Puccini-Rizzi/ Pizzetti/ Respighi
Carlo Rizzi, direttore
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Programma
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Giacomo Puccini
Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924 Carlo Rizzi
Milano 1960Suite sinfonica da Tosca, realizzata da Carlo Rizzi in occasione del 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini
Durata: 20'
Giacomo Puccini
Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924 Carlo Rizzi
Milano 1960Suite sinfonica da Madama Butterfly, realizzata da Carlo Rizzi in occasione del 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini
Durata: 18'
La prima infatuazione di Puccini per Tosca, l’eroina uscita dalla penna di Victorien Sardou, risale al 1889, quando, appena due settimane dopo la prima di Edgar, il compositore aveva manifestato a Giulio Ricordi, in una lettera del 7 maggio, il suo desiderio di mettere in musica questo dramma rappresentato due anni prima a Parigi con grande successo:
“Carissimo signor Giulio, dopo due o tre giorni di ozii campestri per riposarmi di tutte le strapazzate sofferte, mi accorgo che la volontà di lavorare invece d’essersene andata, ritorna più gagliarda di prima… penso alla Tosca! La scongiuro di far le pratiche necessarie per ottenere il permesso di Sardou, prima di abbandonare l’idea, cosa che mi dorrebbe moltissimo, poiché in questa Tosca vedo l’opera che ci vuole per me, non di proporzioni eccessive né come spettacolo decorativo né tale da dar luogo alla solita sovrabbondanza musicale. A giorni sarò a Milano per mettermi subito alla correzione edgariana, anzi ho qui con me Carignani che mette in ordine la riduzione del 3° atto”.
Nel 1889 i tempi, però, non erano ancora maturi perché Puccini potesse metterlo in musica e il progetto fu accantonato per molti anni durante i quali egli colse i suoi primi importanti successi con Manon Lescaut e Bohème. Fu, soltanto, nel 1896 che si rifece viva in lui l’antica infatuazione per Tosca la cui realizzazione fu ostacolata dal fatto che un altro compositore, Alberto Franchetti, non solo aveva già firmato, forse già nel 1893, un contratto con l’editore Ricordi per mettere in musica il dramma di Sardou, ma nell’autunno del 1894 si era anche recato a Parigi per discutere con l’autore dell’adattamento librettistico approntato da Illica. Non fu facile rescindere il contratto tra Franchetti e Ricordi, ma fu proprio l’astuto editore a dipanare questa intricata matassa, convinto che Puccini avrebbe fatto un lavoro migliore di Franchetti. A tale fine mise in atto uno stratagemma moralmente discutibile ma efficace: sapendo che sarebbe stato inutile fare qualunque offerta di denaro a Franchetti, ricco di famiglia, il grande editore lo convocò nel suo studio, dove, insieme ad Illica, enumerò alcuni difetti del soggetto che, a loro giudizio, ne avrebbero pregiudicato il successo. Franchetti, convinto dalle obiezioni di Ricordi e di Illica, rinunciò ai diritti sul soggetto lasciando campo libero a Puccini che, secondo alcuni biografi, il giorno stesso firmò il contratto con l’editore. Andata in scena, su suggerimento di Illica, al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900 sotto la direzione di Leopoldo Mugnone con Hariclea Darclée (Tosca), Emilio De Marchi (Cavaradossi) ed Eugenio Giraldoni (Scarpia), l’opera, dopo un inizio traballante a causa sia del falso allarme relativo alla presenza di una bomba nel teatro, dove erano attesi la regina Margherita e membri del Governo, sia di alcuni ritardatari che disturbarono il pubblico già presente in sala, ebbe un notevole successo nonostante l’esecuzione non proprio perfetta che destò qualche perplessità presso la critica.
