66ma Settimana Internazionale di Musica Sacra di Monreale
Riforma e Controriforma
Gabriella Costa, soprano
Ensemble Le Brun
Francesco La Bruna, maestro di concerto e violino solista
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Luogo
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Duomo di Monreale
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Giorno
ora
Durata
Prezzo
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Giorno
Sabato 12 Ottobre 2024
Ore
21,00
Durata
80min.
Prezzi
- €
Mirko D’Anna violino
Chiara Bellavia viola
Viviana Caiolo violoncello
Luca Ghidini contrabbasso
Basilio Timpanaro organo e clavicembalo
Ingresso libero fino ad esaurimento di posti
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Programma
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Heinrich Ignaz Franz von Biber
Wartenberg 1644 - Salisburgo 1704Sonata XI in do minore, per 2 violini, viola e basso continuo (da Fidicinium Sacro-profanum C 28-89) - Prima esecuzione a Palermo
Adagio-Più presto-Adagio-Allegro-Adagio
Se non si sa quasi nulla sulla formazione di Heinrich Ignaz Franz von Biber, violinista austriaco, ma di nazionalità boema, sono, invece, conosciute le tappe della sua carriera di musicista di corte che, eccezion fatta per due brevi giovanili esperienze, rispettivamente, presso quella di Graz e del vescovo di Olmütz (oggi Olomouc), si svolse, dal 1670 fino alla morte presso quella dell’arcivescovo di Salisburgo Maximilian Gandolph von Künburg. Definito da Charles Burney il più grande compositore per violino del XVII sec., Biber fu anche un grande virtuoso di questo strumento grazie a una tecnica straordinaria che lo portava a suonare in posizioni estreme come la 6a e la 7a, a eseguire passaggi in doppie corde particolarmente difficili e ad usare la tecnica della scordatura consistente nell’accordare lo strumento non in modo regolare. Al 1683 risale la composizione delle 12 sonate che fanno parte del Fidicinium Sacro-profanum, la cui sonata n. 11, in cinque movimenti, si presenta secondo la tradizionale alternanza di tempi lenti e veloci. Al mesto e lirico Adagio iniziale seguono, infatti, un Più presto, nel quale le note del tema vengono ripresentate in un contesto ritmico diverso, un altro Adagio, di grande impatto emotivo, un Allegro in 12/8 particolarmente virtuosistico e un conclusivo Adagio.
Durata: 10'
Johann Pachelbel
Norimberga 1653 - 1706Due Corali per organo: “Auf meinem lieben Gott” P. 30; “Allein Gott in de Höh sei ehr” P. 10
Noto soprattutto per il Canone a tre violini del quale sono state fatte anche versioni pop, Johann Pachelbel fu autore di una produzione, per la verità, poco conosciuta, che consta, per la maggior parte, di musiche per organo o clavicembalo, strumenti dei quali egli del resto fu un virtuoso. All’interno della sua vasta produzione per organo, che consta di circa 200 composizioni, una parte cospicua è rappresentata da quella di corali nei quali spesso Pachelbel combinò il cantus firmus con la forma della fuga, di cui un esempio è “Auf meinem lieben Gott” (Al mio buon Dio) P. 30, aperto da una fuga che poi sfocia nel corale vero e proprio. Particolarmente elaborato dal punto di vista contrappuntistico è il corale “Allein Gott in de Höh sei ehr” (Solo Dio è in alto P. 10 nel quale il cantus firmus è sottoposto sia a procedimenti canonici sia ad aggravamento.
Durata: 6'
Heinrich Ignaz Franz von Biber
Wartenberg 1644 - Salisburgo 1704Sonata n. 10 in sol minore “La Crocifissione”, per violino e basso continuo (da Sonate del Rosario HOB 14)
Praeludium-Aria-Variatio
All’interno della vasta produzione di Heinrich Ignaz Franz von Biber, che è stata riscoperta soltanto nel Novecento, si segnalano le 15 Sonate del Rosario HOB 14, chiamate anche dei misteri e composte per la confraternita del Rosario di Salisburgo non più tardi del 1676, nelle quali il compositore adottò la tecnica della scordatura e di cui oggi è eseguita la Decima “La Crocifissione”, nella quale la prima corda è accordata un tono sotto. Si apre con un Praeludium, che si segnala per l’uso delle doppie corde e per l’insistenza sul ritmo puntato. Il secondo movimento è un’Aria di intenso lirismo, scritta nella forma della canzone bipartita, a cui segue la sua Variatio, in realtà una serie 5 variazioni, di cui la prima, la seconda, la quarta e la quinta di carattere virtuosistico, incastonano quella centrale (Adagio), nella quale, attraverso l’uso delle doppie corde, Biber riesce a creare una polifonia a due voci.
