Paganini/Janàček /Martinů
CHRISTIAN ARMING direttore
MENGLA HUANG violino
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Luogo
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Politeama Garibaldi - Palermo
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Venerdì 17 Aprile 2026
Ore
20,30
Durata
90min.
Prezzi
30 - 18 €
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Programma
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Niccolò Paganini
Genova, 1782 - Nizza, 1840Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore per violino e orchestra op. 6
Allegro maestoso
Adagio espressivo
Rondò, Allegretto spiritoso
“Questo Paganini è un uomo strano. È l’enigma più inspiegabile che si sia offerto agli uomini che si sono riuniti per divertirsi. Non c’è nulla di umano nella sua persona. La sua lunga testa ossuta e ricoperta di capelli in disordine può appena contenere il fuoco prolungato di quel suo sguardo cupo che nessuno sguardo umano sarebbe in grado di sostenere. Non si sa, a vederlo così, se sia un risorto che cammina, tanto assomiglia al Lazzaro di Rembrandt libero dal suo lenzuolo. Le sue due braccia pendono a terra e solo a vedere queste sue mani ossute fasciate da questi tendini d’acciaio si può indovinare attraverso quali orribili lotte quest’uomo è giunto a dominare il suo violino, quell’anima in pena racchiusa tra quattro pezzi di legno. Da parte mia ho sempre paura di quest’uomo, sia che egli venga a salutare la platea con quel sorriso di marmo freddo e pesante, sia che egli rompa le tre corde del suo violino suonando un capriccio fantastico del quale non ha mai dato conto, sia infine che si abbandoni liberamente e fieramente proprio a quella ispirazione galvanica che ci trovava muti e trasportati”.
In questo articolo, intitolato Paganini e Berlioz e pubblicato su «Le Journal des Débats» a firma di Jules Jamin il 24 dicembre 1838, è contenuta una delle descrizioni più comuni di Niccolò Paganini, grandissimo virtuoso del violino, ma al tempo stesso figura leggendaria che sembrava non avere nulla di umano e tale da incutere paura. A creare questa immagine misteriosa, quasi demoniaca, dell’uomo aveva contribuito non solo la sua vita avventurosa, ma anche il suo abito da concerto nero dalla testa ai piedi. Come musicista, Paganini fu una delle figure più importanti del panorama musicale europeo della prima metà dell’Ottocento. La sua arte fu apprezzata da eminenti colleghi come: Berlioz che lo definì un genio, un Titano fra i giganti; Schubert che paragonò il suo modo di suonare al canto degli angeli e, infine, Liszt, che, chiamato lui stesso dai contemporanei il Paganini del pianoforte, si espresse a proposito del virtuosismo del musicista italiano come di un miracolo che il regno dell’arte ha visto una sola volta.
Composto tra il 1815 e il 1816, ma pubblicato postumo nel 1851, il Primo concerto per violino e orchestra di Paganini si segnala per una difficoltà tecnica quasi proibitiva che ci permette, in un certo qual modo, di ascriverlo all’interno delle composizioni scritte nello stile Bidermeier, nome che, tratto da un personaggio immaginario uscito dalla penna di Adolf Kussmaul e Ludwig Eichrodt, fu utilizzato per indicare un’epoca i cui limiti temporali sono rappresentati dal 1815, anno in cui si celebrò la fine degli ideali rivoluzionari, e dal 1830, anno che vide l’affermazione della società borghese. In musica con questo termine furono identificati tutti quei compositori che cercarono il successo tramite il virtuosismo. Il primo movimento, Allegro maestoso, presenta due temi contrastanti esposti dall’orchestra nell’introduzione, dei quali il primo ha l’andamento marziale tipico dei concerti di quest’epoca, mentre il secondo è caratterizzato da un accentuato lirismo di matrice operistica che, non a caso, costituisce una delle influenze più importanti nei concerti scritti nello stile Biedermeier. Di ascendenza operistica è anche il secondo movimento, Adagio espressivo, la cui struttura formale ricorda quella della scena ed aria, mentre il Rondò conclusivo, Allegretto spiritoso, presenta un carattere popolareggiante tipico di questo stile.
