Concerto di Pasqua/ Verdi-Messa da Requiem
ANDREA LICATA direttore
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Luogo
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Politeama Garibaldi - Palermo
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Venerdì 03 Aprile 2026
Ore
20,30
Durata
85min.
Prezzi
30 - 18 €
MONICA ZANETTIN soprano
NINO SURGULADZE mezzosoprano
MARCO BERTI tenore
LIANG LI basso
CORO DELTEATRO MASSIMO DI PALERMO
SALVATORE PUNTURO maestro del coro
SIMONE PIRAINO maestro ai sopratitoli
In collaborazione con la Fondazione Teatro Massimo di Palermo
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Programma
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Giuseppe Verdi
Roncole di Busseto, 1813 - Milano, 1901Messa da Requiem per soli, coro e orchestra
- Introito e Kyrie (coro, solisti)
- Sequenza:
- Dies irae (coro)
- Tuba mirum (coro)
- Mors stupebit (basso)
- Liber scriptus (mezzosoprano, coro)
- Quid sum miser (soprano, mezzosoprano, tenore)
- Rex tremendae (solisti, coro)
- Recordare (soprano, mezzosoprano)
- Ingemisco (tenore)
- Confutatis (basso, coro)
- Lacrymosa (solisti, coro)
- Offertorio (solisti):
- Domine Jesu Christe
- Hostias
- Sanctus (doppio coro)
- Agnus Dei (soprano, mezzosoprano, coro)
- Comunione (mezzosoprano, tenore, basso):
- Lux aeterna
- Libera me (soprano, coro):
- Libera me
- Dies irae
- Requiem aeternam
- Libera me
“Come spiegarvi la sensazione dolcissima, indefinibile, nuova, prodotta in me, alla presenza di quel Santo, come voi lo chiamate? Io me gli sarei posto in ginocchio dinnanzi, se si potessero adorare gli uomini. Dicono che non lo si deve e ciò sebbene veneriamo sugli altari tanti che non hanno avuto il talento né le virtù di Manzoni e che anzi sono stati fior di bricconi! Quando lo vedete, baciategli la mano per me e ditegli tutta la mia venerazione. Ditegli tutto quello che la più profonda ammirazione vi può suggerire ed io non saprò mai dire. è strano; io timidissimo un giorno, non lo sono più; ma avanti a Manzoni mi sento così piccolo (e notate bene che sono orgoglioso quanto Lucifero) che non trovo mai, o quasi mai, la parola”. Così, Verdi, in una lettera indirizzata a Clarina Maffei, il 7 luglio 1868, descriveva il suo primo incontro con Manzoni nei confronti del quale nutriva un sentimento di venerazione. Del resto, il compositore di Busseto, proprio in un’altra lettera, indirizzata sempre a Clarina Maffei, il 24 maggio 1867, aveva definito I Promessi sposi “non solo il più gran libro dell’epoca nostra, ma uno de’ più gran libri che sieno usciti da cervello umano. E non è solo un libro, ma una consolazione per l’umanità. Io aveva sedici anni quando lo lessi per la prima volta. Da quell’epoca ne ho letto pur molti altri, su cui, riletti, l’età avanzata ha modificato o cancellato […] i giudizi degli anni giovanili; ma per quel libro il mio entusiasmo dura ancor uguale; anzi, conoscendo meglio gli uomini, si è fatto maggiore”.
