Strauss - Elektra
Marcus Bosch, direttore
Clitemnestra Dalia Schaechter, mezzosoprano
Elettra Diana Gouglina, soprano
Crisotemide Tineke Van Ingelgem, soprano
Egisto Javier Tomé, tenore
Oreste Rubén Amoretti, baritono
Il precettore di Oreste Alessandro Guerzoni, basso
Un giovane servo Rosolino Cardile tenore
Un vecchio servo Lino Galioto basso
La confidente/La sorvegliante Veronica Giordano soprano
L'ancella dello strascico Elisa Barrale soprano
Prima ancella Alessia Sparacio contralto
Seconda ancella Claudia Ceraulo mezzosoprano
Terza ancella Lorena Scarlata mezzosoprano
Quarta ancella Elisa Barrale soprano
Quinta ancella Claire Coolen soprano
Coro: Alessandro Guerzoni, Rosolino Cardile, Lino Galioto, Francesco Ciprì, Alessia Sparacio, Claudia Ceraulo, Lorena Scarlata, Elisa Barrale, Claire Coolen
Assistente del direttore Viktor Jugovic
Maestro di sala Riccardo Scilipoti
Maestro ai sovratitoli Simone Piraino
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Programma
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Richard Strauss
Monaco di Baviera, 1864 - Garmisch-Partenkirchen, 1949Elektra, opera in un atto su libretto di Hugo von Hofmannsthal tratto dall’omonima tragedia di Sofocle (in forma concertante)
Dopo il successo di Salomè, ottenuto anche grazie all’argomento scandaloso trattato, Strauss, il cui primo impatto con il teatro musicale, con la sua prima opera Guntram, clamorosamente fischiata, non era stato dei migliori, cercò di sfruttare il mutato atteggiamento del pubblico nei suoi confronti scrivendo immediatamente una nuova opera. Egli, in realtà, avrebbe voluto confrontarsi con un soggetto leggero, comico, quasi mozartiano, come ebbe modo di affermare descrivendo il suo Rosenkavalier, ma la rappresentazione della tragedia Elektra, che Hugo von Hofmansthal aveva liberamente tratto da Sofocle, messa in scena a Berlino con la regia di Max Reinhardt e la superba interpretazione di Gertrud Eysoldt, che aveva portato al successo la Salomè di Oscar Wilde, attirò fortemente la sua attenzione, per cui decise di mettere in musica questo soggetto. Nel 1906 Strauss chiese subito ad Hofmansthal, con il quale era già entrato in contatto a Parigi nel 1900 per il progetto di un balletto, il cui titolo avrebbe dovuto essere Il trionfo del tempo, di poter musicare l’Elektra, anche se fu poi colto da qualche perplessità. Rispetto a Strauss che tergiversava a causa delle evidenti affinità che il soggetto presentava con l’opera precedente soprattutto nella rappresentazione di un mondo psichico simile a quello di Salomè, Hofmannsthal fu irremovibile nel rifiutare ogni discussione circa la possibile scelta di un altro soggetto e annullò tutte le perplessità, affermando perentoriamente: “le somiglianze con l’argomento di Salomè mi sembrano ridursi a nulla” .
