Dvořák, Šostakóvič

Nicole Paiement, direttrice

Ettore Pagano, violoncello

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    07 Aprile 2023

    Ore

    21,00

    Durata

    85min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    08 Aprile 2023

    Ore

    17,30

    Durata

    85min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Programma

  • Antonín Dvořák
    Nelahozeves 1841 - Praga 1904

    Concerto n. 2 in si minore per violoncello e orchestra op.104

    Allegro

    Quasi improvvisando: Adagio ma non troppo

    Finale

     

    “Perché mai non seppi che qualcuno avrebbe potuto comporre un concerto per violoncello come questo? Se solo lo avessi saputo, ne avrei composto uno tanto tempo fa”.

     

    Queste parole, espresse da Johannes Brahms, amico e mentore di Dvořák sul Concerto in si minore per violoncello e orchestra op. 104 di quest'ultimo, fanno chiaramente intendere quanto sia difficile portare a termine una composizione per violoncello solista, tanto che gli stessi studenti di Composizione dei Conservatori di musica sono dissuasi dal compiere tentativi del genere all’inizio dei loro studi. Per la verità, Dvořák, già nel 1865, sebbene fosse all’inizio della sua carriera, aveva cominciato a comporne uno in la maggiore. Il pezzo era stato scritto per Ludevít Peer, un musicista che egli conosceva molto bene in quanto entrambi suonavano nell’orchestra del Teatro Nazionale Ceco diretta da Bedřich Smetana. Egli aveva consegnato la partitura per violoncello con accompagnamento di pianoforte a Peer affinché fosse esaminata, ma nessuno dei due si era preoccupato di lavorare ad essa. Questa partitura, rimasta allo stato di manoscritto, sarebbe stata recuperata nel 1925 a Würtemberg e pubblicata postuma nel 1929 dall'editore Breitkopf und Härtel. Dopo questo giovanile tentativo, nonostante altri musicisti avessero rivolto a Dvořák la richiesta, sempre da lui rifiutata, di scrivere un Concerto per violoncello e orchestra, sarebbero trascorsi circa 30 anni prima che il compositore capitolasse di fronte all'invito del grande violoncellista e suo amico Anuš Wihan. Fra il mese di novembre 1894 e il febbraio 1895, alla fine del suo secondo soggiorno americano, Dvořák compose, infatti, questo Concerto. Il rifiuto di comporne in precedenza uno forse era dipeso dalla sua convinzione che questo strumento dalla voce scura figurasse bene nel contesto dell’organico orchestrale, ma fosse totalmente insufficiente per ricoprire il ruolo del solista. Quando, tuttavia, nonostante le riserve di cui sopra, si era deciso a comporlo, egli stesso confessò, in una lettera ad un amico, di essersi notevolmente sorpreso per questa sua decisione. Egli privilegiava, infatti, le note musicali medie e manifestava viva contrarietà, che, a volte, diventava vera e propria insofferenza per le note nasali acute e per quelle sussurrate del registro grave. Questa convinzione venne progressivamente meno e la sua decisione appare più comprensibile in seguito ad un fatto che merita di essere ricordato. Durante il periodo trascorso a New York come direttore del Conservatorio Nazionale, Dvořák aveva constatato che uno degli insegnanti del Conservatorio, Victor Herbert, da lui profondamente stimato, si era già cimentato con successo nella composizione del suo Secondo concerto per violoncello, dal cui ascolto, il 20 novembre 1894, il compositore ceco era rimasto particolarmente impressionato.

    Nonostante la prima spinta alla composizione di questo lavoro fosse venuta da Anuš Wihan, questi non ne fu il primo interprete alla prima esecuzione avvenuta a Londra il 19 marzo 1896, sotto la direzione dell'autore e con Leo Stern in qualità di solista. Erano sorte, infatti, delle divergenze tra il compositore e il violoncellista in merito all'introduzione di elementi meramente virtuosistici all'interno della partitura. All'intenzione di Anuš Wihan di introdurre una cadenza di natura virtuosistica, Dvořák aveva risposto con una lettera abbastanza formale, ma decisa, al suo editore Simrock:

     

    "Il Concerto deve essere eseguito così come è scritto, senza alcun cambiamento da parte di chicchessia, ivi compreso il mio amico Wihan, senza il mio consenso e nemmeno senza una cadenza che Wihan potrebbe aggiungere nel finale, all'ultimo momento […]. Gli ho detto in modo molto chiaro, il finale deve concludersi in modo progressivo, diminuendo - come un sospiro - con reminiscenze del primo e del secondo movimento - il solista si affievolisce fino al pianissimo poi si gonfia di nuovo - e le ultime misure sono puramente orchestrali, in modo che l'opera si conclude in un'atmosfera tempestosa. Questa è la mia idea e non saprei rinunciarvi".