Durata: 28'
Leoš Janáček
Hukvaldy 1854 -Ostrava 1928Taras Bulba, rapsodia per orchestra ispirata al racconto di Nikolaj Gogol
Morte di Andrej (Moderato quasi recitativo. Andante)
Morte di Ostapov (Moderato. Allegro)
Profezia e morte di Taras Bulba (Con moto. Maestoso)
«Non perché Taras uccise il figlio traditore della patria (parte prima: battaglia presso Dubno), non per il martirio del secondo figlio (parte seconda: calvario di Varsavia), ma perché “nel mondo non esistono roghi e martirii capaci di distruggere la forza della gente russa”; per queste parole uscenti tra le scintille roventi e le fiamme del rogo, sul quale il celebre capo cosacco Taras Bulba termina eroicamente la vita (parte terza finale), ho composto questa rapsodia attenendomi alla leggenda rielaborata da Nikolaj Gogol’».
Con queste parole affidate a una lettera indirizzata a Richard Veselý, lo stesso Janáček espose le ragioni che lo avevano spinto a dare una forma sinfonica alla vicenda umana di Taras Bulba, leggendario comandante dei cosacchi di Zaporoski, le cui gesta avevano già ispirato un racconto di Gogol’. Figura eroica, che non solo morì in battaglia nella guerra contro i Polacchi nel 1628, ma che in nome della patria arrivò anche a sacrificare il figlio Andrej, colpevole di aver tradito per amore la causa del suo popolo, Taras Bulba incarnava agli occhi di Janáček i valori della lotta e del sacrificio per la patria. Di questa partitura il compositore fece ben due versioni, delle quali la prima fu completata il 2 luglio 1915, mentre la seconda soltanto 3 anni dopo il 29 marzo 1918. Eseguita per la prima volta il 9 ottobre 1921 al Teatro Nazionale di Brno sotto la direzione di František Neumann, la rapsodia si compone di 3 movimenti indipendenti, dei quali il primo descrive la Morte di Andrej, il figlio più giovane di Taras Bulba, che, innamoratosi della figlia di un generale polacco, aveva tradito il suo popolo. Il movimento, che si apre con la descrizione dell’amore dei due giovani affidata a episodi solistici di cui sono protagonisti il corno inglese, il violino e l’oboe, trova il suo punto culminante nella parte centrale dove gli ottoni alludono alla rappresentazione della battaglia nella quale Andrej cade per mano del padre. Infine il brano si conclude con qualche reminiscenza dei temi iniziali. Nel secondo movimento, Morte di Ostapov, è descritta la tragica fine dell’altro figlio di Taras Bulba, che, fatto prigioniero dai Polacchi durante la battaglia, è giustiziato dopo essere stato sottoposto a tortura. Musicalmente il movimento, principalmente costituito da un’inesorabile marcia, si conclude con una selvaggia mazurca, danza popolare polacca che allude alla loro vittoria. Nel movimento a dare voce ai personaggi sono gli strumenti e in particolar modo uno scuro trombone che evoca l’eponimo protagonista, mentre l’ultimo lancinante grido di Ostapov è reso dal suono del clarinetto. Nell’ultimo movimento, Profezia e morte di Taras Bulba, è descritta la morte del leggendario cosacco che prima di spirare si abbandona a una profezia in base alla quale sorgerà presto uno zar il cui potere non sarà sottomesso da quello di nessun altro popolo. Il movimento, che si apre con la descrizione della battaglia e con i gridi di guerra di Taras Bulba, efficacemente evocati dal trombone, trova uno dei suoi momenti più emozionanti nel passo in cui è rappresentata la profezia grazie a un sapiente uso degli ottoni e dell’organo per concludersi in modo trionfante con il suono delle campane.
