Falla, Rodrigo & Turina

Pablo Mielgo, direttore

Andrea Roberto, chitarra

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    29 Aprile 2022

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    30 Aprile 2022

    Ore

    17,30

    Durata

    80min.

    Prezzi

    20 - 10 €

    Calendario

  • Programma

  • Manuel de Falla
    Cadice 1876 - Alta Gracia 1946

    El amor brujo, suite dal balletto

    Introduzione e scena (Allegro furioso ma non troppo)

    Dai gitani (Notte) (Tranquillo e misterioso)

    Canzone delle pene d’amore (Allegro)

    Lo spettro (Vivo ma non troppo)

    Danza del terrore (Allegro ritmico)

    Il cerchio magico (Racconto del pescatore) (Andante molto tranquillo)

    Mezzanotte (I sortilegi) (Lento e lontano)

    Danza rituale del fuoco (Per scacciare gli spiriti maligni) (Allegro ma non troppo pesante)

    Scena (Poco moderato, Allegro)

    Canzone del fuoco fatuo (Vivo)

    Pantomima (Allegro, Andantino tranquillo)

    Danza della gara amorosa (Allegretto mosso)

    Finale (Le campane del mattino) (Allegro tranquillo)

     

    El amor brujo, pur essendo uno dei lavori di Manuel de Falla più amati dal pubblico, non riscosse un grande successo alla prima rappresentazione, avvenuta al Teatro Lara di Madrid il 15 aprile 1915, almeno da quanto è possibile apprendere nelle recensioni apparse sulla stampa coeva. Se la stampa non gradì questo lavoro, il pubblico, invece, mostrò di apprezzarlo come è dimostrato dal fatto che lo spettacolo resse il cartellone per ben 29 serate. Questa gitaneria (pantomina completa di danza e canto) era stata commissionata a De Falla dalla zingara andalusa Pastora Imperio, cantante e ballerina di flamenco di grande successo, la cui madre Rosario la Mejorana, cantante, particolarmente esperta nel cante jondo (canzone profonda), uno stile del flamenco, fece conoscere al compositore questo genere. Per comporre questa gitaneria De Falla si era avvalso di un organico strumentale alquanto ridotto, in cui figuravano un flauto con obbligo di ottavino, un oboe, un corno, una cornetta, un pianoforte, il quintetto d’archi e, infine, alcune percussioni. Il compositore attribuì la causa dello scarso successo alla scelta di questo organico, dettata dalla struttura architettonica del teatro, destinato alla rappresentazione di opere di prosa e, quindi, privo di una fossa in cui ospitare l’orchestra, tanto che decise di riorchestrare la partitura. La seconda versione, il cui organico, molto più ampio, prevedeva la presenza di due flauti, un oboe, due clarinetti, un fagotto, due trombe, timpani, pianoforte, archi e percussioni, ebbe un notevole successo alla prima esecuzione avvenuta il 28 marzo 1916 per la Società Nazionale di musica presso l’Hotel Ritz di Madrid sotto la direzione di Bartholomé Perez Casas e con Joaquin Turina al pianoforte. Tale successo assicurò a quest’opera, che fu rappresentata nella sua forma originaria di balletto per la prima volta solo nel 1925, un posto nel repertorio sinfonico.

    Il nucleo originario dell’opera è costituito da una canzone gitana, il cui testo fu scritto da María Lejárraga per la prima rappresentazione della commedia Lirio entre spinas (Il giglio tra le spine), di cui era coautrice insieme al marito Gregorio Martinez Sierra. La canzone, musicata da Gerónimo Giménez (1845-1923) e introdotta ad apertura della commedia, cantava le pene d’amore di una giovane gitana tradita dall’uomo di cui era innamorata e nei confronti del quale esprimeva propositi di vendetta. La commedia ebbe un notevole successo in questa versione anche se i coniugi decisero di stamparla non nella forma teatrale, ma in quella originale che non prevedeva la presenza della canzone. Proprio in quel periodo Falla aveva conosciuto i coniugi Martinez Sierra con i quali aveva dato inizio a un’importante e produttiva collaborazione che prevedeva la composizione di musiche di scena per la rappresentazione dei loro lavori teatrali per la stagione 1914-1915 al Teatro Lara di Madrid. In questo teatro era consuetudine chiudere gli spettacoli con un brano musicale e l’impresario, in quell’anno, decise di ingaggiare la famosa ballerina di flamenco Pastora Imperio, il cui repertorio era molto disorganico, in quanto prevedeva l’esecuzione di canti e danze, accompagnati da una chitarra e da un pianoforte senza alcun legame tra di loro. Proprio per dare una certa coerenza allo spettacolo della famosa ballerina nacque il nucleo originario dell’Amor brujo, che ruotò attorno a quella canzone riscritta da María Lejárraga per l’occasione con il titolo Canción del amor dolido (Canzone delle pene d’amore). Alla canzone Falla fece seguire la Danza del fin del día (La danza della fine del giorno) che, nella versione definitiva, sarebbe diventata la celeberrima Danza rituale del fuoco. Da questo nucleo originario, con l’aggiunta di brani nuovi, nacque la prima versione dell’Amor brujo, il cui libretto, scritto dai coniugi Martinez Sierra, narra di una gitana, innamorata e non sufficientemente corrisposta che ricorre alle sue arti magiche per intenerire il cuore dell’uomo, riuscendo nel suo intento. Protagonista della seconda versione per balletto è, invece, Candelas, che ama, corrisposta, un gitano di nome Carmelo, ma alla cui felicità si oppone lo spettro di un suo vecchio amore che la tormenta con la sua gelosia postuma. Soltanto alcuni sortilegi, grazie ai quali Candelas riuscirà ad allontanare l’attenzione dello spettro da sé per rivolgerla ad un’altra gitana di nome Lucía, permetteranno ai due giovani di liberarsi dall’incubo e, quindi, di coronare il loro sogno d’amore.