Alla luce di queste testimonianze è facile comprendere il sentimento di profondo dolore provato da Verdi alla morte, avvenuta a Milano il 22 maggio 1873, di Manzoni, in onore del quale avrebbe composto questa Messa da Requiem, la cui genesi, in una forma un po’ romanzata, ci è raccontata dal critico francese Arthur Pougin, nel suo saggio Verdi. Histoire anecdotique de sa vie et de ses oeuvres, “Verdi, che era legato a Manzoni da un affetto profondo e che sentiva per lui una forma di rispetto filiale, si trovava nella sua villa di Sant’Agata, quando si diffuse la notizia della sua morte. Ne provò un dolore molto intenso, e per qualche tempo restò triste e pensieroso, come dominato da una preoccupazione interiore. Un giorno, rivolgendosi a un amico che si trovava in villeggiatura da lui, gli chiese se volesse accompagnarlo a Milano, dove aveva da fare. Alla risposta affermativa di quest’ultimo, tutti e due si misero in marcia, ed è solamente allora che Verdi confidò al suo amico il pensiero che aveva avuto di scrivere una messa da Requiem, destinata a celebrare solennemente il primo anniversario della morte del grande poeta. Giunto a Milano, il maestro discese, secondo sua abitudine, nell’Albergo Milano, e scrisse subito al senatore Belinzaghi, sindaco della città, per renderlo partecipe del suo progetto, offrendosi a comporre un Requiem che sarebbe stato eseguito, l’anno seguente, per l’anniversario di Manzoni. Il sindaco si recò immediatamente da Verdi per fargli una visita personale di ringraziamento, e, lo stesso giorno, inviò una convocazione straordinaria ai membri del municipio, per informarli della proposta che gli era stata fatta. L’offerta fu accettata, come si può pensare, e con un voto unanime. Il consiglio redasse poi un discorso di ringraziamento al maestro, e fu deciso, seduta stante, che l’esecuzione del Requiem avrebbe avuto luogo nella chiesa che Verdi avrebbe scelto; che tutte le spese sarebbero state a carico della municipalità; e infine che degli inviti sarebbero stati indirizzati ai più grandi artisti d’Italia, cantanti e strumentisti, per incaricarli di prendere parte a questa solennità allo stesso tempo artistica e patriottica. […] Ciò stabilito, Verdi partì per la Francia, ed è qui, a Parigi, nel corso dell’estate del 1873, che scrisse la maggior parte della sua messa, di cui un pezzo, il Libera me, era già composto”.
Da lui composto nell’estate del 1869, il Libera me, a cui fa riferimento Pougin, corrisponde all’ultimo brano di un altro Requiem, che Verdi aveva pensato di scrivere insieme ad altri compositori per commemorare Rossini, morto il 13 novembre del 1868. Al progetto verdiano avevano partecipato Antonio Buzzola, Antonio Bazzini, Carlo Pedrotti, Antonio Cagnoni, Federico Ricci, Alessandro Nini, Raimondo Boucheron, Carlo Coccia, Gaetano Gaspari, Pietro Platania, Lauro Rossi e Teodulo Mabellini, ma, pur essendo state scritte tutte le parti, questo Requiem non fu eseguito. Non si conoscono bene i motivi del fallimento del progetto, ma è stato ipotizzato che debbano essere imputati a dissidi tra Verdi e Angelo Mariani, a cui era stata affidata la direzione e che aveva accettato di partecipare alle commemorazioni rossiniane che si sarebbero tenute a Pesaro nel mese di agosto 1869, suscitando l’indignazione del maestro di Busseto, o al rifiuto di eseguirlo, per ragioni commerciali, da parte dell’impresario del Teatro Comunale di Bologna, Scalaberni. Il Libera me rimase, allora, nel cassetto di Ricordi fino a quando nell’aprile del 1873, esattamente un mese prima della morte di Manzoni, Verdi, forse perché presago del triste evento, dal momento che erano note l’età avanzata e le precarie condizioni di salute dello scrittore, o forse perché non aveva mai abbandonato l’idea di scrivere un Requiem interamente da solo, chiese al suo editore di inviargli il manoscritto della partitura per rimaneggiarlo. In effetti, questa idea di scrivere un Requiem tutto da solo stuzzicava Verdi da parecchio tempo, come è dimostrato da una lettera indirizzata il 4 febbraio 1871, ad Alberto Mazzuccato, il quale, in una precedente lettera al maestro di Busseto, aveva elogiato la partitura del Libera me, da lui vista da Ricordi: “Se alla mia età si potesse ancora decentemente arrossire, arrossirei per gli elogi che mi fate di quel mio pezzo; elogi che, non lo nascondo, venuti da un Maestro e da un critico del valor vostro, hanno un'importanza grandissima ed accarezzano non poco il mio amor proprio. E, vedete ambizione di compositore! - quelle vostre parole avrebbero quasi fatto nascere in me il desiderio di scrivere, più tardi, la Messa per intiero; tanto più che con qualche maggiore sviluppo mi troverei aver già fatti il Requiem ed il Dies irae, di cui è il riepilogo nel Libera già composto. Pensate dunque, e abbiatene rimorso, quali deplorabili conseguenze potrebbero avere quelle vostre lodi! - Ma state tranquillo: è una tentazione che passerà come tante altre. Io non amo le cose inutili. Messe da morto ve ne sono tante, tante e tante!!! È inutile aggiungerne una di più”.
