Brahms/Fauré
Ryan McAdams, direttore
Benedetto Lupo, pianoforte
Francesca Manzo, soprano
Luca Grassi, baritono
I solisti di Opera Laboratorio, coro
Fabio Ciulla, maestro del coro
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Programma
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Johannes Brahms
Amburgo, 1833 - Vienna, 1897Concerto n. 2 in si bemolle maggiore op. 83 per pianoforte e orchestra
Allegro non troppo
Allegro appassionato
Andante
Allegretto grazioso
Da quando Brahms, nel 1859, dopo l’indifferenza con cui era stata accolta dal pubblico la prima esecuzione del primo Concerto per pianoforte e orchestra op. 15, aveva scritto al violinista Joseph Joachim: «Un secondo suonerà differente», sarebbero passati 22 anni prima che egli tenesse fede alla sua promessa. Solo nel 1878, infatti, durante un viaggio in Italia, egli iniziò la composizione, che sarebbe durata 3 anni, del suo Secondo Concerto che fu completato nell’estate del 1881, come si evince da quanto Brahms scrisse, il 7 luglio 1881, alla sua amica Elisabeth von Herzogenberg:
“Sto scrivendo un piccolo concerto per pianoforte con un piccolo scherzo molto grazioso. È in si bemolle e benché questa sia un’ottima tonalità, temo di averla utilizzata troppo spesso.”
In realtà il Concerto non può essere considerato un’opera esile, ma il più ampio lavoro in questo genere dopo l'Imperatore di Beethoven, essendo costituito da 4 movimenti piuttosto che dai 3 tipici dei concerti classici e romantici. Appena Brahms terminò il concerto, ne suonò un arrangiamento per due pianoforti, insieme a un collega, per un piccolo gruppo di amici, del quale faceva parte il critico Eduard Hanslick, riscuotendo un consenso favorevole tanto da essere invitato da Hans von Bülow a eseguirlo con la sua orchestra a Meiningen. Brahms, dopo aver rielaborato alcuni dettagli, suonò il suo concerto in pubblico solamente il 9 novembre 1881, al Redoutensaal di Budapest, sotto la direzione di Sándor Erkel. Questa volta il successo fu immediato e lo stesso autore si rese conto delle differenze tra il Primo e questo Secondo concerto, nel quale, insieme a un'orchestrazione più raffinata, dovuta probabilmente all’esperienza acquisita nel comporre, in quel lasso di tempo, due sinfonie, due ouverture, un concerto per violino e altri lavori da camera, emerge una scrittura sinfonica più matura. Più equilibrato è, inoltre, il rapporto tra orchestra e solista, non più protagonista assoluto, in quanto a esso sono affidati solo alcuni passaggi virtuosistici insieme ad altri in ottave e seste.
Il primo movimento, Allegro non troppo, in forma-sonata, ma con una doppia esposizione, inizia in un modo insolito con un tema calmo e dignitoso suonato dal corno a cui risponde il solista con un altro grandioso in una forma di dialogo. Infine un’ampia cadenza del pianoforte porta al ritorno del tema principale esposto nuovamente dall’orchestra completa. Al primo tema si contrappone il secondo, di carattere melodico e appassionato, affidato agli archi a cui segue un’idea secondaria di grande importanza nel corso del movimento. Questo episodio iniziale si conclude con un altro brillante tema al ritmo di marcia che conduce alla vera esposizione. La ripresa è costruita intorno all’idea secondaria che viene ampliata notevolmente sino alla coda. Il lavoro tematico e motivico, derivato dal classicismo viennese e, particolarmente, da Beethoven, pervade l’intero movimento, ma, a differenza dei suoi predecessori, Brahms non si limitò allo sviluppo della forma-sonata o a collegare e modulare le parti dell’esposizione e della ripresa.