    Dopo l’energico attacco orchestrale, Introduction y Escena (Introduzione e scena), in cui al pianoforte, al flauto, all’ottavino e all’oboe è affidato un motivo dal carattere ossessivo, il tremolo degli archi gravi fa da introduzione al successivo brano En la cueva (Dai gitani) che esprime le inquietudini causate dall’atmosfera notturna. In questo clima inquieto, accentuato dalla scansione delle ore ad opera dei due flauti, del pianoforte e della prima fila dei primi violini, si erge il canto della zingara di Granata, Candelas, che intona la sua Canción del amor dolido (Canzone delle pene d’amore). Il senso di terrore diventa ulteriormente più intenso nel brano successivo El aparecido (Lo spettro) con l’apparizione dello spettro la cui immagine, delineata dal tema della tromba formato da note ribattute, sparisce immediatamente con le veloci folate del pianoforte, del flauto e degli archi, lasciando, tuttavia, sopravvivere un seguito di stati d’animo angosciosi provocati dal ricordo inquietante degli amori defunti che, nella Danza del terror, si personalizzano intrecciando un ballo sinistro intorno a Candelas. La donna cerca di porre rimedio a questi incubi ricorrendo alla magia, rappresentata da un etereo motivo affidato alle trombe nel successivo brano El circolo magico (Il cerchio magico). Finalmente è Mezzanotte (Medianoche) e i rintocchi battuti dal pianoforte ricordano che è il momento opportuno per iniziare i sortilegi; la Danza rituel del fuego (Danza rituale del fuoco) per cacciare gli spiriti malvagi può così iniziare con i suoi ritmi ancestrali e quasi “barbarici”, a cui seguono i motivi orientaleggianti dell’oboe nella Escena (Scena) successiva. Nei sortilegi interviene anche il fuoco il cui potere magico è richiamato nella successiva Danza rituel del fuego fatuo (Danza rituale del fuoco fatuo) alla quale segue una pantomima i cui personaggi diventano il malinconico violoncello e il dolce oboe. La Danza del juego dell’amor (La danza della gara amorosa) costituisce un ultimo momento di inquietudine con le cupe sonorità orchestrali prima che la gioia si possa finalmente liberare in Las campanas del amanecer (Le campane del mattino). Qui le campane annunciano la fine delle tenebre e i due amanti possono scambiare il loro pegno d’amore. L’incantesimo è, finalmente, sciolto e l’amore può così trionfare.

    Durata: 25'

    Joaquín Rodrigo
    Sagunto, 1901 - Madrid, 1999

    Concierto de Aranjuez per chitarra e orchestra

    Allegro con spirito

    Adagio

    Allegro gentile

     

    Joaquin Rodrigo con il Concerto de Aranjuez per chitarra e orchestra, scritto per celebrare i giardini del palazzo reale di Aranjuez, residenza primaverile del re Filippo II, in seguito ricostruito nella metà del secolo XVIII da Fernando VI, volle quasi far rivivere  i suoni della natura presenti in un tempo e in uno spazio lontani. Il Concerto, iniziato a Parigi nei primi mesi del 1939, mentre imperversava la guerra civile in Spagna e vi erano già le tensioni che avrebbero portato alla Seconda Guerra Mondiale, fu eseguito il 9 novembre 1940 al Palacio de Musica di Barcellona dall’Orchestra Filarmonica di Barcellona sotto la direzione di César Mendoza Lasalle con il chitarrista Regino Sainz de la Manza, a cui è dedicato. Fu eseguito, l’11 dicembre dello stesso anno, al Teatro Español di Madrid diretto da Jesús Arámbarri. Da quel momento il lavoro ha avuto un grande successo ed è stato interpretato da un gran numero di musicisti, tra cui Miles Davis, che nell’album  Sketches of Spain affermò:

     

    “Si tratta di una melodia che è talmente forte che più piano la esegui, più forte risulta, mentre se la esegui con più forza, risulta più debole”.

