Da Chapi a Bizet

Ramón Tebar, direttore

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    14 Febbraio 2025

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    30 - 15 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    15 Febbraio 2025

    Ore

    17,30

    Durata

    80min.

    Prezzi

    30 - 15 €

    Calendario

  • Programma

  • Ruperto Chapì
    Villena 1851 - Madrid 1909

    La revoltosa, Preludio

    Durata: 5'

    Enrique Granados
    Lleida, 1867 - La Manica, 1916

    Goyescas, Intermezzo

    Durata: 6'

    Manuel de Falla
    Cadice 1876 - Alta Gracia 1946

    La vida breve, Interludio e Danza Spagnola

    Durata: 7'

    Manuel de Falla
    Cadice 1876 - Alta Gracia 1946

    Danza rituel del fuego fatuo (Danza rituale del fuoco fatuo) da El amor brujo (L’amore stregone), suite dal balletto

    Durata: 7'

    Reveriano Soutullo
    Ponteareas 1880 - Vigo 1932 Juan Bautista Vert Carbonell
    Carcagente, Valencia 1890 – Madrid 1931

    La leggenda del bacio, Intermezzo

    Durata: 4'

    Gerónimo Giménez
    Siviglia 1854 - Madrid 1923

    La boda de Luis Alonso (Le nozze di Luis Alonso), Intermezzo

    Durata: 6'

    Emmanuel Chabrier
    Ambert 1841 - Parigi 1894

    España, rapsodia per orchestra

    Allegro con fuoco

    Durata: 6'

    Georges Bizet
    Parigi, 1838 - Bougival, 1875

    Carmen, Suites 1 e 2

    Suite n. 1 (Ernest Guiraud)

    Prélude (Andante maestoso)

    Aragonaise (Allegro vivo)

    Intermezzo (Andantino quasi allegretto)

    Seguedille (Allegretto)

    Les Dragons D’Alcala  (Allegro moderato)

    Les Toreadors (Allegro giocoso)

     

    Suite n. 2 (Ernest Guiraud)

    Marche des contrabandiers
    Habanera

    Nocturne

    Chanson du toréador

    La garde montant

    Danse Bohème

     

    Durata: 35'

     

    La Spagna degli spagnoli

     

    Genere operistico tipico della Spagna, la Zarzuela nacque nel XVII sec. per opera dell’Infante Don Fernando che promosse la rappresentazione di spettacoli con accompagnamento musicale nel Palacio de la Zarzuela, residenza privata del re di Spagna a Madrid. Il suo nome deriva probabilmente dallo spagnolo «zarza» che significa mora, i cui rovi erano presenti in abbondanza nei giardini del palazzo. Caratterizzata dalla mescolanza di parti cantate e recitate, come il Singspiel tedesco e l’Opéra-Comique francese, la Zarzuela, dopo aver vissuto una fase di decadenza nel Settecento, ritornò ai suoi precedenti splendori nel XIX sec. in conseguenza della nascita del movimento nazionalistico, animato, soprattutto, da musicisti catalani residenti all’estero. Nell’Ottocento la zarzuela, che pur si rifaceva principalmente al carattere comico e realistico dell’Opéra- Comique, subì un’importante evoluzione ad opera di Francisco Barbieri al quale si deve la nascita della zarzuela grande con l’opera, di argomento drammatico, Jugar con fuego. Particolarmente attivi in questo genere furono Ruperto Chapì, Reveriano Soutullo, Juan Bautista Vert Carbonell e Gerónimo Giménez, mentre ad Enrique Granados si deve il tentativo di creare un vero e proprio teatro musicale spagnolo sul modello europeo.

