Del Corno/Beethoven

Marcin Nałęcz-Niesiołowski, direttore

Alessandro Taverna, pianoforte

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    21 Febbraio 2025

    Ore

    21,00

    Durata

    100min.

    Prezzi

    30 - 15 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    22 Febbraio 2025

    Ore

    17,30

    Durata

    80min.

    Prezzi

    30 - 15 €

    Calendario

  • Programma

  • Filippo Del Corno
    Milano 1970

    Maggese (prima esecuzione a Palermo)

    Composto nel 2023 su commissione dell’Orchestra Sinfonica di Milano e della Fondazione Arturo Toscanini di Parma, Maggese è il lavoro più recente del compositore milanese Filippo Del Corno, che, allievo di Azio Corghi e di Danilo Lorenzini presso il Conservatorio del capoluogo lombardo, dove si è diplomato in composizione nel 1995, si è perfezionato con Paolo Cataldi, John Cage e Louis Andriessen. Sin da giovane si è affermato come compositore nel panorama internazionale, come dimostrato dal fatto che i suoi lavori, eseguiti anche da musicisti quali Luciano Berio, James MacMillan, Dimitri Ashkenazy, Emanuele Arciuli, David Alan Miller, figurano nei cartelloni di importanti teatri e istituzioni come il Festival di Lucerna, il Festival di Radio France-Montpellier, il South Bank Centre, il Bang On A Can Marathon, il Teatro alla Scala, la Biennale di Venezia e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ha, inoltre, partecipato su commissione della città di Copenaghen, capitale europea della cultura 1996, alla composizione collettiva di European Requiem, scritto da poeti e musicisti di diverse aree d’Europa e nel 1997, in collaborazione con Angelo Miotto e Carlo Boccadoro, ha fondato Sentieri selvaggi, gruppo dedicato all’esecuzione e alla diffusione della nuova musica. Al 2001 risalgono due importanti lavori nel campo dell’opera: nel mese di aprile, infatti, è andata in scena a Milano la sua opera Orfeo a fumetti, tratta dal libro di Dino Buzzati, immediatamente ripresa a Torino, Mantova e Roma, mentre il progetto operistico Non guardate al domani, su libretto di Angelo Miotto e dedicato alla vicenda di Aldo Moro, è andato in finale al concorso internazionale “Genesis Prize for Opera”.  Per il teatro musicale ha scritto ancora Io Hitler, su testo di Giuseppe Genna, con la regia di Francesco Frongia che ha debuttato nel mese di settembre del 2009 nell’ambito delle manifestazioni in programma per il festival MiTo Settembre Musica, e, nel 2012, Il Rimedio della Fortuna, in collaborazione con Fanny Ardant, Masbedo e Alex Cremonesi, che è andato in scena al Teatro Strehler di Milano e al Festival Romaeuropa. Dal marzo 2013 all’ottobre del 2021, Del Corno ha dovuto sospendere l’attività compositiva a causa del suo impegno in politica come Assessore alla Cultura di Milano. Su Maggese, che è stato eseguito, per la prima volta, presso l’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, dall’Orchestra Sinfonica di Milano, il 12 aprile 2024, sotto la direzione di Sesto Quatrini, il compositore ha scritto una breve nota nella quale chiarisce i motivi d’ispirazione, la genesi e la struttura: «L’antica pratica agricola che restituiva fertilità ai campi mettendoli a riposo per un anno o più mi è apparsa come la migliore metafora possibile per rappresentare la forzata interruzione del mio lavoro compositivo durata oltre otto anni, e dovuta al servizio politico e amministrativo.

    Alla ripresa della mia attività ho voluto provare a dissodare nuovamente il campo del mio pensiero musicale lanciando un seme, rappresentato da una semplicissima idea melodica che compare all’inizio della partitura, per osservarne e assecondarne le diverse forme di germinazione.

    In omaggio alla prassi agraria ho organizzato la struttura generale del brano in quattro parti senza soluzione di continuità, ciascuna delle quali è connotata da una diversa indicazione metronomica, così come quattro sono le lavorazioni a cui è sottoposto il terreno destinato a maggese.

