando nell’amico una forma di malinconia che si esprime per entrambi nel rimpianto della vita con le loro amanti (O Mimì tu più non torni).

    Rappresentata per la prima volta al Teatro Lirico di Milano il 17 novembre 1898 diretta dallo stesso Umberto Giordano con Gemma Bellincioni (Fedora) ed Enrico Caruso (Loris Ipanoff), Fedora, in tre atti su libretto di Arturo Colautti tratto da Fédora di Victorien Sardou ottenne un  successo tale da essere portata sulle scene della Staatsoper di Vienna da Gustav Mahler e poi a Parigi, mentre il 5 dicembre 1906 approdò al Metropolitan Opera di New York con Enrico Caruso e Lina Cavalieri sotto la direzione di Arturo Vigna, rimanendo in repertorio per due stagioni consecutive. Collocato all’interno del secondo atto, il famoso intermezzo è una pagina di struggente lirismo basata sul tema della romanza di Loris Amor mi vieta.

    Il primo grande successo era arrivato a Umberto Giordano con Andrea Chénier, opera in quattro quadri su libretto di Luigi Illica. L'argomento ha per protagonista il poeta francese André Chénier ghigliottinato durante la Rivoluzione Francese mentre il personaggio di Gerard è in parte ispirato da Jean-Lambert Tallien, uno dei capi della Rivoluzione. La première ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano il 28 marzo 1896 con Evelina Carrera (Maddalena), Giuseppe Borgatti (Andrea Chénier), Mario Sammarco (Carlo Gérard) riscuotendo un grande successo sia di pubblico che di critica. Nel quadro terzo, introdotta da una struggente melodia del violino solista, Maddalena intona l'intensa e commovente romanza La mamma morta che, aperta da una sezione declamata, si distingue per un acceso lirismo in corrispondenza del verso Vivi ancora! Io son la vita. Poco prima, ma sempre nel terzo quadro, Gérard medita sulla sua nuova condizione di servo della violenza e anche della lussuria (Nemico della patria). Vicino a te s'acqueta è, infine, il commovente duetto cantato da Chénier e da Maddalena, che si è sostituita alla prigioniera Lidia Legrey alla quale dà il suo lasciapassare, prima di salire entrambi sulla carretta che li porterà al patibolo.

     

    Riccardo Viagrande