    Nato a Villena nel 1851, Ruperto Chapì fu un famoso compositore di zarzuele tra le quali va segnalata La Revoltosa (La ribelle), composta nel 1897 su libretto di José Lopez Silva e Carlos Fernández Shaw e rappresentata per la prima volta il 25 novembre dello stesso anno al Teatro Apolo di Madrid. Ritenuto uno dei capolavori del cosiddetto género chico (genere piccolo, in un atto), questo lavoro si configura come una vera e propria riflessione sulla vita di quartiere nella Madrid dell’Ottocento, della quale mette in scena situazioni e personaggi tipici. Aperto da una fanfara, il Preludio è una pagina brillante, nella cui sezione centrale si staglia un episodio di carattere lirico di cui sono protagonisti l’oboe e gli archi che dialogano tra di loro. Travolgente è, infine, la coda conclusiva

    Se la zarzuela è il genere teatrale tipico, non si può negare che in Spagna, ancora nella prima metà del Novecento, fosse molto forte l’influenza del melodramma italiano e, in seguito, di Wagner la cui presenza è riscontrabile anche nella produzione di Enrique Granados y Campiña il quale ottenne il suo primo successo nel 1898 con Maria del Carmen. Dopo alcuni lavori teatrali di minore importanza, Granados compose Goyescas, in un atto e tre quadri, prima opera di un compositore spagnolo a essere rappresentata al Metropolitan Opera di New York il 28 gennaio 1916 sotto la direzione di Gaetano Bavagnoli. L’opera ottenne alla prima un successo tale che il compositore fu invitato per un concerto alla Casa Bianca dal presidente Wilson. Questo fatto fu la causa della prematura morte di Granados il quale, essendo stato costretto a ritardare la sua partenza per l’Europa, non poté salire a bordo di un piroscafo che lo portasse in Spagna e, giunto a Liverpool con un'altra nave, il 24 marzo 1916 si imbarcò su un traghetto, il Sussex, che fu silurato da un sottomarino tedesco mentre attraversava il canale della Manica. L’opera, che si ispira a una serie di dipinti giovanili di Goya, traduce il mondo del grande pittore spagnolo in una musica prevalentemente sinfonica piuttosto che operistica, tanto che spesso viene eseguita una suite sinfonica tratta da essa. Una delle pagine più famose è l’Intermezzo collocato tra il primo e il secondo quadro, che si segnala per la struggente malinconia del tema principale esposto dai violoncelli e per una brevissima sezione centrale di carattere drammatico.

    Al genere della Zarzuela si rivolse il giovane Manuel De Falla, quando ancora studente al Conservatorio di Madrid, era roso dal tarlo dell’ambizione di diventare un compositore di successo. Per questa ragione, il giovane musicista, all’epoca studente di composizione nella classe del famoso Felipe Pedrell, aveva iniziato a comporre una o due opere nel genere della Zarzuela. Questi primi tentativi si rivelarono un fallimento per De Falla che, per nulla demoralizzato, decise di partecipare al concorso indetto nel 1904 dall’Accademia delle Belle Arti di Madrid per la composizione di una nuova opera. Il giovane compositore spagnolo si mise subito al lavoro e compose un’opera in due atti su libretto di Fernandez Shaw, che, originario di Cadice come De Falla, aveva conseguito una certa notorietà come autore di libretti di zarzuela. Composta in brevissimo tempo, La vida breve ottenne nel 1905 il primo premio al concorso, ma dovette aspettare ben 8 anni prima di vedere le scene. Nel frattempo la carriera di De Falla, che aveva vinto, sempre nel 1905, il premio nazionale di pianoforte, grazie al quale era diventato professore a Madrid, ebbe una vera e propria svolta due anni dopo, quando partì per Parigi per una breve vacanza che si tramutò presto in un soggiorno di 7 anni. Qui conobbe grandi compositori come Debussy, Ravel e Dukas che lo inserirono nel mondo musicale della capitale francese dove De Falla diede vita ad alcuni dei suoi capolavori, come I Quattro pezzi spagnoli per pianoforte, e dove poté vedere la prima rappresentazione de La vida breve che ebbe luogo finalmente il 1° aprile 1913 in una traduzione francese realizzata da Paul Milliet al Teatro del Casinò Municipale di Nizza. I giornali dell’epoca non diedero molto risalto a questa première. Uno scarno comunicato appare, infatti, su «Le Ménestrel», dove, in modo un po’ sciovinistico, si esalta la Francia che ha compreso la grandezza del compositore spagnolo a differenza della sua patria:

    “Il Casinò Municipale di Nizza ha dato la prima rappresentazione di un dramma lirico in due atti e quattro quadri, La Vita breve, su libretto spagnolo di M. Carlos-Fernandez Shaw tradotto da M. Paul Milliet, con la musica di Manuel de Falla. L’autore, Manuel de Falla, è un giovane musicista spagnolo, la cui opera era stata premiata nel 1905 dall’Accademia reale di Belle Arti di Madrid, e per la quale, malgrado questo riconoscimento, non era riuscito a ottenerne una rappresentazione nel suo paese. La Francia, dove oggi si è stabilito, gli ha di recente dato ospitalità”

    La prima spagnola ebbe luogo il 14 novembre 1914 al Teatro de la Zarzuela di Madrid, mentre oggi l’opera, che presenta alcune pagine, come l’Interludio e danza spagnola, diventate famose perché si sono affermate nel repertorio sinfonico, è raramente rappresentata. Collocato tra il primo e il secondo quadro del secondo atto, l’Interludio è una pagina drammatica, aperta da un Allegro furioso di effetto e caratterizzata da una grande varietà agogica con una breve sezione (Tranquillamente mosso) di cui sono protagonisti soltanto i fiati, un’altra brevissima (Doloroso), affidata ai legni, e un’altra ancora (Moderato) in un cullante e dolce 9/8, prima, e in 12/8, dopo. Tratta dal secondo quadro del secondo atto, la Danza spagnola è una pagina dal ritmo indemoniato che ben si addice al clima di festa della scena. 

    El amor brujo, pur essendo uno dei lavori di Manuel de Falla più amati dal pubblico, non riscosse un grande successo alla prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Lara di Madrid il 15 aprile 1915. Questa prima versione, una “gitaneria” per canto e danza scritta per la zingara andalusa Pastora Imperio, cantante e ballerina di flamenco di grande successo, si avvaleva di un organico orchestrale alquanto ridotto, in cui figuravano un flauto con obbligo di ottavino, un oboe, un corno, una cornetta, un pianoforte, il quintetto d’archi e, infine, alcune percussioni. Il compositore attribuì la causa dello scarso gradimento del pubblico, nonostante le positive recensioni sulla sua abilità nell’orchestrazione, alla scelta di questo organico, dettata dalla struttura architettonica del teatro, destinato alla rappresentazione di opere di prosa e, quindi, privo di una fossa in cui ospitare l’orchestra, tanto che decise di riorchestrare la partitura. La seconda versione, il cui organico, molto più ampio, prevedeva la presenza di due flauti, un oboe, due clarinetti, un fagotto, due trombe, timpani, pianoforte, archi e percussioni, ebbe un notevole successo alla prima esecuzione avvenuta il 28 marzo 1916 per la Società Nazionale di musica presso l’Hotel Ritz di Madrid. Tale successo assicurò a quest’opera, tramutata in balletto con canto, un posto fisso nel repertorio sinfonico. Non si conosce il nome del direttore di quella serata trionfale, in quanto non figura nella nota di sala, ma alcuni studiosi attribuirono la direzione dell’Orchestra Filarmonica di Madrid a Bartholomé Perez Casas, mentre altri a Enrique Fernández Arbós. Pagina famosissima, la Danza rituel del fuego (Danza rituale del fuoco) per cacciare gli spiriti malvagi si segnala per i suoi ritmi ancestrali e quasi “barbarici”.