Mentre era ancora viva l’eco della prima rappresentazione di Tosca, Puccini già fremeva alla ricerca di un soggetto per una nuova opera, al punto che in una lettera alla futura moglie Elvira si autodefiniva, utilizzando un suo neologismo, inoperaio e in un’altra del mese di agosto dello stesso anno indirizzata a Ricordi si firmava il vostro operaio disoccupato. Tra i numerosi soggetti proposti in questo periodo Puccini manifestò un certo interesse per il celebre romanzo di Alphonse Daudet Tartarin de Tarascon, ma il suo entusiasmo fu, però, ben presto raffreddato sia dal rifiuto di Giacosa che si lamentò di non essere stato informato prima, sia da Illica per le difficoltà che avrebbe incontrato a lavorare da solo a un tale progetto, che riteneva poco adatto alla musica di Puccini, sia da Ricordi, che consigliò ad Illica di fermare il lavoro in attesa della soluzione di un'inchiesta fatta presso la Società degli Autori francese circa i diritti musicali del romanzo di Daudet. La risposta della Società degli Autori eliminò tutte le perplessità di Illica perché Daudet, qualche anno prima della sua morte, aveva venduto i diritti del romanzo ad un compositore poco conosciuto che lo aveva utilizzato per comporre, senza successo, un'operetta e, avendone l’esclusiva, rifiutava il permesso a Puccini. La ricerca di un nuovo soggetto si concluse, in modo del tutto inaspettato, una sera a Londra, dove Puccini si trovava, nell’estate del 1900, per le rappresentazioni di Tosca al Covent Garden. Quella sera, infatti, il compositore, pur non comprendendo quasi nulla, dal momento che non conosceva l’inglese, rimase fortemente impressionato dall’impatto drammatico di un lavoro che in quel periodo si dava a Londra, Madama Butterfly di David Belasco, un atto unico che, alla prima rappresentazione al Duke of York’s Theatre con Evelyn Millard nella parte della protagonista, aveva ottenuto un successo tale da essere replicato fino a luglio. Secondo il racconto poco attendibile di Belasco, Puccini, che si sarebbe recato, subito dopo la rappresentazione, nel suo camerino per chiedergli il permesso di musicare questo suo lavoro, avrebbe dato vita ad una scena poco rispondente alla verità dei fatti:
“Giacomo Puccini, il compositore italiano, era presente quella notte e, dopo che il sipario fu calato, venne dietro le quinte per abbracciarmi con entusiasmo e chiedermi di concedergli di servirsi di Madama Butterfly per un libretto d'opera. Fui subito d'accordo e gli dissi che poteva fare qualunque cosa gli piacesse del dramma e che preparasse qualunque tipo di contratto dal momento che è impossibile discutere di affari con un impulsivo italiano che ha le lacrime agli occhi e ti mette tutte e due le braccia al collo. Non potevo mai credere che egli abbia visto Madama Butterfly quella prima notte; aveva solamente sentito la musica che avrebbe scritto”.
La verità è un po’ diversa, in quanto le trattative, condotte da George Maxwell, rappresentante a New York di Ricordi, non si conclusero prima del mese di aprile del 1901 quando fu firmato il contratto con Belasco. Puccini, tuttavia, confidando nel consenso verbale strappato al drammaturgo, aveva cominciato a lavorare all’argomento sin dal mese di novembre abbozzando dei progetti iniziali di adattamento scenico. Firmato il contratto con Belasco, l’adattamento della Butterfly fu abbastanza facile, anche perché il testo teatrale si prestava molto bene ad una trasposizione per il teatro musicale. Messosi al lavoro con un certo entusiasmo, Puccini, il 18 settembre 1902, poté scrivere a Ricordi a proposito della composizione della Butterfly:
“Butterfly va bene. Ho attraversato un brutto periodo burrascoso… Ora pare che un po’ di calma sia arrivata. Dunque Butterfly va avanti non à grande vitesse ma va. Sono al secondo atto e adesso però voglio strumentare qualche pagina del primo”.
