Rachmaninov
Ryan McAdams, direttore
Mikhail Pletnev, pianoforte
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Programma
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Sergej Vasil'evič Rachmaninov
Oneg, Novgorod, 1873 - Beverly Hills, 1943L’isola dei morti poema sinfonico in la minore op. 20
Lento, Tranquillo, Largo, Meno mosso, Allegro molto, Largo, Tempo I
“Cos’è la musica? È una calma notte di luna, un frusciare estivo di foglie, uno scampanio lontano nella sera. La musica nasce solo dal cuore e si rivolge al cuore. È amore. Sorella della musica è la poesia e madre la sofferenza. Essa deve esprimere il paese di nascita del compositore, i suoi amori, la sua religiosità, i libri che l'hanno influenzato, le pitture che ama”.
La poetica musicale di Rachmaninov, espressa in queste sintetiche quanto efficaci parole, trova la sua perfetta realizzazione in questo poema sinfonico, per il quale il compositore si ispirò proprio ad una delle pitture da lui amate, dalla quale mutuò anche il titolo, L’isola dei morti, del pittore svizzero Arnold Böcklin. Questo poema sinfonico fu composto tra il 1907 e il 1908 in un periodo particolarmente felice per Rachmaninov che con questo lavoro e con la contemporanea Seconda sinfonia ritornò alla composizione di lavori scritti esclusivamente per orchestra dopo l’insuccesso occorso alla prima esecuzione della sua Prima sinfonia avvenuta a Pietroburgo, circa dieci anni prima, alla fine del 1897. In quell’occasione i fischi, che sommersero la sinfonia, furono tali che Rachmaninov, come ebbe modo di scrivere egli stesso nel suo resoconto della serata, rimase inizialmente paralizzato e incredulo tanto da abbandonare la sala prima della fine del concerto. La critica, il giorno dopo, non fu più tenera del pubblico e giudicò l’opera in modo pesantemente negativo, quando addirittura non la derise apertamente. Lo choc fu tale da indurre Rachmaninov ad abbandonare per ben due anni l’attività di compositore e da causargli una forte crisi depressiva che lo condusse alle soglie del suicidio. Dieci anni dopo, rinfrancato dal successo ottenuto con il Secondo concerto per pianoforte e orchestra e diventato un affermato direttore d’orchestra, nella cui veste era stato acclamato per ben due stagioni al Bolshoi di Mosca, egli ritrovò la fiducia necessaria per riaccostarsi al genere della sinfonia. A Dresda, in Germania, dove si era trasferito insieme con la figlioletta e la moglie, trovò anche la serenità per comporre e qui portò a termine, insieme alla Seconda sinfonia, sottoposta a diverse revisioni, anche L’isola dei morti.
Vera e propria icona dell’arte moderna, L’isola dei morti di Arnold Böcklin è uno dei dipinti più noti e più apprezzati tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Di questo dipinto Böcklin fece ben cinque versioni dopo la prima commissionatagli da una contessa fiorentina che gli aveva chiesto un lavoro fortemente onirico. Al fascino di questo dipinto, apprezzato da Freud che ne mise una copia nel suo studio tra i falsi d’autore della sua famosa collezione, da Dalì, da De Chirico e perfino da Adolf Hitler che nel 1936 a un’asta ne acquistò la terza versione, non rimase indifferente nemmeno Rachmaninov il quale nella sua partitura evocò le forti sensazioni suscitate dal quadro in cui è ritratto un isolotto roccioso e desolato verso il quale si sta dirigendo una barca a remi. Su quest’ultima si trovano un vogatore, da molti identificato come Caronte, e un passeggero in abito bianco simboleggiante un’anima, secondo un’interpretazione seguita anche da Rachmaninov e utilizzata nella composizione di questo poema sinfonico.