Durata: 9'
Luigi Boccherini
Lucca 1743 – Madrid 1805Stabat Mater G 532, versione originale per soprano, quintetto d'archi e organo. Testo di Jacopone da Todi - Prima esecuzione a Palermo
Stabat Mater dolorosa (Adagio flebile)
Cujus animam gementem; O quam tristis (Allegro; Adagio)
Quae moerebat et dolebat (Allegretto con moto)
Quis est homo qui non fleret (Allegro assai)
Pro peccatis suae gentis (Allegretto)
Eja Mater fons amoris (Larghetto non tanto)
Tui nati vulnerati; Fac vere; Juxta crucem (Allegro assai; Larghetto; Allegro come prima)
Virgo virginum praeclara (Andantino)
Fac ut portem (Andantino)
Fac me plagis (Allegro giusto)
Quando corpus morietur; Amen (Andante lento)
Sequenza medievale, attribuita da alcuni a Jacopone da Todi, da altri a Innocenzo III o a San Bonaventura, lo Stabat Mater, pur essendo stato eliminato, per decisione del Concilio di Trento, dalla pratica liturgica, dove aveva trovato un posto stabile nell’ufficio del venerdì precedente la Domenica delle Palme e nel rito della Via crucis, fu un testo tanto amato da rappresentare una costante fonte d’ispirazione per generazioni di musicisti. In questo testo, contrariamente alla visione tradizionale tramandata dalle Sacre Scritture che pongono l’accento, esaltandola, sulla forza morale e spirituale della Vergine nell’affrontare la terribile prova della morte di Gesù, la Madonna è presentata in tutta la sua umanità come una madre che piange per la morte del figlio. Questo carattere sentimentale e patetico, reso efficacemente da un susseguirsi di lacrime e gemiti, non poteva, però, non diventare un motivo d’ispirazione per generazioni di musicisti tanto diversi come Orlando di Lasso, Pergolesi, Haydn, Rossini, Verdi, Szymanowski, Poulenc e Boccherini che di quest’opera fece ben due versioni.
Non si conoscono perfettamente le circostanze biografiche che precedono la stesura dell’opera di Boccherini e non è facile nemmeno la ricostruzione delle date di composizione delle due versioni, come è dimostrato dal fatto che lo stesso Louis Picquot, primo biografo di Boccherini, nella sua Notice sur la vie et sur les ouvrages de Luigi Boccherini, pubblicata a Parigi nel 1851, fa una certa confusione. Secondo il biografo francese lo Stabat Mater sarebbe stato composto nel 1801 e pubblicato a Parigi nello stesso anno da Siéber, ma quest’affermazione è contraddetta dallo stesso Picquot che, subito dopo, rivela l’esistenza di un manoscritto di quest’opera risalente al 1781 il cui organico era formato solo da un soprano e dagli archi. L’apparente contraddizione, presente nella ricostruzione di Picquot, può essere facilmente risolta a favore dell’esistenza di due versioni diverse delle quali la seconda, per due soprani, tenore ed archi, non fu pubblicata a Parigi come vorrebbe il biografo francese, ma a Napoli, come recita il frontespizio di questa edizione:
“STABAT MATER
a tre voci
con semplice accompagnamento di due Violini,
Viola, Violoncello e Basso
Composto e dedicato
al Sig. Vincenzo Salucci
da Luigi Boccherini
in Madrid MDCCC
op. 61
La presente opera si è incisa totalmente da me Giuseppe Amiconi in Napoli 1801.”
