Ramin Bahrami/Bach
Jurek Dybal, direttore
Ramin Bahrami, pianoforte
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Programma
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Johann Sebastian Bach
Eisenach, 1685 - Lipsia, 1750Aria (dalla Suite n.3 in re maggiore per orchestra BWV 1068)
Periodo di composizione: Lipsia, 1727-1736. Il 3 luglio 1735 Carlo di Borbone, re di Napoli, viene incoronato a Palermo anche re di Sicilia. In questo decennio, inoltre, inizia, in Inghilterra, la rivoluzione industriale con l’invenzione della spoletta volante, brevettata da John Kay nel 1733.
Chiamate anche Ouvertures, le quattro Suites per orchestra furono composte a distanza di tempo, dal momento che le prime due appartengono al periodo di Köthen, mentre la terza e la quarta furono scritte tra il 1727 e il 1736. Sono opere d’occasione e di consumo che rispondono alla passione, divenuta una vera e propria moda presso l’aristocrazia tedesca, per i raffinati costumi francesi e per la danza. Nonostante il carattere occasionale di questa musica di intrattenimento, nelle Suites che Bach poteva scrivere senza eccessivo impegno, si nota la sua tipica curiosità per la sperimentazione di nuove forme all’interno di convenzioni consolidate dalla tradizione, alle quali egli rimase, in alcuni punti, fedele. Ogni Suite, pur iniziando, infatti, con un’ouverture che segue il classico schema lulliano con due movimenti lenti separati da una veloce fuga, presenta importanti differenze nel numero e nella distribuzione delle danze, nell’organico strumentale e nelle scelte compositive di Bach.
Pur presentando il minor numero di danze, la celeberrima Terza suite ha un’estensione simile alle altre soprattutto per la lunghezza dei suoi movimenti. La Suite, che, nella versione originale, si segnala anche per un organico orchestrale molto ricco nel quale figurano anche i timpani e le trombe, aveva sicuramente una destinazione cerimoniale, come si può notare nella solenne ouverture iniziale e nella giga finale. Ad essa appartiene la famosa e patetica Aria, pagina diventata celebre, anche grazie all’arrangiamento di August Wilhelm che l’ha trasposta in do maggiore, in modo che la sua melodia possa essere suonata sulla quarta corda (sol) del violino. In quest’occasione sarà eseguita nella versione originale di Bach.
Durata: 6'
Concerto n. 1 in re minore BWV 1052 per pianoforte e archi
Allegro
Adagio
Allegro
Periodo di composizione: Lipsia, 1725-1735.
La produzione di concerti per clavicembalo, che consta di ben 14 lavori, si concentra nel decennio che va dal 1725 al 1735, quando i figli del compositore, diventati ormai dei virtuosi di questo strumento, avevano bisogno di nuove composizioni per potersi esibire nel «Collegium Musicum» della città di Lipsia, dove il padre ricopriva la carica di Thomaskantor e Direktor musices. Molti di questi concerti sono rielaborazioni di precedenti, andati perduti, nei quali era già presente uno specifico linguaggio cembalistico in funzione concertante. Così degli otto concerti per un solo clavicembalo sono rielaborazioni di precedenti lavori: i BWV 1054, BWV 1058, che traggono spunto dai due concerti per violino rimasti e, rispettivamente, dal BWV 1042 e dal BWV 1041; il BWV 1057, che è una rielaborazione del quarto dei Brandeburghesi; i BWV 1052, il BWV 1053 e il BWV 1055 che sono altrettanti rifacimenti di altri composti nel periodo di Köthen o di Weimar. Infine i concerti BWV 1063 e BWV 1064 per tre clavicembali sono delle rielaborazioni di concerti per tre violini non pervenutici, mentre il BWV 1065 per quattro clavicembali è una trascrizione del Concerto per quattro violini op. 3 n. 10 di Vivaldi. Questi lavori clavicembalistici non si configurano come semplici trascrizioni, in quanto Bach non trascrisse la parte del solista per la mano destra del clavicembalo ma riscrisse intere parti.
