Settimana di Musica Sacra di Monreale Pergolesi

Lidio Florulli, direttore

Orchestra d'Archi O.S.S.

Serena Vitale, soprano

Lorena Scarlata Rizzo, contralto

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Sabato
    05 Ottobre 2019

    Ore

    21,00

    Durata

    -

    Prezzi

    - €

    Calendario

Al Duomo di Monreale verranno eseguiti due dei più importanti esempi della musica sacra italiana del Settecento (Salve Regina e Stabat Mater) di Giovan Battista Pergolesi 

  • Programma

  • Giovanni Battista Pergolesi
    Jesi 1710 - Pozzuoli 1736

    Salve Regina, per soprano, archi e cembalo

    Salve Regina (Largo)

    Ad te clamamus

    Eia ergo, Advocata nostra (Andante)

    Et Jesum benedictum (Andante amoroso)

    O Virgo Maria (Largo assai)

     

     

    Secondo una leggenda, la cui attendibilità è difficilmente verificabile, la Salve Regina fu composta da Pergolesi nello stesso periodo dello Stabat Mater, quando il compositore era ormai prossimo alla morte. Questa leggenda molto probabilmente è nata dal fatto che entrambi i lavori condividono la stessa intima cantabilità e molti passi simili dal punto di vista melodico, sin dal brano iniziale che inizia con un intervallo di seconda discendente a cui segue un salto ascendente.

    Nel primo brano, Salve Regina, si afferma un carattere patetico in una scrittura solenne che assume i contorni di un’intima e sincera preghiera, mentre nel secondo, Ad te clamamus, la musica aderisce perfettamente al testo esprimendo il contenuto. In particolar modo in corrispondenza delle parole Ad te sospiramus delle patetiche appoggiature discendenti rendono in modo perfetto la sensazione di un sospiro affannoso. Il terzo brano, Eia ergo, si evidenzia, invece, per un certo virtuosismo vocale realizzato grazie ad una scrittura melismatica di grande suggestione; un certo tono patetico ritorna nella scrittura solenne del Et Jesum benedictum e nell’ultimo brano O Virgo Maria, dove l’accompagnamento orchestrale mostra una raffinatissima struttura contrappuntistica.

     

    Giovanni Battista Pergolesi
    Jesi 1710 - Pozzuoli 1736

    Stabat Mater per soprano, contralto, archi e basso continuo

    1. Stabat Mater (Grave) a 2

    2. Cujus animam (Andante) per soprano

    3. O quam tristis (Larghetto) a 2

    4. Quae moerebat (Allegro moderato) per contralto

    5. Quis est homo (Largo, Allegro) a 2

    6 Vidit suum (Tempo giusto) per soprano

    7. Eja Mater (Allegro moderato) per contralto

    8. Fac ut ardeat (Allegro) a 2

    9. Sancta Mater (Tempo giusto) a 2

    10. Fac ut portem (Largo) per contralto

    11. Inflammatus (Allegro) per soprano

    12 Quando corpus e amen (Largo e Allegro) a 2

     

    Completato, secondo una tradizione, della quale non è possibile appurare l’attendibilità, il giorno stesso della morte, lo Stabat Mater è comunque una delle ultime opere, se non l’ultima, di Giovanni Battista Pergolesi che, quasi presago del triste fine che lo attendeva, cercò di portare a termine questo lavoro prima che la morte lo cogliesse alla giovane età di 26 anni. Per Pergolesi, infatti, portare a compimento questo lavoro era quasi un obbligo morale, in quanto il compositore aveva già ricevuto la somma di 10 ducati, come compenso per la composizione dell’opera, da parte del committente, l’Arciconfraternita dei Cavalieri della Vergine de’ dolori della Confraternita di San Luigi al Palazzo, che aveva deciso di sostituire il vecchio Stabat Mater di Alessandro Scarlatti. Eseguito ininterrottamente per circa vent’anni nelle chiesa napoletana di San Luigi di Palazzo, sede della confraternita, lo Stabat scarlattiano, al quale questa composizione si richiama per la scelta dell’organico vocale, piuttosto insolito, in quanto costituito da un soprano e da un contralto al posto del classico quartetto (Soprano, Contralto, Tenore e Basso), era, infatti, ormai venuto a noia ai confratelli che avevano affidato a Pergolesi appunto la composizione di un nuovo Stabat. Le condizioni di salute del compositore non erano, tuttavia, delle migliori, in quanto la tubercolosi che lo avrebbe portato alla morte, aveva già minato in modo irreparabile il suo debolissimo fisico. Ciò nonostante Pergolesi, forse alla ricerca di un’atmosfera più salubre e di maggiore tranquillità per ultimare il lavoro, si trasferì da Napoli a Pozzuoli, dove nel convento dei Cappuccini fu ospitato e accudito negli ultimi giorni della sua vita. Qui terminò la composizione dello Stabat, che lo assorbì totalmente nonostante le condizioni di salute peggiorassero di giorno in giorno. Pergolesi, infatti, con straordinaria professionalità, si dedicò alla composizione dell’opera dall’alba alla sera, con la sola interruzione del pranzo indebolendo ancor di più la sua salute malferma. Nell’autografo della partitura, conservato presso la biblioteca del Monastero di Montecassino, è possibile rilevare una certa fretta di concludere da parte di Pergolesi che si dimenticò di stendere alcune parti delle viole e nell’ultima pagina scrisse Finis Laus Deo.

    Dal punto di vista formale quasi tutti i brani dello Stabat Mater presentano la classica struttura bipartita dell’aria da chiesa eccezion fatta per il quinto, Quis est homo, l’ottavo, Fac ut ardeat, che è un fugato, il nono, Sancta Mater, di forma tripartita, e il finale, che, come l’ottavo brano, è un fugato. Lo Stabat Mater, i cui punti culminanti sono costituiti dal brano iniziale, Stabat Mater, dove è descritto il dolore della vergine davanti alla croce, dal Vidit suum, una commossa meditazione sulla passione di Cristo, e dal Quando corpus, nel quale si affaccia la speranza della Resurrezione, si segnala per un’accorata cantabilità ed una musicalità appassionata che spesso ha fatto pensare alla produzione profana di Pergolesi.

    Pubblicato nel 1749 a Londra, lo Stabat Mater, conobbe, però, una fortuna piuttosto contrastata, in quanto se, da una parte, è stata la partitura più ristampata in tutto il Settecento ed è stata apprezzata da Bach, che la utilizzò in parodia in una sua composizione, dall’altra è stata anche pesantemente stroncata dall’abate Martini e da Berlioz che la definì musica da incubo.  L’accusa maggiore, che fu mossa al compositore dai suoi detrattori, fu quella di aver musicato un testo sacro con una musica di carattere lirico e profaneggiante che, secondo, il musicologo Combarieu, è ascrivibile più allo stile dell’opera che a quello della musica chiesastica.

     

    Riccardo Viagrande

    Durata: 60'