Nonostante le piccole perplessità, dovute alle innegabili ed evidenti somiglianze con Salomè, di cui sembra ricalcare sia il sistema dei personaggi con la coppia perversa Clitemnestra-Egisto che non può non ricordare quella formata da Erode e da Erodiade, sia la presenza di un personaggio salvifico, Oreste, assimilabile a Jokanaan, sia, infine, la follia allucinatoria delle due eponime protagoniste, il soggetto di Elektra, in realtà, aveva già conquistato Strauss per il carattere violento, barbarico e passionale del mito, che dava della Grecia una rappresentazione diametralmente opposta a quella classica di aurea bellezza apollinea consegnata dalla tradizione che risale a Winckelmann e che nella cultura tedesca era stata filtrata da Goethe. Nella trasposizione teatrale di Hofmannsthal, inoltre, il mito classico si prestava molto bene ad una lettura integralmente moderna, resa possibile dalla recente scoperta della psicanalisi. Elektra, la protagonista, legata al padre Agamennone e al fratello Oreste da un amore che, in alcuni momenti, mostra aspetti morbosi, per la ricerca ossessiva e quasi patologica della vendetta e per un linguaggio estremamente duro, o, addirittura, animalesco, con verbi quali «ululare», «gemere», «urlare» e «gridare», potrebbe essere immaginata distesa sul lettino di Freud o di uno dei suoi allievi per le necessarie sedute terapeutiche psicanalitiche. Non solo per questi aspetti contenutistici, ma anche per la struttura formale, il testo di Hofmannsthal si prestava ad essere facilmente messo in musica; fatta eccezione per qualche piccolo taglio, sempre necessario per una trasposizione librettistica di un testo teatrale. Strauss chiese ad Hofmannsthal, allo scopo di ottenere una maggiore tensione drammatica, di limitarsi a modificare solo alcuni versi, in particolar modo nel duetto che ha come protagonisti Elektra e Crisotemide. Nella trasposizione librettistica fu, quindi, mantenuta intatta la struttura in un atto unico con un prologo, in cui sei ancelle, esercitando funzioni simili a quelle del coro greco, narrano l’antefatto della vicenda, e con un monologo in cui Elektra evidenzia subito il carattere quasi patologico della sua ossessione con l’insistenza su immagini di sangue e di morte che rendono con maggiore intensità drammatica il modello greco, nel quale erano pur presenti situazioni atroci, come il matricidio e il rapporto immorale fra Egisto e Clitemnestra. Dopo l’adattamento del dramma alla forma librettistica, Strauss lavorò alla partitura musicale in meno di due anni e la completò il 22 settembre 1908. L’opera, tuttavia, sarebbe andata in scena, per la prima volta, il 25 gennaio 1909 al Königliches Opernhaus di Dresda sotto la direzione di Ernst von Schuh riscuotendo un notevole successo, che, però, non convinse nemmeno il compositore, il quale lo ritenne più un attestato di stima nei suoi confronti da parte del pubblico, che un vero apprezzamento per il reale valore musicale dell’Elektra.
Dopo questa première furono notate delle somiglianze tra l’Elektra e la Cassandra del compositore Vittorio Gnecchi che era stata rappresentata il 5 dicembre 1905 a Bologna sotto la direzione di Toscanini. Queste somiglianze furono avvalorate qualche mese dopo dal musicologo Giovanni Tebaldini che, nel saggio Telepatia musicale, apparso sulla Rivista Musicale Italiana, pubblicò 10 tavole sinottiche con le quali metteva a confronto una cinquantina di temi in comune tra le due opere tra cui l’esempio più eclatante riguardava il tema con il quale è contraddistinto il nome di Agamennone sia nella Cassandra sia nell’Elektra. Della polemica scaturita si mostrò alquanto risentito Strauss che affermò di non aver mai avuto in visione lo spartito di Cassandra, mentre, in realtà, Gnecchi glielo aveva regalato in occasione della rappresentazione della sua Salomé al Teatro Regio di Torino il 22 dicembre 1906, sebbene si ritenga che il compositore tedesco avesse ricevuto lo spartito un anno prima e che avesse scritto una lettera di ringraziamento nella quale affermava di averne iniziato la lettura. Nonostante questa lettera smentisca le affermazioni di Strauss, le conseguenze della polemica ricaddero su Gnecchi e la sua Cassandra che uscì dai cartelloni teatrali, ad eccezione di una ripresa al Teatro Dal Verme di Milano nel 1913 sotto la direzione di Ettore Panizza. Nonostante tutto, l’Elektra si affermò immediatamente in tutta Europa e naturalmente anche in Italia, dove trionfò, per la prima volta, alla Scala di Milano il 6 aprile del 1910 sotto la direzione di Edoardo Vitale.
In quest’opera, strutturata, dal punto di vista formale, secondo i canoni del Wort-Ton-Drama (dramma di parole e musica) wagneriano dal momento che si presenta come un unico e continuo discorso musicale privo di forme chiuse, è perfettamente realizzata la concezione musicale di Strauss fondata sulla sorpresa, come Adorno ebbe modo di affermare:
“Il suo stile e la sua tecnica si basano sul principio della sorpresa… La possibilità della sorpresa ha bisogno dei resti dell’idioma tradizionale: solo sul loro sfondo e non all’interno di un tessuto linguistico nuovo essa può prosperare”.