Il secondo movimento, Allegro appassionato, definito da Brahms piccolo filo di uno scherzo, in realtà è un’imponente struttura sinfonica tripartita con una sezione centrale che funge da trio prima della ripresa. Il movimento si apre con un vigoroso tema in re minore esposto dal pianoforte che dialoga con l’orchestra e prosegue con un secondo motivo di carattere cantabile prima affidato agli archi e poi al pianoforte. La sezione centrale, le cui caratteristiche sono assimilabili a quelle di una danza popolare, presenta un tema saltellante e molto ritmico che, affidato ai violini, passa poi ai corni e ai violoncelli prima di essere ripreso da tutta l’orchestra.
Di carattere lirico e, al tempo stesso, religioso è il terzo movimento, Andante, strutturato nella forma di un Lied tripartito in cui due episodi simmetrici ne racchiudono uno centrale molto breve, Più adagio.
Il quarto, Allegretto grazioso, è un classico Rondò dove vengono esposti due temi contrastanti, dei quali il primo indulge sulle movenze della danza a differenza del secondo che assume toni struggenti. La sezione conclusiva richiede una grande capacità virtuosistica da parte del solista.
Durata: 45'
Gabriel Fauré
Pamiers, 1845 - Parigi, 1924Pelléas et Mélisande, suite per orchestra op. 80 (100° anniversario della morte)
Prélude (Quasi adagio)
Fileuse (Andantino, quasi allegretto)
Sicilienne (Allegretto molto moderato)
La mort de Mélisande (Molto adagio)
Ricavata dalle musiche di scena per una rappresentazione inglese del Pelléas et Mélisande del drammaturgo belga Maurice Maeterlinck, la suite, sottoposta a due successive rielaborazioni, è una delle pagine sinfoniche più importanti e famose di Fauré, nonostante le particolari circostanze che portarono alla sua composizione. Quando nel 1899 il Prince of Wales’ Theatre di Londra decise di mettere in scena il Pelléas et Mélisande di Maeterlinck, già rappresentato, per la prima volta, a Parigi nel 1893 con notevole successo, inizialmente si era rivolto per la composizione delle musiche di scena a Debussy e non a Fauré. Era noto, infatti, che il compositore francese, presente alla prima rappresentazione e rimasto affascinato dal dramma dei due infelici amanti, si era assicurato l’esclusiva dello sfruttamento del testo di Maeterlinck per una sua opera musicale alla cui composizione si dedicò tanto lentamente da completarla soltanto nel 1902. Il teatro inglese chiese a Debussy di utilizzare come musiche di scena alcuni brani composti per l’opera, ma egli, consapevole della scarsa adattabilità della sua musica a fare da commento a una rappresentazione in prosa, oppose un netto rifiuto. Il teatro inglese si vide allora costretto a rivolgersi a Gabriel Fauré che, recatosi nel mese d’aprile del 1898 nella capitale inglese, accettò l’incarico. In poco tempo Fauré compose le musiche di scena rendendo perfettamente l’atmosfera gravida di tensioni emotive del dramma di amore e morte di Maeterlinck, la cui protagonista, Mélisande, dopo aver sposato Golaud, s’innamora del giovane Pelléas, fratellastro di quest’ultimo. La vicenda giunge al suo drammatico epilogo quando Golaud, oppresso dalla gelosia, uccide Pelléas, mentre Mélisande muore di parto.
Da queste musiche di scena, pochi mesi dopo, Fauré trasse una suite di tre brani che presentò il 3 febbraio 1901 ai Concerts Lamoureux in una versione interamente rielaborata per la parte relativa all’orchestrazione. Ai tre brani scelti: il Prélude, la Fileuse, intermezzo del secondo atto, e La mort di Mélisande, altro intermezzo, orchestrati originariamente dal suo allievo prediletto Charles Koechlin, fu data una nuova veste strumentale dallo stesso Fauré che nel 1909 aggiunse anche l’intermezzo del primo atto, la Sicilienne, per la quale fu mantenuta l’orchestrazione originale di Koechlin.
