Beethoven/Del Corno/ Paderewski

Marcin Nałęcz-Niesiołowski, direttore

Alessandro Taverna, pianoforte

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    21 Febbraio 2025

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    - €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    22 Febbraio 2025

    Ore

    17,30

    Durata

    80min.

    Prezzi

    - €

    Calendario

  • Programma

  • Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Concerto n. 5 "Imperatore" per pianoforte e orchestra op.73

    Allegro

    Adagio un poco mosso

    Rondò

     

    Composto nel 1809, il Quinto concerto per pianoforte e orchestra costituisce il congedo di un Beethoven ancora giovane da questo genere che pur gli aveva riservato notevoli e importanti successi e si configura, quindi, come una forma di testamento che, per il suo carattere monumentale e sinfonico, apre le porte agli importanti sviluppi che questa forma avrebbe avuto nell’Ottocento. Acclamato pianista, Beethoven si era, infatti, inserito nel mondo musicale prima come esecutore che come compositore ed era stato il primo interprete al pianoforte dei suoi concerti, dei quali l’ultimo era stato eseguito soltanto un anno prima, il 22 dicembre 1808, al Teatro An der Wien. L’acuirsi della sordità e, quindi, l’impossibilità di sedersi al pianoforte per eseguire come solista la propria musica indussero, probabilmente, Beethoven a non scrivere più concerti per strumento solista in genere e per pianoforte in particolare. Il 1809, inoltre, non era stato certo un anno facile per il compositore per il quale alla già grave menomazione fisica si unì una sfavorevole congiuntura sia personale che politica, determinatasi, quest’ultima, con l’occupazione di Vienna da parte delle truppe napoleoniche che l’11 maggio di quell’anno avevano aperto il fuoco sulla capitale asburgica costringendo Beethoven a lasciare la sua casa a Wallfischgasse e a rifugiarsi presso il fratello Karl.

    Il Quinto concerto fu composto proprio in questi alquanto tribolati giorni, ma fu eseguito per la prima volta in pubblico soltanto due anni dopo, il 28 novembre 1811, al Gewandhaus di Lipsia dove il direttore Johann Philippe Christian Schulz e il giovane pianista Johann Friedrich diedero vita ad un’esecuzione che l’«Allgemeine Musikalische Zeitung» non esitò a definire un trionfo. Alla prima esecuzione viennese, avvenuta il 15 febbraio 1812 con il giovane pianista Carl Czerny, allievo di Beethoven, il Concerto non ebbe la stessa accoglienza e solo un ufficiale della Grande Armée francese fu sentito, alla fine, esclamare: Questo è l’imperatore dei concerti. Secondo questo aneddoto il titolo posticcio di “Imperatore” deve essere attribuito a questo anonimo ufficiale e non a Johann Baptist Cramer, pianista ed editore oltre che amico del compositore, come vorrebbe un’altra versione dei fatti. Alla fortuna di questo titolo hanno certo contribuito sia la scelta della tonalità, il mi bemolle maggiore, che lo accomuna all’Eroica, sia la monumentalità dell’opera che raggiunge proporzioni senza precedenti tali da rappresentare un’importante innovazione per la stessa forma del concerto solistico.

    Il primo movimento, Allegro, infatti, contrariamente alla consuetudine, che prevede la presenza dell’esposizione orchestrale, mette subito in rilievo il solista, al quale, insieme all’orchestra, è affidato il compito di presentare la tonalità d’impianto, il mi bemolle maggiore, attraverso i suoi accordi più rappresentativi. Proprio da questi accordi scaturiscono eleganti e virtuosistiche decorazioni del solista, generalmente riservate alla cadenza finale del primo movimento, soppressa in questo concerto per esplicita volontà del compositore che prescrisse: non si fa alcuna cadenza, ma si attacca subito il seguente. A questa introduzione segue l’esposizione orchestrale con il trionfale e solenne primo tema, affidato ai violini primi, al quale si contrappone dialetticamente il secondo che assume prima un carattere saltellante nel delicato staccato degli archi per diventare, poi, sensuale nella dolce versione legata affidata ai corni. La riesposizione del solista si configura già come una forma di sviluppo sia per le eleganti variazioni affidate al pianoforte, che ornano il primo tema, sia per la scelta di Beethoven di riprendere il secondo in una tonalità lontana. Nello sviluppo vero e proprio la dialettica tematica, tipica della forma-sonata, si integra in una nuova forma di contrasto dialettico tra l’orchestra, che rielabora i temi, e il pianoforte, al quale è lasciato il compito di variarli virtuosisticamente. Ulteriore testimonianza della perfetta integrazione fra solista e orchestra è l’assenza della cadenza nella parte conclusiva del movimento quando il virtuosismo del pianoforte, mai fine a se stesso e sempre teso a rinnovare gli elementi tematici, dialoga con gli altri strumenti in una totale situazione di parità. Il secondo movimento, Adagio un poco mosso, presenta una delicata e solenne compostezza, dotata di una pensosa religiosità espressa magnificamente dall’iniziale tema di corale in si maggiore, affidato agli archi. Sorprendente e, per certi aspetti, straniante è l’ingresso del pianoforte a cui è affidato uno struggente tema in terzine che, soltanto nella parte conclusiva, cede il posto alla ripresa del tema principale. Legato al secondo movimento con due misure in cui il pianoforte anticipa il tema iniziale, il terzo movimento, Allegro, costituisce una geniale contaminazione tra la forma del Rondò e quella del tema e variazioni. Il tema iniziale, caratterizzato da una grande libertà agogica che maschera, attraverso l’emiolia, il ritmo in 6/8 con una scansione in 3/4, viene variato virtuosisticamente nei successivi episodi che si alternano ai canonici refrain. Questa scrittura virtuosistica dà l’impressione di una continua improvvisazione, ben controllata da Beethoven, che, costruendo tutto in modo perfetto, non lascia all’improvvisazione del solista nessuno spazio se non quello ritagliatogli dal compositore.