Il carattere innovativo di quest’opera non risiede, quindi, nel linguaggio musicale mutuato dalla tradizione e caratterizzato dall’armonia cromatica di ascendenza wagneriana condotta alle estreme conseguenze, ma nella costruzione di una macchina perfetta fondata sulla sorpresa, rappresentata, in un mondo in cui tutto appare come la manifestazione del male, da personaggi quali Crisotemide, dedita interamente alla sua aspirazione normale di crearsi una famiglia, e da situazioni positive che coinvolgono anche la problematica eponima protagonista quando si abbandona al sogno di una possibile e auspicata ricomposizione del proprio nucleo familiare. In questi e in altri momenti felici e di sogno, costituiti anche dal ritorno di Oreste o dalla rievocazione del padre Agamennone, la musica assume toni e movenze più dolci e gentili quasi da valzer viennese, che anticipano alcuni esiti a cui Strauss sarebbe giunto nel Rosenkavalier, interamente pervaso da un’atmosfera e da uno spirito leggeri. Nell’Elektra questi momenti di distensione si alternano ad altri di alto contenuto drammatico in un equilibrato e, al tempo stesso, contrastante gioco di chiaroscuri, idoneo a tenere sempre desta l’attenzione del pubblico nella continua alternanza tra momenti di leggerezza quasi viennese ed altri di forte e commovente tragicità. Alla rappresentazione di questo effetto contribuisce in maniera determinante la musica che ora si snoda in un fluente e dissonante cromatismo di intensa drammaticità, ora trova attimi di quiete sull’accordo di quarta e sesta che, anticipando l’armonia della tonica, ne riproduce l’effetto complessivamente tranquillizzante. La tranquillità, però, è solamente sfiorata in quest’opera la cui musica rende perfettamente il precipitare dell’azione verso la tragica e delirante conclusione nella quale Elektra, felice per aver compiuto la sua vendetta, muore danzando in modo disumano, mentre la sorella Crisotemide, ormai preda di uno spavento grande e incontrollabile, percuote, come una forsennata, la porta del palazzo gridando con l’angoscia nel cuore il nome del fratello: «Orest, Orest!».
Argomento e guida all’ascolto
La scena iniziale dell’opera, ambientata nel palazzo degli Atridi a Micene nel periodo immediatamente successivo alla Guerra di Troia, si apre musicalmente nel nome di Agamennone con un aforistico tema di quattro note sull’accordo di re minore, destinato ad accompagnare il nome dell’eroe acheo, quando questo sarà pronunciato da Elektra. Dopo questo violento, quasi barbarico, accordo la protagonista è presentata da sei ancelle (Wo bleibt Elektra?) che, se da una parte sembrano assumere la funzione del coro greco, dall’altra costituiscono una valida realizzazione di un io frammentato che non riesce a dare un giudizio unitario e coerente sul personaggio di Elektra. La donna, apparsa sulla scena (Allein!), rievoca la morte del padre Agamennone in un lungo monologo in cui si susseguono immagini piene di sangue, di forte valenza drammatica, rese da una musica di straordinaria violenza sia per la struttura armonica che melodica, con un fascio di motivi diversi tra cui spicca, su un accordo di re minore, quello di Agamennone. Nel monologo di Elektra si possono distinguere nitidamente tre momenti: la rievocazione dell’omicidio di Agamennone, la sua determinazione a vendicarsi e la visione della vittoria con un’esaltazione trionfale e allucinatoria. Il monologo della donna è interrotto da Crisotemide (Elektra!) che, preoccupata per le sorti della sorella, la informa che Clitemnestra ed Egisto vorrebbero chiuderla in una torre, ritenendola responsabile dell’atmosfera pesante che grava sulla reggia. Alla richiesta accorata di Crisotemide, che cerca di indurla ad abbandonare i suoi propositi di vendetta e a mutare atteggiamento, Elektra, destata dal sogno allucinatorio, risponde in modo scostante e violento tanto da indurre la sorella a fuggire dopo averla scongiurata invano di evitare l’incontro con Clitemnestra. Quest’ultima, nel frattempo, si sta avvicinando per recarsi al tempio dove intende pregare gli dei affinché la liberino dai suoi frequenti incubi notturni, durante i quali ha la visione del figlio Oreste, da lei cacciato quando era ancora giovanissimo. Avvicinatasi ad Elektra e rimasta sola con lei dopo aver cacciato il suo seguito, le chiede, in una scrittura vocale che indulge al parlato con significativi ribattuti, in che modo possa liberarsi definitivamente dagli incubi che la tormentano e quale vittima immolare agli dei. Infine Elektra si decide a risponderle, affermando che soltanto un sacrificio umano avrebbe potuto ottenere il miracolo e, alle pressanti richieste della madre, individua la vittima in una donna sposata che sarebbe stata uccisa da un familiare. Clitemnestra rimane turbata, credendosi destinataria della profezia, ma la falsa notizia della morte di Oreste, sussurratale all’orecchio da una delle ancelle appena rientrate in scena, le restituisce una certa serenità inducendola ad assumere un atteggiamento minaccioso verso la figlia. Con l’uscita di scena di Clitemnestra sembra, come è stato notato da Massimo Mila, che sia avvenuta una cesura, in quanto
“è finita la parte statuaria della presentazione dei personaggi principali, ed inizia la parte d’azione e d’intrigo, se questi termini si possono usare per un’opera che della staticità fa una scelta deliberata e un partito preso”.