    Ho quindi pensato che il mio Maggese sarebbe stato al riparo dai tumulti e dagli orrori del tempo che viviamo, in virtù della sua programmatica estraneità a riferimenti espliciti di carattere extramusicale. Eppure proprio nel finale affiorano, inconsapevoli e inaspettate, tracce dei giorni dell’ottobre 2023 in cui il pezzo è stato concluso, mentre leggevo ciò che scriveva Francesco Battistini, inviato dal Corriere della Sera a raccontare la tragedia del conflitto israelo-palestinese: Marciscono al sole. Ci passano i cani bradi, ad annusarli. Sono rovesciati a faccia in giù nei campi di maggese. Tre corpi gonfi, viola. Denudati».

    Ad apertura del brano “la semplicissima idea melodica”, di cui parla l’autore in questo commento, è rappresentata da un breve disegno ascendente, esposto dalle viole raddoppiate dai due clarinetti, prima, e dall’oboe, poi, che ne riceve il testimone. Questo “seme” dà i suoi sviluppi, in questa prima sezione della partitura, in una scrittura orchestrale, che ora si inspessisce ora si dirada ora si limita a usare solo alcune sezioni dell’organico, come una piccola fanfara, ma che è sempre ricca dal punto di vista timbrico e in alcuni passi curata dal punto di vista contrappuntistico. La suggestiva sezione successiva, più lenta, vede il tema inziale trattato nelle sue potenzialità liriche, sempre con grande attenzione ai timbri e alla massa orchestrale che prima si inspessisce e, poi, si dirada prima di passare alla terza sezione, nella quale il tema assume la forma di rapide figurazioni. Di carattere contrastante è infine l’ultima sezione lenta, nella quale è sfruttato l’intervallo iniziale di terza minore del tema. Molto suggestivo è il finale in pianissimo.

     

    Durata: 12'

    Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in si bemolle maggiore op. 73 “Imperatore”

    Allegro

    Adagio un poco mosso

    Rondò

     

    Il Quinto concerto fu composto proprio in questi alquanto tribolati giorni, ma fu eseguito per la prima volta in pubblico soltanto due anni dopo, il 28 novembre 1811, al Gewandhaus di Lipsia dove il direttore Johann Philippe Christian Schulz e il giovane pianista Johann Friedrich diedero vita ad un’esecuzione che l’Allgemeine Musikalische Zeitung non esitò a definire un trionfo. Alla prima esecuzione viennese, avvenuta il 15 febbraio 1812 con il giovane pianista Carl Czerny, allievo di Beethoven, il Concerto non ebbe la stessa accoglienza e solo un ufficiale della Grande Armée francese fu sentito, alla fine, esclamare: Questo è l’imperatore dei concerti. Secondo questo aneddoto il titolo posticcio di “Imperatore” deve essere attribuito a questo anonimo ufficiale e non a Johann Baptist Cramer, pianista ed editore oltre che amico del compositore, come vorrebbe un’altra versione dei fatti. Alla fortuna di questo titolo hanno certo contribuito sia la scelta della tonalità, il mi bemolle maggiore, che lo accomuna all’Eroica, sia la monumentalità dell’opera che raggiunge proporzioni senza precedenti tali da rappresentare un’importante innovazione per la stessa forma del concerto solistico.