    Durata: 38'

    Filippo Del Corno
    Milano 1970

    Maggese per orchestra - prima esecuzione a Palermo

    Composto nel 2023 su commissione dell’Orchestra Sinfonica di Milano e della Fondazione Arturo Toscanini di Parma, Maggese è il lavoro più recente del compositore milanese Filippo Del Corno, che, allievo di Azio Corghi e di Danilo Lorenzini presso il Conservatorio del capoluogo lombardo, dove si è diplomato in composizione nel 1995, si è perfezionato con Paolo Cataldi, John Cage e Louis Andriessen. Sin da giovane si è affermato come compositore nel panorama internazionale, come dimostrato dal fatto che i suoi lavori, eseguiti anche da musicisti quali Luciano Berio, James MacMillan, Dimitri Ashkenazy, Emanuele Arciuli, David Alan Miller, figurano nei cartelloni di importanti teatri e istituzioni come il Festival di Lucerna, il Festival di Radio France-Montpellier, il South Bank Centre, il Bang On A Can Marathon, il Teatro alla Scala, la Biennale di Venezia e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ha, inoltre, partecipato su commissione della città di Copenaghen, capitale europea della cultura 1996, alla composizione collettiva di European Requiem, scritto da poeti e musicisti di diverse aree d’Europa e nel 1997, in collaborazione con Angelo Miotto e Carlo Boccadoro, ha fondato Sentieri selvaggi, gruppo dedicato all’esecuzione e alla diffusione della nuova musica. Al 2001 risalgono due importanti lavori nel campo dell’opera: nel mese di aprile, infatti, è andata in scena a Milano la sua opera Orfeo a fumetti, tratta dal libro di Dino Buzzati, immediatamente ripresa a Torino, Mantova e Roma, mentre il progetto operistico Non guardate al domani, su libretto di Angelo Miotto e dedicato alla vicenda di Aldo Moro, è andato in finale al concorso internazionale “Genesis Prize for Opera”.  Per il teatro musicale ha scritto ancora Io Hitler, su testo di Giuseppe Genna, con la regia di Francesco Frongia che ha debuttato nel mese di settembre del 2009 nell’ambito delle manifestazioni in programma per il festival MiTo Settembre Musica, e, nel 2012, Il Rimedio della Fortuna, in collaborazione con Fanny Ardant, Masbedo e Alex Cremonesi, che è andato in scena al Teatro Strehler di Milano e al Festival Romaeuropa. Dal marzo 2013 all’ottobre del 2021, Del Corno ha dovuto sospendere l’attività compositiva a causa del suo impegno in politica come Assessore alla Cultura di Milano. Su Maggese, che è stato eseguito, per la prima volta, presso l’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, dall’Orchestra Sinfonica di Milano, il 12 aprile 2024, sotto la direzione di Sesto Quatrini, il compositore ha scritto una breve nota nella quale chiarisce i motivi d’ispirazione, la genesi e la struttura:

    “L’antica pratica agricola che restituiva fertilità ai campi mettendoli a riposo per un anno o più mi è apparsa come la migliore metafora possibile per rappresentare la forzata interruzione del mio lavoro compositivo durata oltre otto anni, e dovuta al servizio politico e amministrativo.

    Alla ripresa della mia attività ho voluto provare a dissodare nuovamente il campo del mio pensiero musicale lanciando un seme, rappresentato da una semplicissima idea melodica che compare all’inizio della partitura, per osservarne e assecondarne le diverse forme di germinazione.

    In omaggio alla prassi agraria ho organizzato la struttura generale del brano in quattro parti senza soluzione di continuità, ciascuna delle quali è connotata da una diversa indicazione metronomica, così come quattro sono le lavorazioni a cui è sottoposto il terreno destinato a maggese.

    Ho quindi pensato che il mio Maggese sarebbe stato al riparo dai tumulti e dagli orrori del tempo che viviamo, in virtù della sua programmatica estraneità a riferimenti espliciti di carattere extramusicale. Eppure proprio nel finale affiorano, inconsapevoli e inaspettate, tracce dei giorni dell’ottobre 2023 in cui il pezzo è stato concluso, mentre leggevo ciò che scriveva Francesco Battistini, inviato dal Corriere della Sera a raccontare la tragedia del conflitto israelo-palestinese: «Marciscono al sole. Ci passano i cani bradi, ad annusarli. Sono rovesciati a faccia in giù nei campi di maggese. Tre corpi gonfi, viola. Denudati»”.

