Melodramma e classicismo

Massimo Raccanelli, direttore

Palermo - Piazza Ruggiero Settimo

  • Luogo

  • Piazza Ruggiero Settimo

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    26 Luglio 2024

    Ore

    21,00

    Durata

    80min.

    Prezzi

    10 - 5 €

    Calendario

  • Programma

  • Vincenzo Bellini
    Catania 1801 - Puteaux 1835

    Norma, sinfonia

    Allegro maestoso e deciso

     

    Composta in meno di tre mesi tra l’inizio di settembre e la fine di novembre del 1831, anno prodigioso per Bellini, reduce del grande successo ottenuto con la Sonnambula il 6 marzo al teatro Carcano di Milano, Norma è una delle sue opere più note, nonostante il fiasco della prima rappresentazione avvenuta il 26 dicembre dello stesso anno alla Scala di Milano. Così Bellini commentò a caldo la stessa sera della prima in una lettera indirizzata al suo amico e compagno di studi al Conservatorio Francesco Florimo:

    “Ti scrivo sotto l’impressione del dolore: di un dolore che non posso esprimerti, ma che tu solo puoi comprendere. Vengo dalla Scala: prima rappresentazione della Norma. Lo crederesti… Fiasco!!! Fiasco!!! Solenne fiasco!!!".

    L’opera, giudicata troppo affrettatamente fiacca e stentata dalla «Gazzetta privilegiata di Milano» nel numero del 30 dicembre, non ebbe, però, molta difficoltà ad affermarsi immediatamente e qualche giorno dopo, il 3 gennaio 1832, lo stesso quotidiano milanese dovette ricredersi, ammettendo che:

    “Il giudizio del pubblico, sempre incerto la prima sera di uno spettacolo, si è dichiarato successivamente favorevole e lo spartito di Bellini potrà essere cantato con buon successo”.

    L’insuccesso della prima serata, dovuto forse sia alla scarsa vena di Giuditta Pasta, che aveva trovato particolarmente difficile la “cavatina” Casta diva, sia all’ostilità di una parte del pubblico sobillata da Giulia Samoyloff, amante di Pacini, compositore catanese meno famoso e rivale di Bellini, che il 10 gennaio dello stesso anno avrebbe dovuto mettere in scena sempre nel teatro scaligero il suo Corsaro, non pregiudicò l’affermazione dell’opera che tenne il cartellone per ben 34 serate. Della grandezza di Norma si era accorto Gaetano Donizetti, il quale, certamente molto più competente del pubblico scaligero e dell’anonimo recensore della «Gazzetta privilegiata di Milano», aveva scritto ad un amico il 31 dicembre 1831:

    “L’unico avvenimento musicale di straordinaria importanza è stato quello delle rappresentazioni della Norma del giovane maestro Vincenzo Bellini… A me tutto lo spartito della Norma piace moltissimo e da quattro sere vado a teatro per risentire l’opera di Bellini fino all’ultima scena”.

    L’opera si apre con la splendida Sinfonia, che ne introduce il clima drammatico sin dal celeberrimo incipit costituito da perentori accordi in sol minore intercalati da pause. Dopo un primo tema agitato e nervoso, che anticipa, secondo l’uso romantico introdotto da Weber, alcuni momenti particolarmente drammatici dell’opera e soprattutto alcuni interventi dell’orchestra durante i recitativi, appare in sol maggiore il tema del duetto dell’atto secondo tra Norma e Pollione. Dopo un nuovo ponte modulante nervoso e drammatico, questo tema riappare in si bemolle maggiore per cedere il testimone a un nuovo momento agitato che precede la suggestiva coda in sol maggiore, un’oasi di poetica contemplazione prima del breve e movimentato finale.