Proprio a Vivaldi ha fatto pensare l’ardita scrittura contrappuntistica del Concerto in re minore BWV 1052, oggi eseguito sul pianoforte, che è forse uno degli ultimi della serie in ordine di composizione, ma che è certamente la rielaborazione di un concerto per violino non pervenutoci dello stesso Bach e non di Vivaldi, come alcuni musicologi hanno ipotizzato. Molto bello è l’inizio del primo movimento Allegro, caratterizzato da un gesto teatrale di grande effetto con tutti gli strumenti che suonano quasi all’unisono, mentre il solista esegue passi di notevole virtuosismo già nel primo episodio solistico. Due interventi dell’orchestra, posti all’inizio e a conclusione del secondo movimento, Adagio, incastonano un vasto episodio lirico di carattere cantilenante, affidato al solista e tipico della scrittura melodica bachiana. Il virtuosismo emerge con maggiore forza nel terzo e ultimo movimento, Allegro.
Durata: 23'
Concerto n. 5 in fa minore BWV 1056 per pianoforte e archi
Allegro
Largo
Presto
Periodo di composizione: Lipsia, 1725-1735.
L’originaria veste violinistica è evidente nel Concerto in fa minore BWV 1056, del quale Gustav Schrenk tentò una ricostruzione per violino trasportando l’intero lavoro in sol minore. Bach, nel trascrivere per clavicembalo i concerti per violino, li trasportava un tono sotto per mantenerli all’interno della normale estensione dello strumento a tastiera. Il primo movimento, Allegro, presenta un carattere vivace, mentre il Largo, tratto dal movimento centrale della sinfonia con oboe obbligato di una cantata sacra del periodo di Lipsia (BWV 156), è una pagina di intenso lirismo. Carattere spigliato presenta infine l’Allegro conclusivo.
Durata: 12'
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Amburgo, 1809 - Lipsia, 1847Sinfonia n. 5 in re minore op. 107 “La Riforma”
Andante, Allegro con fuoco
Allegro vivace
Andante
Corale: "Ein' feste Burg ist unser Gott" (Andante con moto), Allegro vivace, Allegro maestoso
Periodo di composizione: Settembre 1829 - estate 1830
Prima esecuzione privata: Berlino, Residenza di Mendelssohn, 15 novembre 1832. Il 21 luglio, con il Trattato di Costantinopoli, la Grecia acquista la sua indipendenza dall’Impero Ottomano.
«Un'opera completamente fallita», così lo stesso Mendelssohn definì la sua Sinfonia n. 5 "La Riforma" a proposito della quale aggiunse che era quella tra le sue cose che avrebbe bruciato più volentieri auspicando che non avrebbe mai dovuto essere pubblicata. In effetti l'opera, che non fu mai pubblicata vivente il compositore, venne stampata dall'editore Breitkopf & Härtel soltanto nel 1868, vent'anni dopo la morte di Mendelssohn e 38 anni dopo la sua composizione. Per questa ragione la sinfonia, pur essendo la seconda ad essere stata composta da Mendelssohn, è numerata come quinta e porta un numero d'opera (107) molto alto. La composizione della sinfonia risale, infatti, al 1829 quando Mendelssohn, di religione protestante ma di famiglia di origine ebrea, decise di comporre un lavoro di grande respiro per celebrare il terzo centenario della Confessione Augustana che, redatta nel 1530, costituisce uno dei testi fondanti del Protestantesimo. Composta tra il mese di settembre del 1829 e l'estate del 1830, la sinfonia non fu eseguita né in occasione delle suddette celebrazioni, né nella primavera del 1832 a Parigi, dove la Société des Concerts du Conservatoire, dopo una lettura fatta dal celebre direttore d'orchestra François-Antoine Habeneck, decise di mettere in programma l'Ouverture del Sogno d'una notte di mezza estate. La prima esecuzione della Sinfonia avvenne, comunque, il 15 novembre di quell'anno a Berlino sotto la direzione di Mendelssohn che, poi, la ripose in un cassetto da dove non la tirò più fuori.
Il carattere celebrativo informa l'intera sinfonia nella quale ha un'importanza capitale il celeberrimo tema dell'Amen di Dresda che appare, nella parte dei violini, alla fine dell'introduzione lenta, Andante, del primo movimento, un Allegro con fuoco, in forma-sonata, in cui vengono rielaborati gli elementi tematici dell'introduzione. Il secondo movimento, Allegro vivace, è un brillante Scherzo, finemente orchestrato, all'interno del quale emerge un Trio di carattere pastorale, mentre il terzo (Andante), molto breve e affidato quasi interamente ai soli archi, è una romanza senza parole con una sezione in "recitativo". L'ultimo movimento, aperto dal tema del corale Ein' feste Burg ist unser Gott (Forte rocca è il nostro Dio) esposto dal flauto, è quello in cui l'intento celebrativo è maggiormente evidente soprattutto nell'imponente finale.
Riccardo Viagrande
Durata: 26'