    Il primo movimento, Allegro, infatti, contrariamente alla consuetudine, che prevede la presenza dell’esposizione orchestrale, mette subito in rilievo il solista, al quale, insieme all’orchestra, è affidato il compito di presentare la tonalità d’impianto, il mi bemolle maggiore, attraverso i suoi accordi più rappresentativi. Proprio da questi accordi scaturiscono eleganti e virtuosistiche decorazioni del solista, generalmente riservate alla cadenza finale del primo movimento, soppressa in questo concerto per esplicita volontà del compositore che prescrisse: non si fa alcuna cadenza, ma si attacca subito il seguente. A questa introduzione segue l’esposizione orchestrale con il trionfale e solenne primo tema, affidato ai violini primi, al quale si contrappone dialetticamente il secondo che assume prima un carattere saltellante nel delicato staccato degli archi per diventare, poi, sensuale nella dolce versione legata affidata ai corni. La riesposizione del solista si configura già come una forma di sviluppo sia per le eleganti variazioni affidate al pianoforte, che ornano il primo tema, sia per la scelta di Beethoven di riprendere il secondo in una tonalità lontana. Nello sviluppo vero e proprio la dialettica tematica, tipica della forma-sonata, si integra in una nuova forma di contrasto dialettico tra l’orchestra, che rielabora i temi, e il pianoforte, al quale è lasciato il compito di variarli virtuosisticamente. Ulteriore testimonianza della perfetta integrazione fra solista e orchestra è l’assenza della cadenza nella parte conclusiva del movimento quando il virtuosismo del pianoforte, mai fine a se stesso e sempre teso a rinnovare gli elementi tematici, dialoga con gli altri strumenti in una totale situazione di parità. Il secondo movimento, Adagio un poco mosso, presenta una delicata e solenne compostezza, dotata di una pensosa religiosità espressa magnificamente dall’iniziale tema di corale in si maggiore, affidato agli archi. Sorprendente e, per certi aspetti, straniante è l’ingresso del pianoforte a cui è affidato uno struggente tema in terzine che, soltanto nella parte conclusiva, cede il posto alla ripresa del tema principale. Legato al secondo movimento con due misure in cui il pianoforte anticipa il tema iniziale, il terzo movimento, Allegro, costituisce una geniale contaminazione tra la forma del Rondò e quella del tema e variazioni. Il tema iniziale, caratterizzato da una grande libertà agogica che maschera, attraverso l’emiolia, il ritmo in 6/8 con una scansione in 3/4, viene variato virtuosisticamente nei successivi episodi che si alternano ai canonici refrain. Questa scrittura virtuosistica dà l’impressione di una continua improvvisazione, ben controllata da Beethoven, che, costruendo tutto in modo perfetto, non lascia all’improvvisazione del solista nessuno spazio se non quello ritagliatogli dal compositore.

     

    Durata: 38'

    Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92

    Poco sostenuto, Vivace

    Allegretto

    Presto

    Allegro con brio

     

     

    “Dare alle sue composizioni musicali la stessa materialità, la stessa fermezza sicura e concreta, chiaramente riconoscibile, che aveva provato con tanta consolante felicità nei fenomeni della natura: questa fu l’anima amante dell’istinto felice al quale dobbiamo la Sinfonia in la maggiore, il vero capolavoro. Ogni slancio, ogni aspirazione, e ogni tempesta del cuore si tramuta in un delizioso senso di gioia che ci strascina con onnipotenza orgiastica, attraverso gli spazi della natura, attraverso tutte le correnti e tutti gli oceani della vita, ci fa gridare di gioia, ci rende coscienti ovunque avanziamo nel ritmo fiero di questa danza umana delle sfere. Questa sinfonia è l’apoteosi della danza in se stessa: è la danza nella sua essenza superiore, l’azione felice dei movimenti del corpo incarnati nella musica”.