    Durata: 8'

    Giuseppe Verdi
    Roncole di Busseto, 1813 - Milano, 1901

    Nabucco, sinfonia

    Andante, Allegro, Andantino, Allegro

     

    Convinto assertore della priorità del canto e dell’espressione vocale, Giuseppe Verdi, durante la sua vita, mostrò sempre una certa diffidenza nei confronti della musica strumentale di matrice tedesca, tanto da farne oggetto di polemica, come si apprende dal suo epistolario in cui, tra i bersagli preferiti, si legge il nome di Bach, considerato dal compositore di Busseto l’emblema della tradizione strumentale tedesca. Egli, in una lettera del 3 settembre 1883 inviata all’editore Giulio Ricordi, non mancò di definire la musica di Bach: Arida, dura, fredda, nojosa. Una testimonianza tangibile del suo scarso interesse per la musica strumentale è costituita anche dall’esiguo numero di ouverture d’opera in tutto 11, chiamate da Verdi, all’italiana, sinfonie, rispetto alla produzione operistica comprendente 26 opere, delle quali alcune sono introdotte da brevissimi preludi capaci di sintetizzare, in poche battute, i punti nodali del dramma. Con questo atteggiamento lo stesso Verdi ha dato adito a feroci critiche sulle sue qualità di strumentatore e sulla sua musica strumentale che, tuttavia, è stata rivalutata dalla moderna musicologia, secondo la quale è incisiva e, comunque, sempre perfettamente inquadrata all’interno di una solida espressione drammaturgica.

    Terza opera di Verdi, Nabucco su libretto di Temistocle Solera fu rappresentata per la prima volta alla Scala il 9 marzo 1842 ottenendo un successo tale da rivelare al mondo musicale dell'epoca il giovane compositore che, dopo l'insuccesso di Un giorno di regno, aveva deciso di non comporre più. L'opera si apre con una sinfonia che, composta alla fine, probabilmente su suggerimento del cognato Giovanni Barezzi, si avvale, in un grande Pot-pourri, di temi che appariranno durante lo svolgimento dell’opera e che fanno da cornice all’idea centrale: la forza d’animo degli Ebrei di fronte alla persecuzione. Dopo un’iniziale melodia di corale affidata a trombe, tromboni e cimbasso, interrotta da due improvvise esplosioni di tutta l’orchestra, appare per la prima volta il tema del coro in cui gli Ebrei maledicono Ismaele a cui seguono per brevissimo tempo la melodia del corale e un Andantino sul motivo del Va pensiero, anticipo del celeberrimo coro dell’atto terzo. Ritorna poi il tema del coro della maledizione, questa volta in modo trionfale, in un episodio in tonalità maggiore con tre nuove melodie riprese, rispettivamente, dal coro degli Assiri (Atto II), dalla stretta del finale dell’atto I e dal duetto Nabucco-Abigaille (Atto III).

     

    Durata: 9'

    Ludwig van Beethoven
    Bonn, 1770 - Vienna, 1827

    Coriolano, ouverture in do minore op. 62

    Allegro con brio

     

    Composta nel 1807 per la tragedia Coriolano di Heinrich Joseph Collin, ormai quasi del tutto dimenticata, l’ouverture rimase l’unico brano di un progetto originario che prevedeva la composizione di un intero ciclo di musiche di scena per questo testo teatrale. Al pari di altre ouverture beethoveniane, anche questa trovò subito una stabile collocazione nel repertorio sinfonico indipendentemente dalla rappresentazione della tragedia per la quale era stata composta. Molto probabilmente l’ouverture venne eseguita soltanto in occasione della prima rappresentazione della tragedia, il 24 aprile 1807, anche se già un mese prima la sua musica era stata apprezzata in un concerto, tenuto nel palazzo del principe Lobkovitz sotto la direzione di Beethoven stesso, durante il quale furono eseguite anche la Quarta sinfonia e il Quarto concerto per pianoforte e orchestra.