Nel frontespizio sono contenute importanti notizie, come quella che l’opera fu composta durante il soggiorno del compositore a Madrid nel 1800 e che la prima edizione dedicata al suo amico Vincenzo Salucci fu pubblicata a Napoli l’anno successivo. L’edizione parigina, a cui faceva riferimento Picquot, risale a tre anni dopo ed è dedicata a Luciano Bonaparte. La scelta, inoltre, di sostituire l’unica voce di soprano con tre voci, che possono essere eseguite e integrate anche con un coro, fu motivata dallo stesso Boccherini che, sulla copia manoscritta della partitura conservata presso il Conservatorio di Parigi, scrisse di aver preparato proprio per questo organico questa seconda versione: “per evitar la monotonia di una sola voce, per la quale fu scritto, e la troppa fatica a quest’unica voce”.
Oggi eseguito, però, nella sua versione originale per soprano, quintetto d’archi e organo, lo Stabat Mater, il cui testo, nonostante sia scritto in latino, può essere interpretato metricamente in base allo schema della poesia italiana, in quanto consta di terzine di ottonari a rima AAB CCB, si compone di undici brani. Il primo, il cui testo recita Stabat Mater dolorósa / iuxta crucem lacrimósa / dum pendébat Fílius, è un Adagio flebile in fa minore che inizia con un’introduzione strumentale di nove misure, a cui segue l’ingresso della voce. La parte conclusiva, molto interessante, si chiude su un accordo di dominante di fa minore che funge da elemento di congiunzione con il successivo brano, il cui testo recita. Cuius ánimam geméntem, / contristátam et dolente / pertransívit gládius. // O quam tristis et afflícta / fuit illa benedícta / Mater Unigéniti! In questo secondo brano, costituito da due versetti molto spesso separati da altri compositori, il soprano, in un Allegro in 3/8, intona due frasi di sedici misure sul testo del primo versetto. Una breve coda strumentale conduce a un Adagio dove la voce in forma di recitativo intona il versetto successivo. Anche il terzo brano, il cui testo recita: Quae moerébat et dolébat,/ pia mater, cum vidébat / nati poenas ínclit, è collegato al precedente tramite un accordo di dominante di do minore. Dopo una breve introduzione strumentale il soprano canta un’aria di carattere angoscioso, mentre lo stile recitativo si afferma nel brano successivo, il cui testo recita Quis est homo, qui non fleret,/ Christi Matrem si vidéret /in tanto supplício?//Quis non posset contristári, / piam Matrem contemplári / doléntem cum Filio ? Il brano successivo, Pro peccátis suae gentis / vidit Jesum in tormenti /et flagéllis subditum. // Vidit suum dulcem natum / moriéntem desolátum, /dum emísit spíritum, è un’aria in cui spiccano due temi che si distinguono per il loro carattere elegante. I tre successivi versetti, Eja, mater, fons amóris, /me sentíre vim dolóris / fac, ut tecum lúgeam. // Fac, ut árdeat cor meum / in amándo Christum Deum, / ut sibi compláceam. // Sancta Mater, istud agas, / crucifíxi fige plagas /cordi meo válide, compongono il brano successivo che si distingue per una scrittura di alto magistero contrappuntistico con il violoncello solista che intona una melodia distesa e serena. I tre brani successivi, che corrispondono nel testo ai tre versetti Tui Nati vulneráti, / tam dignáti pro me pati, / poenas mecum dívide. // Fac me vere tecum flere, / Crucifíxo condolére / donec ego víxero.// Iuxta crucem tecum stare, / te libenter sociáre / in planctu desídero, formano un trittico caratterizzato dall’alternanza tra il tutti e il solo. L’ultimo di essi è concluso da un fugato di grande suggestione. Simili sono i due brani successivi dei quali il primo si svolge sulle parole del versetto Virgo vírginum praeclára, / mihi iam non sis amára, /fac me tecum plángere, mentre il secondo su quelle del versetto Fac, ut portem Christi mortem, / passiónis fac me sortem / et plagas recólere Il penultimo brano, che si svolge sulle parole Fac me plagis vulnerári, / cruce hac inebriári / et cruóre Fílii, è una fuga il cui soggetto è esposto prima dalla viola e dal violoncello nell’introduzione strumentale. Il momento più bello e commovente dell’intera composizione è costituito, però, dalla musica dell’ultimo versetto, Quando corpus moriétur, / fac, ut ánimae donétur / paradísi glória. Amen, in cui si raggiungono toni di intensa e ineguagliabile drammaticità.
Riccardo Viagrande
Durata: 45'