La musica di Rachmaninov, più che descrivere eventi, evoca delle sensazioni di cui sono esempi il senso di desolazione e di silenzio che promana dall’immagine della roccia. Proprio il silenzio e un’atmosfera rarefatta sono i protagonisti della parte iniziale di questo poema sinfonico in cui sembra trovare adeguata realizzazione musicale quanto affermato dallo stesso Böcklin a proposito della sua opera pittorica:
“un quadro-sogno: essa deve riprodurre un tale silenzio che uno sarebbe intimorito dal bussare alla porta”.
Nel poema sinfonico il lento avvicinarsi della barca all’isolotto è perfettamente descritto anche dalla frazione ritmica in 5/8 che rappresenta icasticamente il gesto di Caronte grazie alla sua interna scansione in tre e in due unità idonee a simboleggiare rispettivamente il movimento del remo sia nell’acqua che fuori. Attraverso una scrittura orchestrale estremamente raffinata il poema prosegue con la rappresentazione del viaggio nella notte e della nebbia densa e si anima nell’appassionato addio alla felicità della vita umana. La musica si colora di tinte drammatiche nella rappresentazione della morte, qui descritta con l’esposizione del tema gregoriano del Dies irae utilizzato da Rachmaninov anche nello Scherzo della contemporanea Seconda sinfonia. Infine il poema si conclude con il ritorno delle sonorità rarefatte e soffuse iniziali che rappresentano la barca mentre sparisce dopo aver lasciato il suo carico nell’isola.
Durata: 21'
Sergej Vasil'evič Rachmaninov
Oneg, Novgorod, 1873 - Beverly Hills, 1943Concerto n. 4 in sol minore per pianoforte e orchestra op.40
Allegro vivace, alla breve
Moderato
Allegro vivace
Composto nel 1926, il Quarto concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov ebbe una gestazione particolarmente lunga e complessa dovuta sia ai dubbi del compositore sulla sua eccessiva lunghezza sia all’accoglienza piuttosto fredda del pubblico alla prima esecuzione avvenuta il 18 marzo 1927 a Filadelfia sotto la direzione di Leopold Stokowski e con Rachmaninov al pianoforte. I primi abbozzi del concerto risalgono, infatti, al 1914 come si evince da un articolo apparso sulla rivista «Muzika» nell’aprile di quell’anno in cui si leggeva che Rachmaninov stesse lavorando ad un nuovo concerto per pianoforte e orchestra, ma le numerose tournée concertistiche, che videro il compositore impegnato in tutto il mondo, non gli consentirono di lavorarvi in modo regolare. Soltanto nel mese di gennaio del 1926, a New York, Rachmaninov poté dedicarsi alla composizione del concerto con una certa regolarità, ma, appena concluso, il compositore fu assalito da dubbi sulla sua lunghezza. In una lettera dell’8 settembre 1926 inviata al compositore e pianista Nikolaj Medtner, al quale avrebbe dedicato il Concerto:
“Ho ricevuto la copia del mio nuovo Concerto. Ho dato uno sguardo alle sue dimensioni - 110 pagine! - e mi sono spaventato. [...] Bisognerà eseguirlo come il Ring, in diverse serate successive. [...] Apparentemente il vero problema sta nel terzo movimento: che cosa non c'ho messo dentro! Ho già iniziato, nella mia mente, a individuare possibili tagli”.
Cinque giorni dopo, Medtner consegnò a una lettera il suo forte dissenso:
“Non posso essere d'accordo con te [...]. Naturalmente ci sono dei limiti alla lunghezza dei brani musicali [...]. Ma all'interno di questi limiti umani, non è la lunghezza di una composizione musicale a creare un'impressione di noia, ma piuttosto è la noiosità che dà la sensazione della lunghezza. [...] Una canzone di due pagine priva di ispirazione a me sembra più lunga della Carmen di Bizet e Der Doppelgänger di Schubert mi sembra più grandioso di una Sinfonia di Bruckner”
Per nulla convinto dalle parole di Medner, Rachmaninov incominciò a rimaneggiare il Concerto che, pur con le modifiche, fu accolto in modo piuttosto freddo alla prima esecuzione sia dal pubblico sia dalla critica che lo pose a confronto con il Secondo. Rachmaninov decise allora di apportare ulteriori modifiche che, completate nel mese di luglio del 1928, dopo un mese e mezzo di duro lavoro, come testimoniato da una lettera del 28 luglio all’amico Yuli Konius, nella quale si legge:
“Dopo un mese e mezzo di duro lavoro ho finito le correzioni al mio Concerto. [...] Ho riscritto le prime 12 battute e anche l'intera coda”.