     

    Il Concerto ha goduto di una straordinaria popolarità, testimoniata dal fatto che da un arrangiamento del secondo movimento è stata  ricavata, su un testo tratto dalle liriche di Guy Bontempelli, una canzone famosa dal titolo Aranjuez Mon Amour, cantata anche da Richard Anthony nel 1967. Oltre ad essere stata utilizzata in show televisivi e in alcune pubblicità, la principale melodia sempre del secondo movimento è stata adattata da alcuni cantori ebrei, soprattutto di tendenza sefardita, per la più importante parte della liturgia ebraica, il kaddish, in America Latina e in Israele. Grazie a tale successo Rodrigo fu insignito dal re Juan Carlos di Spagna, nel 1991, del titolo di Marchese dei Giardini di Aranjuez ed è stato seppellito, insieme alla moglie Victoria, nel cimitero locale

    Questo Concerto, che ostenta una strumentazione particolare, in quanto è molto raro trovare una chitarra solista che si confronta con l’orchestra senza mai essere sommersa da essa, si articola in tre movimenti. Della novità di questo Concerto fu consapevole lo stesso Rodrigo che affermò:

     

    “Deve risuonare come la brezza nascosta che muove nel parco le punte delle foglie ed essere lieve come una farfalla”.

     

    Il primo movimento,  Allegro con spirito, che, secondo quanto affermato dallo stesso compositore, è animato da una forza ritmica e da un vigore pur in assenza dei due temi… interrompendo il suo implacabile ritmo, si fonda sulla tradizione spagnola e, in particolar modo della danza, con la sua oscillazione tipica tra 6/8 e 3/4. Dal punto di vista formale il movimento è articolato nella tradizionale forma-sonata, anche se il materiale musicale è interamente originato dalla cellula ritmica iniziale esposta dalla chitarra.

    Il secondo movimento, Adagio, che, secondo Rodrigo, rappresenta un dialogo tra la chitarra e gli strumenti solisti, è il più famoso dell’intera composizione per la sua straordinaria forza espressiva. Tra gli strumenti, con cui la chitarra dialoga, spicca il corno inglese attorno al quale si costruisce un tessuto sonoro formato da reminescenze orientaleggianti e da elementi popolari che ricordano il cante jondo. Il momento più intenso dal punto di vista espressivo è costituito dai poderosi accordi eseguiti dalla chitarra nella cadenza che precede la ripresa del tema principale da parte di tutta l’orchestra.

    L’ultimo movimento, Allegro gentile, che, secondo quanto affermato dallo stesso Rodrigo, ricorda un ballo formale che nella combinazione di un ritmo doppio e triplo mantiene un tempo teso prossimo alla misura prossima, è un rondò classicheggiante che, in un certo qual modo, ricorda alcune movenze mozartiane. 

    Durata: 23'

    Joaquín Turina
    Siviglia, 1882 - Madrid, 1949

    Sinfonia Sevillana, op.23

    Panorama

    Por el rio Guadalquivir

    Fiesta en San Juan de Aznalfarache

     

    Vero e proprio enfant prodige, Joaquín Turina, che era nato a Siviglia il 9 dicembre del 1882, dopo aver debuttato come pianista nella città natale all’età di 15 anni ottenendo un notevole successo, proseguì i suoi studi a Madrid dove avrebbe stretto una solida e duratura amicizia con Manuel De Falla e Isaac Albéniz. Fu proprio  quest’ultimo ad indirizzare l’attenzione di Turina verso la musica popolare andalusa alla quale il compositore si ispirò già nella sua Suite Sevilla per pianoforte del 1908 e nel Quartetto per archi del 1910. La tradizione popolare andalusa ritorna anche nella Sinfonia Sevillana op. 23, che, composta nel 1920 ed eseguita, per la prima volta l’11 settembre dello stesso anno a Madrid sotto la direzione di Enrique Fernández Arbós, è l’unico lavoro di Turina che porta il nome di sinfonia se si esclude una Sinfonia del mar, rimasta solo in abbozzo. Questa sinfonia, tuttavia, conserva solo il nome della forma classica alla quale fa riferimento, in quanto è piuttosto una suite di tre brani, ciascuno dei quali “dipinge” un particolare aspetto di Siviglia, città natale di Turina. Autentica protagonista di questo lavoro, nel quale vivono i ritmi, soprattutto, del flamenco e i colori della tradizione andalusa senza che Turina citi direttamente temi popolari, è, dunque, Siviglia, della quale, nel primo movimento, Panorama è offerto un quadro generale della città. Nel secondo movimento, Por el rio Guadalquivir, l’eponimo fiume, sulle cui rive sorge Siviglia, è rappresentato con una scrittura poetica e una raffinata orchestrazione, mentre l’ultimo movimento, Fiesta en San Juan de Aznalfarache, è un’autentica esplosione di ritmi e colori.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 23'