    Frutto della collaborazione tra Reveriano Soutullo e Juan Bautista Vert Carbonell, che sicuramente sarebbe stata più proficua se la morte non avesse colto Vert all’età di 41 anni per un infarto, è la zarzuela La leggenda del bacio, in due atti su libretto di Enrique Reoyo, José Silva Aramburu e Antonio Paso. Composta nel 1924 e rappresentata, per la prima volta, il 18 gennaio 1924 al Teatro Apolo di Madrid, questa zarzuela è stata assimilata dalla critica a una vera e propria opera sia per il trattamento delle voci che per la ricchezza dell’organico orchestrale evidente quest’ultima nello splendido Intermezzo, una pagina famosa, nella quale emerge, nella sezione centrale, un lirico tema esposto dagli archi.

    Nato a Siviglia nel 1854, Gerónimo Giménez fu un vero e proprio enfant prodige. Dopo aver studiato con suo padre e poi con Salvador Viniegra a Cadice, Giménez, all'età di 12 anni, fu, infatti, ingaggiato come primo violino nell'orchestra del Teatro Principale della città spagnola e a 17 anni, divenuto direttore d'orchestra in una compagnia di opere e di zarzuela, debuttò in questa veste a Gibilterra, dirigendo l'opera Saffo di Pacini. Dopo aver completato i suoi studi al Conservatorio di Parigi, dove fu allievo di Jean-Delphin Alard per il violino e di Ambroise Thomas per la composizione e aver soggiornato per breve tempo in Italia, ritornò in Spagna dove fu nominato direttore presso il Teatro de la Zarzuela della quale coltivò, come compositore, il género chico (genere piccolo). All'interno della sua vasta produzione conseguì una certa fama La boda de Luis Alonso (Le nozze di Louis Alonso), composta nel 1897, il cui intermezzo si segnala per la scrittura vivace nella quale confluiscono i ritmi di varie danze tra cui quello di una seguidillia il cui tema sarebbe stato utilizzato da De Falla nel Cappello a tre punte.

     

    La Spagna dei francesi

     

    “Oserò dire che nessuno spagnolo è riuscito in un modo più genialmente autentico a darci meglio di Chabrier, la versione di una Jota «gridata» come ne canta il popolo d'Aragona nelle ronde notturne”.

    Questo entusiastico giudizio di Manuel De Falla mette ben in evidenza il valore musicale della rapsodia España di Emanuel Chabrier, ispirata da un viaggio in Spagna effettuato dal compositore con la moglie dal mese di luglio a dicembre del 1882. Il primo accenno a questo lavoro è, infatti, contenuto in una lettera, scritta in spagnolo e indirizzata da Cadice il 25 ottobre 1882 da Chabrier al direttore d'orchestra Charles Lamoureux, nella quale si legge:

     “Al mio ritorno a Parigi, scriverò una fantasia straordinaria, molto spagnola, con i ricordi di questo bellissimo viaggio: i miei ritmi, le mie arie agiteranno tutta la sala con movimenti febbrili, tutta la sala si abbraccerà in un bacio supremo; tu, anche, sarai costretto a stringere Dancla [primo violino dei Concerts Lamoureux] tra le tue braccia, tanto le mie melodie saranno voluttuose”.

    In realtà, immerso nelle suggestioni musicali delle quali riferisce nelle sue lettere ai suoi editori, Chabrier, che annota ritmi e melodie, vorrebbe comporre un'opera teatrale, ma non trovando un libretto, ritornato a Parigi nel mese di dicembre, ripiega sulla fantasia di cui aveva scritto nella lettera a Lamoureux e che completa nella parte pianistica nella primavera del 1883. Nel mese di luglio il compositore iniziò l'orchestrazione di questo lavoro che, in un primo tempo, chiamò Jota, per darle il titolo, nel mese di ottobre, di España in onore della raccolta poetica pubblicata da Théophile Gautier nel 1845. Il mese dopo, tra lo scetticismo dei musicisti che, intimiditi, credevano poco nella riuscita del brano, iniziano le prove, sotto la direzione di Lamoureux, con l'orchestra da lui fondata e che aveva la sua sede presso il Théâtre du Château d´Eau a Parigi, dove il 4 novembre 1883 la rapsodia è eseguita con un notevole successo di pubblico e di critica. Armand Gouzien su «Le Rappel» del 6 novembre 1883 scrisse:

    “Un curiosissimo brano orchestrale di Emmanuel Chabrier, intitolato España, inspirato da due motivi di Jota e di Malaguena molto caratteristici, sviluppati con una ricchezza di strumentazione, uno splendore di colori, un'ingegnosità di timbri che collocano, al primo colpo, molto in alto, tra i maneggiatori dell'orchestra, l'autore di questo pezzo molto pittoresco. Non è più qui una Spagna d'opéra-comique, è la vera Spagna, d'Aragona in Andalusia, caratterizzata dalle sue melodie popolari e che il compositore evoca, con una varietà veramente sorprendente […]. È il quadro più vero e sorprendente che sia stato fatto della Spagna, e bisogna ricordare il nome di colui che l'ha firmato e che i ben informati conoscevano già per i suoi Valses romantiques recentemente editi presso Enoch e Costallat e rivelano nel loro autore una rara originalità d'immaginazione”.

    Dello stesso tenore è la recensione apparsa su «La Liberté» a firma di V. de Foncières:

    España è l'opera di un musicista di primordine. Qui non vi è più quella Spagna convenzionale, i cui boleri e i cui fandanghi hanno stancato troppo le nostre orecchie. È un'opera piena di vita e di originalità, realmente vissuta, nella quale la fantasia più ardita si unisce alla più completa conoscenza delle fonti dell'armonia e dell'orchestrazione. Che prodigiosa abilità nella combinazione dei timbri, abilità veramente stupefacente quando si pensa che è la prima volta che Chabrier riesce a far eseguire la sua musica da una grande orchestra”.

    Per l'occasione nella sala fu fatto circolare un programma, che, se non è stato scritto direttamente da Chabrier, fu comunque ispirato dal compositore:

    “La musica popolare spagnola si distingue, tra tutte, per le sue svolte melodiche profondamente personali e soprattutto per una sorprendente varietà di ritmi che essa trae dai Mori. Si trovano in España i refrain vigorosi della Jota, combinati con le frasi libere e sognanti delle Malagueñe. Queste due essenze musicali delle Spagne del Sud e del Nord vi sono mescolate e sovrapposte secondo le fantasie della poliritmia, quella caratteristica della musica orientale”.

    Il brano si apre con una brevissima introduzione in cui gli archi, imitando le chitarre in pizzicato, eseguono un ritmo che Chabrier aveva sentito a Siviglia assistendo a uno spettacolo dato da due o tre Andaluse, del quale il compositore riferisce in una lettera indirizzata ai suoi editori Enoch e Costallat il 21 ottobre 1882. Dopo questa breve introduzione, che si conclude con una scala ascendente la quale, come notato da Roger Delage nella sua biografia dedicata al compositore francese, evoca quasi un'apertura del sipario, inizia la danza grazie a un tema, particolarmente ritmato affidato alla tromba e al fagotto, che passa ai corni per essere perorato dall'orchestra, prima di lasciare la scena a un secondo tema più lirico esposto dai corni e dai fagotti. A quest'ultimi è affidato un altro tema, certamente grazioso, ma sempre derivato ritmicamente da quello iniziale, come del resto il successivo affidato agli archi, raddoppiati dai clarinetti e dai fagotti. Segue un nuovo tema di carattere lirico, esposto dagli archi, che cede il posto a un nuovo episodio musicale nel quale i tromboni, a cui rispondono i legni riprendendo il tema iniziale su un sottofondo misterioso, espongono un nuovo tema marcatissimo. Il brano si conclude con una ripresa nella quale Chabrier mostra la sua grande perizia nell'orchestrazione che appare sfavillante e ricca di colori.