La burrasca, a cui fa cenno Puccini, si riferisce probabilmente alle solite scenate di gelosia di Elvira che, tuttavia, non avevano impedito al compositore di lavorare all'opera di cui aveva deciso di modificare la struttura unificando il secondo e il terzo atto. Alla fine del mese di novembre del 1902, egli aveva iniziato l’orchestrazione del primo atto e il lavoro sembrava procedere con una certa facilità quando, vittima di un incidente d’auto, il 25 febbraio 1903, mentre era di ritorno a Torre del Lago di notte con la moglie Elvira e il figlio Tonio dopo una cena a Lucca, fu costretto a ben otto mesi di convalescenza. Ripreso soltanto alla fine dell'estate e portato a termine il 27 settembre alle 11:10 di sera, il lavoro, nella versione in due atti, andò in scena il 17 febbraio 1904 alla Scala di Milano, ma, nonostante l'ottimo cast, che comprendeva Rosina Storchio (Cio-Cio-San), Giovanni Zenatello (Pinkerton) e Giuseppe De Luca (Sharpless) e con Cleofonte Campanini sul podio, fu un clamoroso fiasco. Puccini, convinto dei valori musicali della sua opera, il giorno dopo della sfortunata prima alla Scala, scrisse a Camillo Bondi, un suo amico milanese: «la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e più suggestiva che io abbia mai concepito! e avrò la rivincita, vedrai – se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni». Puccini ebbe effettivamente ragione e l’opera, con alcune modifiche e con Solomija Krušel'nyc'ka nella parte della protagonista, trionfò al Teatro Grande di Brescia il 28 maggio 1904 in una sala gremita di importanti personalità del mondo musicale milanese, tanto che la rappresentazione può essere ritenuta di pari livello rispetto a una vera e propria prima alla Scala.
In quest’occasione sarà proposta l’esecuzione delle due suite sinfoniche realizzate nell’anno del centenario della morte di Puccini da Carlo Rizzi il quale ha affermato:
"Spero che coloro che già amano Tosca e Butterfly si godranno l'opportunità di concentrarsi interamente sull'orchestra mentre ascoltano, e che le persone che sono abitualmente più attratte dalla sala da concerto che dal teatro d'opera saranno ricompensate esplorando qualcosa di nuovo. Alla fine il mio unico obiettivo è quello di condividere e celebrare Puccini con tutti".
Ildebrando Pizzetti
Parma 1880 - Roma 1968Preludi sinfonici per l’Edipo Re di Sofocle
Largo
Con impeto
Con molta espressione di dolore
Nell’arco della sua lunga attività di compositore, Pizzetti scrisse numerose musiche di scena commissionategli per rappresentazioni drammatiche, ma, nel comporle, egli non venne mai meno ai suoi principi estetici e linguistici, dando vita a veri e propri lavori musicali che conservano la loro autonomia rispetto alle tragedie o alle commedie rappresentate. Convinto assertore che ogni opera teatrale, essendo formata di parole, necessita di essere integrata dalla musica a condizione che il testo superi la realtà quotidiana per assumere un carattere universale, egli impresse alle sue musiche di scena quell’unità linguistica e umana che aveva caratterizzato tutti i suoi drammi. Ciò spiega la sua preferenza per l’antichità greca il cui centro d’attenzione era l’uomo con le sue passioni e i suoi sentimenti.
Sono del 1903 i Tre Preludi sinfonici, che, scritti per l’Edipo Re di Sofocle, su incarico del famoso attore Gustavo Salvini al quale Pizzetti in precedenza aveva dedicato un’Ouverture per l’Edipo a Colono, furono eseguiti per la prima volta il 1° marzo del 1903. In questi preludi, entrati a far parte della produzione sinfonica, c’è già quella maturità di stile che allontana l’autore dal semplice commento musicale legato all’azione scenica. Egli esprime, infatti, la sua totale indipendenza dal lavoro drammatico e il suo particolare modo di porsi di fronte alla figura tragica del protagonista e, nello stesso tempo, finisce per potenziare con la sua musica il mito dell’eroe.