    Ad apertura del brano “la semplicissima idea melodica”, di cui parla l’autore in questo commento, è rappresentata da un breve disegno ascendente, esposto dalle viole raddoppiate dai due clarinetti, prima, e dall’oboe, poi, che ne riceve il testimone. Questo “seme” dà i suoi sviluppi, in questa prima sezione della partitura, in una scrittura orchestrale, che ora si inspessisce ora si dirada ora si limita a usare solo alcune sezioni dell’organico, come una piccola fanfara, ma che è sempre ricca dal punto di vista timbrico e in alcuni passi curata dal punto di vista contrappuntistico. La suggestiva sezione successiva, più lenta, vede il tema inziale trattato nelle sue potenzialità liriche, sempre con grande attenzione ai timbri e alla massa orchestrale che prima si inspessisce e, poi, si dirada prima di passare alla terza sezione, nella quale il tema assume la forma di rapide figurazioni. Di carattere contrastante è infine l’ultima sezione lenta, nella quale è sfruttato l’intervallo iniziale di terza minore del tema. Molto suggestivo è il finale in pianissimo.

    Durata: 12'

    Ignacy Jan Paderewski
    Kuryłówka 1860 - New York 1941

    Fantaisie polonaise in sol diesis minore op. 19

    Allegro moderato, Tempo tranquillo, Largamente, Animato molto, Vivace ma non troppo e poi molto accelerando, Vivo, Andante sostenuto, Tempo I sostenuto, Allegro giocoso, Molto animato, Vivo, Moderato molto, Più lento, Presto         

     

    Grande pianista e soprattutto grande interprete delle opere di Chopin, del quale curò, insieme a L. Bronarski e J. Turczynski, anche l’edizione completa delle opere, Ignacy Jan Paderewski, sin da bambino, mostrò il suo talento per le musica e per il pianoforte, tanto che a 12 anni, dopo aver studiato privatamente, fu ammesso al Conservatorio di Varsavia dove si diplomò a 18 anni e dove fu assunto, sebbene giovanissimo, come insegnante. La svolta nella sua vita avvenne, nel 1881, quando a seguito della morte della giovane moglie, decise di trasferirsi, prima, a Berlino, dove studiò composizione con Friedrich Kiel e Heinrich Urban, e, poi, nel 1884, a Vienna dove, oltre a proseguire i suoi studi con il connazionale Teodor Leszetycki, fece il suo esordio come pianista nel 1887, ottenendo un successo confermato anche nelle sue successive esibizioni a Parigi, a Londra e negli Stati Uniti. Non meno importanti furono i suoi successi come compositore, di cui un esempio è costituito dalla trionfale première della sua Manru, nel 1901, a Dresda sotto la direzione di Ernst von Schuch. All’attività di grande concertista e compositore, Paderewski accompagnò quella di politico e diplomatico. Fu, infatti, primo ministro e ministro degli esteri della Polonia dal 16 gennaio al 9 dicembre 1919, rappresentando la sua nazione alla Conferenza di pace di Parigi nel 1919, alla fine della Prima Guerra Mondiale, e fu anche l’ambasciatore presso la neonata Società delle Nazioni.

    Composta nel 1893 e dedicata a Madame la Princesse R. Bassaraba de Brancovan, la Fantaisie polonaise in sol diesis minore op. 19 divenne uno dei cavalli di battaglia di Paderewski il quale, dopo la prima esecuzione in occasione dell’edizione del 1893 del Festival di Norwich, la ripropose spesso nei suoi concerti. È una pagina di carattere rapsodico e dalla grande varietà agogica, nella quale è sintetizzato tutto il pianismo di Paderewski, caratterizzato da uno straordinario virtuosismo e da un tocco veramente espressivo che poteva sfoggiare nei momenti di lirismo. Dopo una breve introduzione orchestrale, che espone un tema in 2/4 a ritmi puntati, il pianoforte si presenta subito con una figurazione di carattere virtuosistico che starebbe bene in una cadenza per riprendere, poi, il tema iniziale del quale esalta ora il ritmo marcato ora i suoi aspetti lirici. Nella sezione che si apre con l’andamento, Vivace ma non troppo e poi molto accelerando, il fagotto e le viole espongono un nuovo tema di polacca, in 3/4, con l’accento sulla seconda suddivisione, che viene sviluppato da Paderewski in una forma di parossistico crescendo e accelerando al cui culmine interviene il pianoforte che, oltre a riprenderlo, lo rielabora sempre in una scrittura virtuosistica fino all’Andante sostenuto, dove ritornano due elementi melodici del tema iniziale. Un altro tema di polacca appare in corrispondenza della sezione marcata con l’andamento Allegro giocoso, dove è introdotto dall’orchestra un altro tema più pomposo. Una cadenza, che riassume ancora una volta il pianismo di Paderewski con elementi virtuosistici e altri di carattere lirico, introduce la travolgente e fantasmagorica coda (Presto).

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 24'