    Come è accaduto per molti altri capolavori del teatro musicale, anche Carmen di George Bizet non ebbe, alla sua prima rappresentazione avvenuta il 3 marzo 1875 all’Opéra-Comique di Parigi, un’accoglienza tale da far presagire la straordinaria fortuna di cui avrebbe goduto in seguito. Il benpensante pubblico parigino, saldamente ancorato al moralismo e al perbenismo della borghesia che proprio in quel periodo celebrava i suoi fasti, rimase scandalizzato dal soggetto dell’opera che i librettisti H. Meilhac e L. Halévy trassero da una novella di Mérimée, in cui tutti i valori borghesi dell’Ottocento romantico venivano sistematicamente smascherati e il lieto fine, tipico di quel genere teatrale, era disatteso per la morte della protagonista per mano del suo gelosissimo amante Don José. La Carmen, alla cui composizione Bizet si era dedicato sin dal 1872 con grande entusiasmo, rimane un’opera importante per aver anticipato il verismo e il realismo psicologico nel teatro lirico oltre che il mito decadente della femme fatale, suprema dispensiera di piacere, ma anche di morte. L’opera, che conobbe il successo già nell’autunno dello stesso anno in una rappresentazione a Vienna con i dialoghi parlati sostituiti con recitativi da Guiraud, annoverò, tra i suoi estimatori, il filosofo Nietzsche che la considerò espressione della solarità mediterranea e di un ritorno alla natura e alla gioia.

    Protagonista dell’opera è Carmen, una zingara di straordinaria bellezza, che lavora come sigaraia in una manifattura di tabacco nei pressi di una piazza di Siviglia. Al suo fascino nessuno riesce a sottrarsi, nemmeno Don Josè, un brigadiere dei dragoni, che non esita a sacrificare il suo onore, favorendone la fuga dopo l’arresto in seguito a una rissa, durante la quale la donna ha ferito una sua compagna, e la sua stessa carriera, aggregandosi a un gruppo di contrabbandieri di cui Carmen faceva parte. Queste prove d’amore non sono sufficienti a conquistare definitivamente l’amore di Carmen che, divenuta l’amante del torero Escamillo, viene uccisa dal brigadiere geloso.

    La prima Suite, costituita da alcuni dei passi più significativi dell’opera, si apre con l’Ouverture, formata dai due brani iniziali, Toreadors, dove, con un ritmo travolgente, vengono presentati i temi della scena iniziale dell’atto quarto che preparano l’atmosfera della corrida, e Prélude in cui è esposto il minaccioso e inquietante tema del destino su un angoscioso tremolo degli archi. Segue il preludio all’atto quarto, Aragonaise, in cui il colore spagnolo emerge nei ritmi e nelle sonorità orchestrali. Di carattere lirico è il successivo Intermezzo, preludio all’atto terzo, caratterizzato da una poetica melodia del flauto. La suite si conclude con una stilizzata marcia, Les Dragons D’Al­cala

    Non meno famosi sono i brani della Seconda suite che si apre con la Marche des contrabandiers, originariamente un brano corale che introduce un’atmosfera notturna. Ad esso segue la celeberrima, Habanera, cantata da Carmen nell’atto primo, nella quale il carattere gitano della femme fatale è espresso da un tema che Bizet trasse da una canzone popolare del compositore spagnolo Yradier. Un’atmosfera notturna contraddistingue il terzo brano, Nocturne, che corrisponde alla lirica canzone di Micaela dell’atto terzo. Famosissima è la successiva Chanson du toréador, nella quale si distingue un assolo della tromba, mentre La garde montante corrisponde al coro dei bambini dell’atto primo, che, aperto da una fanfara militare, prosegue con il clarinetto e i violini che imitano le voci dei fanciulli. Tratto dall’atto secondo è l’ultimo brano della Suite, Danse Bohème, un’energica danza gitana di grande effetto, nella quale la parte di Carmen è sostenuta dai legni e da un assolo della tromba.

     

    Riccardo Viagrande