    Questo giudizio, articolato e composito, espresso da Wagner nel suo scritto dal titolo L’opera d’arte dell’avvenire, coglie in pieno i caratteri essenziali di questa sinfonia che segna una svolta nella produzione musicale di Beethoven. La Settima Sinfonia, iniziata nel 1811 mentre Beethoven si trovava nella città termale di Teplitz, in Boemia, dove si era recato nella speranza di qualche miglioramento per il suo udito, fa trasparire, nonostante ciò, una gioia apparentemente in contrasto con la dolorosa situazione che egli stava vivendo. L’opera, terminata nel 1812, ebbe la sua prima esecuzione l’8 dicembre del 1813 nella sala grande dell’Università di Vienna in occasione di un concerto di beneficienza tenuto in onore dei soldati austriaci e bavaresi che erano stati feriti nella battaglia di Hanau durante le guerre napoleoniche. Lo stesso Beethoven diresse l’orchestra fornitagli dall’amico Ignaz Schuppanzigh e comprendente alcuni dei migliori musicisti del periodo, come Ludwig Spohr, Johann Hummel, Giacomo Meyerbeer, Antonio Salieri, Anton Romberg e il contrabbassista italiano Domenico Dragonetti del cui virtuosismo il compositore fu così entusiasta da affermare che suonava con grande fuoco e potenza espressiva. L’esecuzione ebbe un notevole successo, come testimonia lo stesso Spohr nella sua Autobiografia: “Le nuove composizioni di Beethoven piacquero enormemente, in particolare la Sinfonia in la maggiore; il meraviglioso secondo movimento dovette essere ripetuto e anche su di me fece un’impressione profonda e duratura. L’esecuzione fu un assoluto capolavoro, malgrado la direzione di Beethoven fosse incerta e spesso comica. Si vedeva chiaramente che il grande maestro del pianoforte, ora un povero sordo, non riusciva a sentire la sua stessa musica. La cosa fu particolarmente notata in un passaggio della seconda parte del primo Allegro della sinfonia. In quel punto si trovano due pause in rapida successione, la seconda delle quali è in pianissimo. Beethoven se n’era probabilmente dimenticato, perché tornò a segnare il tempo prima che l’orchestra avesse eseguito la seconda pausa. In questo modo, senza saperlo, si trovava già dieci o dodici battute avanti all’orchestra quando essa eseguì il pianissimo. Beethoven, per indicare quell’effetto a modo suo, si era completamente rannicchiato sotto il leggio. Sul crescendo che segue fece di nuovo la sua comparsa e prese a rialzarsi sempre di più, finché non saltò in alto come una molla nel momento in cui, secondo i suoi calcoli, sarebbe dovuto iniziare il forte. Poiché questo non arrivò, si guardò intorno spaventato, vide tutto stupito che l’orchestra stava ancora eseguendo il pianissimo, e si riprese soltanto quando, finalmente, il forte tanto atteso ebbe inizio e poté udirlo anche lui. Fu una vera fortuna che questa scena non avesse luogo durante l’esecuzione pubblica, perché di certo avrebbe fatto ridere il pubblico”.

    La sinfonia, definita dallo stesso Beethoven la più eccellente, presenta una grande vitalità ritmica e un uso sperimentale delle relazioni tonali. Il primo movimento si apre con un’introduzione, Poco sostenuto, grandiosa negli imponenti accordi dell’orchestra sostenuti dai timpani e, nello stesso tempo, in netto contrasto con la serena atmosfera agreste evocata nella dolce melodia affidata ai legni e ripresa nella parte conclusiva; il primo tema, esposto dal flauto, del successivo Vivace, in forma-sonata, è un’esplosione di gioia attraverso la danza in un crescendo che finisce per coinvolgere tutta l’orchestra nel clima festante venutosi a determinare. Questo clima di festa prosegue anche con l’esposizione del secondo tema affidato a un dialogo tra archi e fiati il cui materiale motivico è derivato dal primo tema. L’intero sviluppo si basa sul primo tema che viene rielaborato passando in imitazione fra i vari strumenti fino alla perorazione che conduce alla ripresa alla quale segue una grandiosa coda conclusiva. Il clima gioioso della danza muta totalmente nel secondo movimento, Allegretto, che si apre con un aforistico accordo di la minore il quale in modo icastico annuncia il carattere triste dell’intero movimento. Da questo accordo scaturisce un tema sommesso che, presentato inizialmente dalle viole, cerca di librarsi in zone più acute passando, dapprima, ai secondi e ai primi violini e, dopo, ai legni in una perorazione orchestrale, per sovrapporsi ad una nuova idea tematica. Un secondo tema, esposto dai fiati, appare nella sezione centrale che conduce alla ripresa della prima parte qui presentata in forma di variazioni. Il movimento si conclude con la ripresa della seconda sezione e con una breve coda. Il terzo movimento, Presto, costituisce il momento più brioso e danzante dell’intera sinfonia con il tema principale che, coinvolgendo l’intera orchestra con il suo carattere gioioso, dissipa le nubi di tristezza del movimento precedente. Su un pedale di dominante tenuto dai violini viene esposto il tema del Trio (Assai meno presto) che, dopo la ripresa della prima parte, ritorna nuovamente. Una seconda ripresa della prima parte, seguita da una coda, conclude il movimento. Lo stesso clima festoso informa il quarto movimento, Allegro con brio, in forma-sonata, con un primo tema brillante in sedicesimi affidato ai primi violini, a cui si contrappone il secondo, di carattere trionfale, affidato ai fiati.

     

    Riccardo Viagrande

     

    Durata: 38'