Probabilmente, la morte di Manzoni diede a Verdi quello spunto che forse attendeva per scrivere questa Messa da morto che, composta nell’estate del 1873, fu eseguita per la prima volta nella chiesa di San Marco il 22 maggio 1874, a un anno esatto dalla morte dello scrittore. Definita da Hans von Bülow “un’opera con abiti ecclesiastici”, questa Messa si presenta come una meditazione profonda sulla morte e sulla possibile esistenza dell’aldilà da parte di un uomo che, nel periodo in cui la compose, era lontano dalla fede. In effetti, questo Requiem, del quale musicalmente il Libera me, da Verdi rimaneggiato, costituisce la base dal punto di vista dei temi musicali che vengono ripresi e, così, valorizzati in altre parti della Messa, sembra mostrare l’uomo da solo senza alcuna possibilità di redenzione e in una situazione in cui appare attratto verso il basso, come il semplice arpeggio discendente di la maggiore dei violoncelli che apre l’Introito. In esso, inizialmente, il coro sussurra la parola Requiem, per, poi, proseguire, nella parte dei soprani con sincopati e sospensioni pieni di pathos sulle parole dona. Il Te decet Hymnus, aperto dai bassi, è una pagina a cappella di carattere imitativo, mentre l’arpeggio discendente di la maggiore, questa volta, affidato ai violini, introduce la ripresa del Requiem iniziale. Legato al Requiem, il successivo Kyrie, vede l’ingresso dei solisti che dialogano fra di loro in una scrittura che si fa sempre più densa, mentre nelle parti dei violoncelli e del fagotto si sente un tema discendente con cromatismi che, come nel tipico passus duriusculus, esprimono il dolore. Vero perno di tutta l’opera, il successivo Dies irae si impone, immediatamente, per le violente strappate a cui seguono rapidi disegni sempre discendenti di semicrome quasi a mostrare il precipizio di fronte al quale si trova l’uomo terrorizzato dalla morte, vista come una forma di abisso. È una tempesta musicale che si placa nel sussurrato Quantus tremor est futurus a cui seguono, senza soluzione di continuità, solenni squilli di trombe che, in crescendo, introducono il poderoso Tuba mirum. Il contrastante Mors stupebit, intonato dal basso, si segnala per il carattere macabro e al tempo stesso misterioso dell’accompagnamento degli archi, mentre un tono solenne e oracolare contraddistingue l’intervento del mezzosoprano Liber scriptus proferetur, scandito dal coro che sussurra le parole Dies irae, anticipando la ripresa della parte iniziale. Di carattere lirico è il successivo Quid sum miser, di cui sono protagonisti il soprano, il mezzosoprano e il tenore, mentre di grande effetto è il solenne Rex tremendae che si scioglie in un implorante lirismo alle parole Salva me, Fons pietatis. Dolcissimi sono il Recordare e l’Ingemisco, mentre una radice operistica ha il Lacrymosa conclusivo, dal momento che è una rielaborazione per quattro solisti e coro della melodia del duetto fra Carlos e Filippo II del IV atto del Don Carlos, nella versione di Parigi del 1867, che, però, Verdi decise di eliminare prima della première. Una struttura circolare, riassumibile nello schema A-B-C-B-A, presenta il consolatorio Offertorio, affidato ai solisti e costituito dal Domine Jesu, introdotto da un lirico tema dei violoncelli, e dall’Hostias, nel quale appare un messaggio di speranza. Squilli di trombe introducono il Sanctus, un poderoso brano per doppio coro nel quale si rivela la perizia contrappuntistica di Verdi. Con l’Agnus Dei, una lenta litania intonata inizialmente dal soprano e dal mezzosoprano a distanza di ottava a cappella, e il Lux Aeterna, scandito dal basso che intona Requiem aeternam, si ritorna nel clima doloroso che ha contraddistinto la sequenza. Aperto da una nota ribattuta del soprano, il Libera me conclusivo ripropone il Dies irae e il Requiem.
Riccardo Viagrande
Durata: 85'