In realtà le modifiche, come rilevato dal musicologo Robert Threlfall, furono profonde dal momento che riguardarono non solo il numero delle battute (ne furono tagliate ben 114) ma anche alcune sezioni sia orchestrali sia pianistiche interamente riscritte. In questa forma il Concerto fu eseguito in diverse occasioni fino al 1931, quando Rachmaninov decise di ritirarlo affermando che lo avrebbe riportato nelle sale da concerto solo dopo un’attenta revisione che egli fece nel 1941, due anni prima della morte. In questa versione il Concerto fu eseguito per la prima volta sempre a Philadelphia il 20 dicembre del 1941 con la Philadelphia Orchestra diretta da Eugene Ormandy. Oggi è possibile anche ascoltare la prima versione del Concerto che è stata pubblicata nel 2000 dalla Boosey & Hawkes ed incisa dal pianista Alexander Ghindin con la Helsinki Philharmonic Orchestra diretta da Vladimir Ashkenazy. In questa occasione il Concerto sarà eseguito nella versione del 1941 che è anche quella che si è affermata nel repertorio. Il primo movimento, Allegro vivace, alla breve, si segnala per una scrittura rapsodica su un’armonia alquanto complessa, mentre il secondo movimento, Largo, presenta una maggiore cantabilità ed è unito direttamente al terzo, Allegro vivace, nel quale è dato maggiore risalto al virtuosismo.
Durata: 26'
Sergej Vasil'evič Rachmaninov
Oneg, Novgorod, 1873 - Beverly Hills, 1943Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra op. 43
Introduzione: Allegro vivace - Variazione I (Precedente) –Tema: L'istesso tempo – Variazione II: L'istesso tempo – Variazione III: L'istesso tempo –Variazione IV: Più vivo – Variazione V: Tempo precedente – Variazione VI: L'istesso tempo – Variazione VII: Meno mosso, a tempo moderato –Variazione VIII: Tempo I – Variazione IX: L'istesso tempo – Variazione X: L'istesso tempo – Variazione XI: Moderato – Variazione XII: Tempo di minuetto – Variazione XIII: Allegro – Variazione XIV: L'istesso tempo – Variazione XV: Più vivo scherzando – Variazione XVI: Allegretto – Variazione XVII: Allegretto – Variazione XVIII: Andante cantabile –Variazione XIX: A tempo vivace – Variazione XX: Un poco più vivo – Variazione XXI: Un poco più vivo – Variazione XXII: Un poco più vivo (Alla breve) – Variazione XXIII: L'istesso tempo – Variazione XXIV: A tempo un poco meno mosso
Composta nel 1934, la Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra op. 43 è uno degli ultimi lavori di Rachmaninov che, con questa composizione, conseguì uno dei suoi ultimi importanti successi. La fredda accoglienza, riservata dal pubblico al suo Quarto concerto per pianoforte e orchestra alla prima esecuzione avvenuta il 18 marzo 1927 alla Symphony Hall dell'American Academy of Music di Filadelfia, aveva acuito quella forma di impasse creativo a cui il compositore era andato soggetto già da quando, nel 1917, aveva lasciato la sua patria. Al compositore Nikolaj Medtner, suo amico di vecchia data, che gli aveva chiesto quali fossero le ragioni dell’abbandono della sua attività creativa, Rachmaninov, infatti, aveva risposto: come faccio a scrivere musica senza una melodia? Rachmaninov sembrò ritrovare quella melodia apparentemente perduta nel 1931, in Svizzera, dove si era stabilito, grazie allo studio delle opere dei grandi compositori del passato e, in particolar modo, di Arcangelo Corelli, del quale scelse il celeberrimo tema della Follia per una serie di variazioni per pianoforte. Rinfrancato dal successo ottenuto con questa composizione alla prima esecuzione avvenuta il 12 