     

    Preso atto delle divergenze tra i due artisti, la Società Filarmonica di Londra aveva deciso allora di ingaggiare Leo Stern, suscitando un'altra reazione da parte del compositore che prontamente scrisse al segretario:

     

    "Mi dispiace d'informarvi del fatto che io non posso dirigere l'esecuzione del concerto per violoncello, dal momento che avevo promesso al mio amico Wihan che sarebbe stato lui che l'avrebbe suonato. Se voi inserite questo concerto nel programma, sappiate che io non verrò, ma mi piacerebbe venire in un'altra occasione".

     

    Alla fine, assodata l'impossibilità di appianare i contrasti con Wihan, Dvořák, di fronte alle difficoltà che avevano messo in discussione l'esecuzione, capitolò accettando di ricevere a Praga Stern in vista proprio della première del Concerto. In realtà Dvořák, alla fine, fece una piccola modifica dal momento che nella Coda dell'ultimo movimento aggiunse, nella parte del primo violino e dei legni il tema del primo dei suoi Quattro Lieder op. 82, particolarmente amato dall'attrice Josefina Kounicova, sua carissima amica, scomparsa proprio in  quel periodo.  

    Il concerto di Dvořák, che fu l’ultimo tra quelli da lui composti per strumento solista, presenta una sua peculiarità, determinata dal fatto che si discosta dalla forma tradizionale del concerto per assumere quella di una sinfonia con violoncello obbligato. Nei tre movimenti, di cui si compone il Concerto, l’orchestra ha una funzione fondamentale nell’esposizione dei temi, ma non sovrasta il suono del violoncello. Tutto il Concerto è dominato dal fervore romantico presente già nel primo movimento, Allegro, dove assume particolare rilievo un perentorio e marziale, nei ritmi puntati, tema principale, marcato nella partitura con l’indicazione dinamica risoluto. L’incipit del primo movimento, in forma-sonata, è costituito da un’introduzione piuttosto lunga fatta dall’orchestra che fissa i temi e permette al solista di variarli in modo virtuosistico. Il perentorio primo tema è perorato dall’orchestra nella parte finale del movimento in una scrittura strumentale che ricorda da vicino l’esposizione del primo tema del primo movimento della Sinfonia “dal nuovo mondo”. Al movimento di apertura segue un Adagio altrettanto lungo dallo spiccato carattere pastorale e, al tempo stesso, tumultuoso, in cui l’ispirazione musicale è più evidente e, altresì, pervasa da un lirismo tipicamente romantico. Assume, quindi, particolare risalto l’intensa partecipazione drammatica del solista che dialoga con l’orchestra in una scrittura che ne esalta la cantabilità e si fonde perfettamente col controcanto degli strumenti dell’orchestra. Il terzo ed ultimo movimento, pervaso da nostalgica inquietudine, è formalmente un rondò in cui la melodia diventa più appassionata e struggente fino a quando, in uno degli episodi, viene ripreso il tema del secondo movimento in modo lento e calmo, realizzando, così, lo schema ciclico già sperimentato nella Sinfonia “dal Nuovo Mondo”. Di grande effetto, infine, è la parte conclusiva.

    Durata: 42'

    Dmitrij Dmtrevič Šostakovič
    San Pietroburgo, 1906 - Mosca, 1975

    Sinfonia n. 1 in fa minore op.10

    Allegretto, Allegro non troppo

    Scherzo, Allegro, Meno mosso, Allegro

    Lento, Largo

    Lento, Allegro molto, Adagio, Largo, Presto

     

    “Credo di aver aperto una nuova pagina nella storia della musica sinfonica, pagina scritta da un nuovo grande compositore”.