Nel primo preludio, Largo, il tema a note ribattute conferisce un sentimento di desolazione che prelude alla tragedia incombente sul popolo tebano. Il secondo preludio, Con impeto, nel quale viene evocato il ritorno a Tebe di Edipo dopo il responso dell’oracolo, si segnala per un andamento ritmico più incisivo e soprattutto per una melodia dell’oboe alla quale non sono estranee influenze del Tristan und Isolde di Wagner. Il carattere doloroso del terzo preludio, Con molta espressione di dolore, nel quale, dopo un a solo del violino, ritorna il tema del primo preludio, rappresenta bene la tragedia di Edipo che, colpevole di parricidio e di incesto e ormai cieco, lascia la città di Tebe, accompagnato dalla figlia Antigone, l’unica persona ad avere pietà di lui.
Durata: 18'
Ottorino Respighi
Bologna 1879 - Roma 1936Feste romane
- Circenses - Moderato, Molto allegro, Moderato, Allegro molto, Moderato, Molto allegro, Pesante, Andante, Più mosso, Ancora più mosso, Precipitando, Allegro, Allegro vivo, Largo
- Il Giubileo - Doloroso e stanco, Poco più mosso, Allegro moderato, Allegro festoso, Più calmo, Allegro
- L'Ottobrata - Allegro gioioso, Allegretto vivace, Meno mosso, Andante sostenuto, Più Lento, Andante lento ed espressivo
- La Befana - Vivo, Vivacissimo, Vivo, Tempo di Saltarello, Tempo pesante di Valzer, Tempo più moderato di Saltarello, Molto vivo, Meno vivo, Vivacissimo, Molto vivo, Sostenuto, Presto, Prestissimo
Al 1928 risale la composizione di Feste romane, che, insieme a Fontane di Roma e Pini di Roma, non è solo l’ultimo poema sinfonico della cosiddetta trilogia romana, ma è anche l’ultima opera orchestrale di Ottorino Respighi. Eseguito per la prima volta alla Carnegie Hall di New York, il 21 Febbraio 1929, anche quest’ultimo poema sinfonico è diviso in quattro quadri rappresentanti quattro diverse feste che si svolgevano nella città eterna. In questo poema non ha nessuna importanza se una festa pagana ed antica, come quella rappresentata in Circenses, si mescola a quella religiosa del Giubileo, in quanto unico denominatore e fonte di unità dell’intero poema è Roma.
Il primo movimento, Circenses, che evoca i ludi romani che si svolgevano nel circo, sembra recuperare una struttura formale tripartita, in cui la prima sezione è caratterizzata dalla contrapposizione di due idee tematiche contrastanti delle quali la prima, affidata alle buccine, sembra annunciare l’ingresso di Nerone nel Circo, mentre la seconda descrive la plebe festante. Dopo una sezione centrale, che vive anch’essa del contrasto di due idee tematiche, Respighi riprende la prima parte.
Nel secondo movimento, Il Giubileo, un tema affidato agli archi, ai clarinetti ed ai fagotti accompagna il pellegrinaggio dei fedeli a Roma, i quali, alla vista della città eterna, prorompono in grida e canti di gioia, ben rappresentati dall’ispessimento del tessuto orchestrale.
Al clima solenne, sebbene festoso, del Giubileo, segue un movimento più brillante e allegro, rappresentato da L’ottobrata, nella quale viene descritta una giornata di festa in campagna. In questa festa non mancano, infatti, i tintinnii delle sonagliere, resi dalla celesta, il canto d’amore, eseguito dal violino e, infine, la serenata affidata al mandolino.
L’ultimo movimento, La befana, costituisce il brano più frenetico dell’intero poema sinfonico e rappresenta la festa della notte dell’Epifania a Piazza Navona. La confusione della piazza in festa è resa da un tema frenetico affidato inizialmente al clarinetto piccolo, al quale si uniscono, in seguito, anche gli altri clarinetti e le trombe, che, nella parte conclusiva, riecheggiano la voce di un banditore, mentre il trombone si esibisce in un canto che ricorda le movenze sgangherate di quello di un ubriaco.
Riccardo Viagrande
Durata: 25'