ottobre 1931 all’His Majesty's Theatre di Montréal, Rachmaninov decise di comporre un’altra serie di variazioni, questa volta, per pianoforte e orchestra. Per questo suo nuovo lavoro, che egli scrisse in un mese e mezzo circa tra il 3 luglio e il 18 agosto del 1934, rivolse la sua attenzione a un altro grande compositore italiano, Niccolò Paganini, nella cui figura sembrò identificarsi sia per aspetti attinenti alla loro esperienza umana, in quanto entrambi vissero lontani dalla terra natale, sia per la fama di virtuosi che li accomunava, dal momento che, come Paganini era stato considerato il maggiore violinista della sua epoca, anche Rachmaninov fu ritenuto uno dei più importanti e maggiormente richiesti pianisti del suo tempo. Per questo lavoro il compositore scelse il tema del celeberrimo ventiquattresimo Capriccio di Paganini, già utilizzato da Liszt e Brahms, qui sottoposto a una serie di 24 variazioni in una struttura che lo stesso compositore definì una fantasia in forma di variazioni su un tema di Paganini.
Eseguita con notevole successo il 7 novembre 1934 a Baltimora sotto la direzione di Leopold Stokowski e con il compositore al pianoforte, la Rapsodia, dal punto di vista formale, può essere divisa in tre movimenti da eseguire senza soluzione di continuità e corrispondenti a quelli tradizionali del concerto solistico. L’opera, il cui primo movimento corrisponde, in base a questo schema, alle prime 10 variazioni, si apre con un’introduzione orchestrale nella quale il tema appare in una forma frammentaria. Ad essa segue la prima variazione, chiamata Precedente, in quanto precede la vera e propria esposizione del tema presentandone soltanto lo scheletro ritmico. Finalmente il tema viene esposto dai violini a cui segue la seconda variazione della quale è protagonista il pianoforte. Nelle successive tre variazioni il pianoforte e l’orchestra fanno sfoggio del loro virtuosismo dando vita, nella quinta, a un dialogo serrato, mentre protagonista della sesta è il solista che si produce in un episodio di carattere rapsodico. Nella settima variazione è introdotto dai corni il tema del Dies irae, che manifesta quel sentimento quasi ossessivo della vicinanza della morte provato dal compositore nei suoi ultimi anni di vita. Nell’ottava, caratterizzata da possenti accordi del pianoforte, nella nona, tutta giocata su un insistente sincopato, e nella decima, dove il tema del Dies irae è ripreso dal solista, la scrittura ritorna a essere virtuosistica. Con l’undicesima variazione, di carattere rapsodico, si apre la seconda sezione di questa composizione con il pianoforte che si stacca gradatamente dall’orchestra la quale, nella quattordicesima, rielabora il tema in una scrittura marziale. Il pianoforte torna protagonista nella quindicesima variazione con rapidi arpeggi sullo schema armonico del tema per cedere il testimone all’oboe, al corno inglese e al violino che si scambiano il tema tra di loro nella sedicesima. Qui sembra introdursi un’atmosfera sentimentale che raggiunge il suo punto culminante nella diciottesima variazione dove appare un tema tenero e cantabile in tonalità maggiore che viene perorato dall’orchestra. Le successive sei variazioni costituiscono l’ultima virtuosistica sezione della Rapsodia con il pianoforte che ritorna progressivamente protagonista per affermare la sua supremazia nell’ultima variazione dopo una sua cadenza di carattere solistico. Molto suggestiva è la conclusione in pianissimo con un semplice pizzicato degli archi.
Riccardo Viagrande
Durata: 23'