     

    In queste parole, pronunciate dal direttore Nikolai Mal’ko all’indomani della prima esecuzione della Prima Sinfonia di Šostakovič il 12 maggio 1926, è evidente tutto il suo orgoglio per aver tenuto a battesimo con la sua bacchetta una delle opere sinfoniche più importanti del Novecento musicale. Dell’importanza di questo primo, ma già maturo, esperimento sinfonico di Šostakovič, è una testimonianza il grande successo riscosso, tale da varcare immediatamente i confini dell’Unione Sovietica per ripetersi a Berlino il 5 maggio 1927 sotto la direzione di Bruno Walter, a Philadelphia il 2 novembre 1928 sotto la direzione di Leopold Stokowski e, sempre nello stesso anno, a Vienna dove tra gli ascoltatori entusiasti si levò anche la voce autorevole di Alban Berg che si espresse così:

     

    “La trovo stupenda, soprattutto il primo movimento!”.

     

    Composta tra il 1923 e il primo luglio del 1926, la Prima sinfonia, che fu presentata da Šostakovič come saggio di diploma di composizione, impose, quindi, il nome del giovanissimo compositore, allora non ancora ventenne, nel panorama della musica mondiale indirizzando la sua attività di compositore verso il genere sinfonico dal quale avrebbe avuto quelle soddisfazioni che non riuscì ad ottenere dalle opere teatrali. Secondo quanto è stato affermato dalla maggior parte degli studiosi, una delle ragioni che avrebbero orientato Šostakovič verso la composizione di sinfonie è da ricercarsi nelle censure politiche nei confronti delle sue opere liriche. In realtà l’amore di Šostakovič per il genere sinfonico ha radici più profonde, in quanto questa sua opera prima precede di ben dieci anni la stroncatura musicale, e, al tempo stesso, politica, che della sua Lady Macbeth del distretto di Mžensk  fece il critico Ždanov nell’articolo, Caos anziché musica, pubblicato il 28 gennaio 1936 dall’organo ufficiale di stampa del partito comunista sovietico, «Pravda» («La verità»), in cui bollò l’opera come un tentativo formalistico piccolo-borghese. Sembra, invece, più plausibile l’ipotesi secondo cui ad orientare Šostakovič verso la sinfonia sia stato il clima culturale favorevole a questo genere musicale diffusosi in Unione Sovietica subito dopo la rivoluzione d’ottobre. Anatol Lunačarskij, ministro della cultura sovietico, aveva promosso la diffusione di concerti sinfonici, durante i quali riteneva che tutte le persone del pubblico presente in sala, come se si stesse celebrando un rito laico, fossero poste nella condizione di provare le stesse emozioni, creando così uno spirito di solidarietà. Nel 1927 fu celebrato in modo solenne il primo centenario della morte di Beethoven, le cui sinfonie, insieme a quelle di Brahms, Bruckner e Mahler, erano eseguite con frequenza nelle città sovietiche. Šostakovič, che fu un assiduo frequentatore delle sale da concerto, fu sicuramente influenzato dall’esecuzione di questi lavori al punto tale da sentire, molto probabilmente, il genere sinfonico come il più congeniale ad esprimere il suo mondo interiore. È forse per tale motivo che questa sinfonia, pur essendo l’opera di un ventenne, è un lavoro già maturo e degno del successo che gli è stato tributato.

    Il primo movimento si apre con un Allegretto introduttivo, di cui è protagonista la tromba. Il successivo Allegro non troppo, in cui si evidenziano un primo tema gaio esposto dal clarinetto e un secondo tema lirico affidato al flauto, apporta allo schema della forma-sonata una piccola variazione rappresentata dall’inversione dell’ordine dei due temi nella riesposizione. Come nelle sinfonie di Borodin il secondo movimento è costituito da uno Scherzo, nel quale una scrittura moderna trasfigura gli elementi popolari russi affidando al pianoforte, qui trattato come un vero e proprio strumento a percussione, un ruolo da protagonista. Il tema del Trio (Meno mosso) è, invece, inizialmente affidato ai flauti per essere ripreso dopo dal fagotto. Un canto nostalgico, che scava nell’interiorità del compositore, è il tema del movimento successivo, Lento, affidato alla calda sonorità dell’oboe, mentre l’ultimo movimento, sebbene sia una pagina poco amata dalla musicologia italiana e, in particolar modo, da critici come Gentilucci e Pestalozza, costituisce quasi l’impronta originale del compositore che conclude la sua opera con una musica rabbiosa di straordinaria varietà agogica. Il movimento si segnala per un uso estremamente moderno delle percussioni caratterizzato da un rullo di tamburo di apertura e da una stupenda e famosa pagina per timpani soli nell’Adagio.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 33'

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