In ogni brano della suite, la particolare azione scenica è caricata di valori simbolici grazie a una scrittura evocativa di grande suggestione. Nel Prélude la musica sembra evocare la foresta incantata e misteriosa nella quale Golaud incontra Mélisande, mentre nella Fileuse prevale una scrittura galante soprattutto nel movimento in terzine affidato agli archi. Flauto e arpa sono protagonisti della Sicilienne che si sviluppa nel cullante ritmo di 6/8, mentre una cellula ritmica di andamento funebre informa l’ultimo brano, La mort de Mélisande, dove ritorna anche l’atmosfera tetra e misteriosa evocata nel Prélude.
Durata: 18'
Gabriel Fauré
Pamiers, 1845 - Parigi, 1924Requiem in re minore op. 48 (100° anniversario della morte)
- Introito - Kyrie - Molto largo (re minore)
- Offertorio - Adagio molto (si minore)
- Sanctus - Andante moderato (mi bemolle maggiore)
- Pie Jesus - Adagio (si bemolle maggiore)
- Agnus Dei - Andante (fa maggiore)
- Libera me - Moderato (re minore)
- In paradisum - Andante moderato (re maggiore)
Molto lunga e anche complessa è la gestazione del Requiem, la cui composizione sembra non sia legata alla morte del padre di Fauré nel 1885 o a quella della madre nel 1887, come lo stesso compositore ebbe modo di affermare:
“Il mio Requiem non è stato composto per nessuna ragione… per il piacere, oso dire! È stato eseguito per la prima volta alla Madeleine, in occasione delle esequie in un parrocchiano”.
La composizione del Libera me per baritono e organo risale, infatti, al 1877, dieci anni prima della morte di sua madre, che, del resto, era ancora viva, anche se per poche settimane, quando il compositore si accinse nel 1887 a lavorare alla Messa, da lui chiamata petit requiem e della quale realizzò ben tre versioni. Composta tra il 1887 e il 1888, la prima versione, costituita da soli cinque movimenti (Introito e Kyrie, Sanctus, Pie Jesu, Agnus Dei e In Paradisum), tra i quali, però, non figurava il Libera me, fu, infatti, eseguita, sotto la direzione dell’autore, per la prima volta, alla Madeleine il 16 gennaio 1888, in occasione dei funerali dell’architetto Joseph Lesoufaché. Ampliata nel 1889 con l’aggiunta dell’Hostias nell’Offertorio e nel 1890 con l’inserimento del Libera me del 1877, la Messa fu eseguita, per la prima volta, in questa seconda versione, sempre alla Madeleine, il 21 gennaio 1893 in occasione del centenario della morte di Luigi XVI. Risalente al biennio 1899-1900 è la terza e ultima versione per orchestra che fu eseguita, per la prima volta, al Trocadéro di Parigi, il 12 luglio del 1900, in occasione dell’Esposizione Universale sotto la direzione di Paul Taffanel.
Come affermato dallo stesso Fauré in un’intervista rilasciata il 12 luglio 1902, il suo Requiem non esprime la paura della morte, ma si configura come una «ninnananna della morte», che egli sentiva come «una liberazione felice, un’aspirazione alla felicità, piuttosto che un’esperienza dolorosa». Strutturato in 7 parti, ma mancante del Dies Irae, sostituito, secondo l’usanza parigina, dal Pie Jesu, questo suo Requiem è aperto da un Introito di carattere intimo e sommesso, a cui segue un sereno Kyrie che si segnala per il lirismo della sua linea melodica. Di carattere contrappuntistico è il successivo Offertorio, aperto da un canone tra contralti e tenori, mentre nel Sanctus ritorna quell’atmosfera intimistica che aveva informato l’Introito e che è interrotta dal breve marziale Hosanna. Protagonista del delicato e incantevole Pie Jesu è il soprano, accompagnato da un’orchestra discreta e mai invadente, mentre più drammatico appare il successivo Agnus Dei. Di carattere cupo è la parte iniziale del Libera me, affidata al baritono solista, che lascia il testimone, nella seconda sezione, al coro in pianissimo sulla parola Tremens che dà vita a un momento di grande dolcezza, offuscato dalla ripresa della parte iniziale. Il Requiem si conclude con In Paradisum, una pagina incantevole nella quale emerge la voce del soprano.
Riccardo Viagrande
Durata: 38'