    In questa ouverture emerge la tragica grandiosità di Coriolano, un personaggio della cui realtà storica non si ha certezza, che, dopo aver conquistato la città volsca di Corioli, era stato esiliato dai Romani per aver esercitato in modo dispotico il potere. Rifugiatosi presso i Volsci, aveva deciso di vendicarsi dei Romani guidando l’esercito volsco contro la sua patria. Quando ormai era alle porte dell’Urbe, Coriolano fu raggiunto dalla madre Veturia e dalla moglie Volumnia con i due figlioletti in braccio. Le due donne lo implorarono di non muovere le armi contro Roma, per cui il condottiero, esaudendo la loro ardente preghiera, si ritirò, ma fu messo a morte dai Volsci che lo accusarono di tradimento.

    Tutta l’ouverture, che si apre in un tragico do minore con tre celeberrimi unisoni degli archi in crescendo che preparano l’esplosione in accordi di tutta l’orchestra, vive del contrasto tra lo spirito combattivo di Coriolano, efficacemente rappresentato nel primo tema, e quello implorante della moglie Volumnia espresso in modo altrettanto efficace nel secondo tema dalla forte caratterizzazione lirica. Molto suggestiva è la coda, dove, dopo la ripresa delle battute introduttive, il tema si dissolve quasi a far presagire la tragica fine di Coriolano.

    Durata: 9'

    Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92

    Poco sostenuto, Vivace

    Allegretto

    Presto

    Allegro con brio

     

    “Dare alle sue composizioni musicali la stessa materialità, la stessa fermezza sicura e concreta, chiaramente riconoscibile, che aveva provato con tanta consolante felicità nei fenomeni della natura: questa fu l’anima amante dell’istinto felice al quale dobbiamo la Sinfonia in la maggiore, il vero capolavoro. Ogni slancio, ogni aspirazione, e ogni tempesta del cuore si tramuta in un delizioso senso di gioia che ci strascina con onnipotenza orgiastica, attraverso gli spazi della natura, attraverso tutte le correnti e tutti gli oceani della vita, ci fa gridare di gioia, ci rende coscienti ovunque avanziamo nel ritmo fiero di questa danza umana delle sfere. Questa sinfonia è l’apoteosi della danza in se stessa: è la danza nella sua essenza superiore, l’azione felice dei movimenti del corpo incarnati nella musica”.

    Questo giudizio, articolato e composito, espresso da Wagner nel suo scritto dal titolo L’opera d’arte dell’avvenire, coglie in pieno i caratteri essenziali di questa sinfonia che segna una svolta nella produzione musicale di Beethoven. La Settima Sinfonia, iniziata nel 1811 mentre Beethoven si trovava nella città termale di Teplitz, in Boemia, dove si era recato nella speranza di qualche miglioramento per il suo udito, fa trasparire, nonostante ciò, una gioia apparentemente in contrasto con la dolorosa situazione che egli stava vivendo. L’opera, terminata nel 1812, ebbe la sua prima esecuzione l’8 dicembre del 1813 nella sala grande dell’Università di Vienna in occasione di un concerto di beneficienza tenuto in onore dei soldati austriaci e bavaresi che erano stati feriti nella battaglia di Hanau durante le guerre napoleoniche. Lo stesso Beethoven diresse l’orchestra fornitagli dall’amico Ignaz Schuppanzigh e comprendente alcuni dei migliori musicisti del periodo, come Ludwig Spohr, Johann Hummel, Giacomo Meyerbeer, Antonio Salieri, Anton Romberg e il contrabbassista italiano Domenico Dragonetti del cui virtuosismo il compositore fu così entusiasta da affermare che suonava con grande fuoco e potenza espressiva. L’esecuzione ebbe un notevole successo, come testimonia lo stesso Spohr nella sua Autobiografia:

    Le nuove composizioni di Beethoven piacquero enormemente, in particolare la Sinfonia in la maggiore; il meraviglioso secondo movimento dovette essere ripetuto e anche su di me fece un’impressione profonda e duratura. L’esecuzione fu un assoluto capolavoro, malgrado la direzione di Beethoven fosse incerta e spesso comica. Si vedeva chiaramente che il grande maestro del pianoforte, ora un povero sordo, non riusciva a sentire la sua stessa musica. La cosa fu particolarmente notata in un passaggio della seconda parte del primo Allegro della sinfonia. In quel punto si trovano due pause in rapida successione, la seconda delle quali è in pianissimo. Beethoven se n’era probabilmente dimenticato, perché tornò a segnare il tempo prima che l’orchestra avesse eseguito la seconda pausa. In questo modo, senza saperlo, si trovava già dieci o dodici battute avanti all’orchestra quando essa eseguì il pianissimo. Beethoven, per indicare quell’effetto a modo suo, si era completamente rannicchiato sotto il leggio. Sul crescendo che segue fece di nuovo la sua comparsa e prese a rialzarsi sempre di più, finché non saltò in alto come una molla nel momento in cui, secondo i suoi calcoli, sarebbe dovuto iniziare il forte. Poiché questo non arrivò, si guardò intorno spaventato, vide tutto stupito che l’orchestra stava ancora eseguendo il pianissimo, e si riprese soltanto quando, finalmente, il forte tanto atteso ebbe inizio e poté udirlo anche lui. Fu una vera fortuna che questa scena non avesse luogo durante l’esecuzione pubblica, perché di certo avrebbe fatto ridere il pubblico”.

    La sinfonia, definita dallo stesso Beethoven la più eccellente, presenta una grande vitalità ritmica e un uso sperimentale delle relazioni tonali. Il primo movimento si apre con un’introduzione, Poco sostenuto, grandiosa negli imponenti accordi dell’orchestra sostenuti dai timpani e, nello stesso tempo, in netto contrasto con la serena atmosfera agreste evocata nella dolce melodia affidata ai legni e ripresa nella parte conclusiva. Il primo tema, esposto dal flauto, del successivo Vivace, in forma-sonata, è un’esplosione di gioia attraverso la danza in un crescendo che finisce per coinvolgere tutta l’orchestra nel clima festante venutosi a determinare. Questo clima di festa prosegue anche con l’esposizione del secondo tema affidato a un dialogo tra archi e fiati il cui materiale motivico è derivato dal primo tema. L’intero sviluppo si basa sul primo tema che viene rielaborato passando in imitazione fra i vari strumenti fino alla perorazione che conduce alla ripresa alla quale segue una grandiosa coda conclusiva. Il clima gioioso della danza muta totalmente nel secondo movimento, Allegretto, che si apre con un aforistico accordo di la minore il quale in modo icastico annuncia il carattere triste dell’intero movimento. Da questo accordo scaturisce un tema sommesso che, presentato inizialmente dalle viole, cerca di librarsi in zone più acute passando, dapprima, ai secondi e ai primi violini e, dopo, ai legni in una perorazione orchestrale, per sovrapporsi a una nuova idea tematica. Un secondo tema, esposto dai fiati, appare nella sezione centrale che conduce alla ripresa della prima parte qui presentata in forma di variazioni. Il movimento si conclude con la ripresa della seconda sezione e con una breve coda. Il terzo movimento, Presto, costituisce il momento più brioso e danzante dell’intera sinfonia con il tema principale che, coinvolgendo l’intera orchestra con il suo carattere gioioso, dissipa le nubi di tristezza del movimento precedente. Su un pedale di dominante tenuto dai violini viene esposto il tema del Trio (Assai meno presto) che, dopo la ripresa della prima parte, ritorna nuovamente. Una seconda ripresa della prima parte, seguita da una coda, conclude il movimento. Lo stesso clima festoso informa il quarto movimento, Allegro con brio, in forma-sonata, con un primo tema brillante in sedicesimi affidato ai primi violini, a cui si contrappone il secondo, di carattere trionfale, affidato ai fiati.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 38'

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