Durata: 25'
Bohuslav Martinů
Polička 1890 - Liestal 1959Sinfonia n. 6 “Fantaisies Symphoniques” H. 343
Lento-Allegro-Lento
Poco Allegro
Lento
“Nella sua musica, che sembra sgorgare con istintiva facilità, permane qualcosa di puro, di incorrotto, di non compromesso né dal decadentismo né dal radicalismo delle avanguardie: cosa che, se non conferisce alla sua opera tratti di particolare profondità, la sottrae al pericolo incombente dell'epigonismo, serbandole intatta una certa nonchalance e un pizzico di giovanile eclettismo, qualità che Martinů profuse fino agli anni estremi della sua lunga carriera”.
Queste parole di Sergio Sablich descrivono perfettamente le caratteristiche dello stile musicale di Bohuslav Martinů, il cui eclettismo contraddistingue anche la sua sesta e ultima sinfonia che reca il titolo Fantaisies symphoniques. In essa, infatti, sembrano trovare posto, attraverso una musica, che guarda sia al neoclassicismo sia alla tradizione musicale ceca, sentimenti contrapposti, come la gioia di vivere e la malinconia, sebbene sia difficile conoscerne la fonte d’ispirazione. Lo stesso Martinů affermò, infatti, a proposito di questa sinfonia che era «un'opera senza forma. Eppure qualcosa la tiene insieme, non so cosa, ma ha una sola linea, e ho espresso qualcosa in essa». Con questa affermazione il compositore sembra confessare che alla base di questa sinfonia, composta tra il 1951 e il 1953 su commissione della Boston Symphony Orchestra in occasione del 75° anniversario della sua fondazione ed eseguita per la prima volta il 7 gennaio 1955 a Boston sotto la direzione di Charles Münch, ci sia una fonte d’ispirazione del tutto personale che appare a lui stesso come qualcosa di ignoto e misterioso. In effetti, in questa sinfonia non è possibile trovare un chiaro riferimento a una forma classica, ma una mescolanza di stili che creano un mondo musicale fantasioso, al quale, del resto, allude il titolo Fantasie sinfoniche che, tra l’altro, è la versione definitiva di Nouvelle symphonie fantastique, titolo al quale aveva pensato il compositore quasi a marcare una continuità con l’opera di Berlioz.
Ciò è evidente nel primo movimento, la cui parte iniziale (Lento), costituita da un mormorio misterioso degli archi raddoppiati dai flauti, sul quale si sentono gli squilli delle trombe, propone il materiale tematico della sinfonia che si può riassumere in un breve motivo di 4 note (fa – sol bemolle – mi – fa) esposto dal violoncello solista nella parte acuta. Il movimento prosegue con un Allegro, inizialmente pieno di fuoco, al quale non sono estranee influenze di Dvořák in un altro tema dalla struttura pentatonica e che si segnala per un episodio piuttosto insolito del quale è protagonista il violino solista accompagnato dalle percussioni. Questo episodio conduce alla ripresa, prima, del tema pentatonico, e, poi, del Lento iniziale che, questa volta, si conclude su un rassicurante accordo di fa maggiore. Descritto come uno scherzo da molti commentatori, il secondo movimento, Poco allegro, si segnala per una grande vitalità ritmica e per una scrittura dissonante ammorbidita da un lirico tema delle viole. Una serie di ostinati orchestrali conduce a un nuovo episodio nel quale si assiste alla contrapposizione tra il lirismo dei fiati e i nervosi interventi degli archi. Dopo la ripresa del tema della viola e un nuovo crescendo orchestrale il movimento si conclude in modo brusco. Un intenso lirismo contraddistingue l’ultimo movimento, Lento, che sostanzialmente si configura come una meditazione sia sul tema principale del Requiem di Dvořák sia sugli elementi tematici esposti negli altri due movimenti.
Riccardo Viagrande
Durata: 28'