La falsa notizia è confermata da Crisotemide e da un servo (Platz da) che chiede un cavallo al palafreniere per andare a riferire ad Egisto l’avvenuta morte di Oreste. Elektra, prendendo atto dell’accaduto, cerca di convincere la sorella che tocca a loro compiere la vendetta suscitando un sentimento d’orrore in Crisotemide (Sprichst du von der Mutter? / Parli tu di nostra madre?); dopo aver tentato inutilmente di ricondurre a più miti conigli Elektra, Crisotemide fugge attirando su di sé la maledizione della sorella. Distrutta, ma ferma nel suo proposito di vendetta, Elektra decide di agire da sola e va a scavare nei pressi del muro del palazzo alla ricerca della scure utilizzata da Egisto per uccidere Agamennone e da lei nascosta. Dopo un breve brano sinfonico entra Oreste sotto le mentite spoglie di un suo compagno per comunicare la morte del giovane travolto dai suoi stessi cavalli, ma, riconosciuta la sorella, rivela la sua vera identità. La tensione accumulata si scioglie prima in un breve passo sinfonico, poi, in una delle pagine più famose e più serene dell’opera, in cui è espressa, attraverso un lirismo quasi estatico, tutta la felicità della donna per il ritorno del fratello, con il quale evoca le gioie della famiglia riunita (Es rührt sich niemad). Alla fine, dopo un lungo dialogo, Oreste promette ad Elektra che si sarebbe vendicato alla prima occasione e, avendo appreso dal suo vecchio mentore, che non ci sono uomini in casa, va a compiere la sua vendetta. Elektra, preoccupata per non aver potuto dare al fratello la scure, rimane sola in un’ansiosa attesa che raggiunge il suo punto culminante quando si ode l’urlo di Clitemnestra nel momento in cui viene assassinata dal figlio. Richiamate dall’urlo, accorrono sia le ancelle sia Crisotemide sgomente, che nell’udire i passi di Egisto, fuggono intimorite. L’uomo incontra Elektra la quale dissimula una forma di gentilezza, confermando nel frattempo la falsa notizia della morte di Oreste. L’atteggiamento falsamente cortese della donna desta una certa sorpresa nell’uomo che, del tutto ignaro di ciò che è avvenuto, entra nel palazzo subendo la stessa sorte di Clitemnestra sulle raggelanti sonorità dei violini primi, mentre Elektra urla ancora una volta il nome del padre, intonando il tema che lo ha caratterizzato per tutta l’opera. Alla morte di Egisto si scatena la lotta tra i suoi partigiani e quelli di Oreste che risultano vincitori, mentre Elektra, felice per la compiuta vendetta, incomincia a danzare un folle e trionfale valzer di morte ordinando alla sorella di imitarla, ma, nel momento culminante, sottolineato da un lancinante accordo di mi bemolle minore, cade morta, inebriata da una gioia che rasenta la follia. Mentre il tema di Agamennone risuona ancora una volta in orchestra sancendo la compiuta vendetta, Crisotemide, presagendo la dura sorte che attenderà Oreste a causa del duplice omicidio, grida il suo nome in una forma lancinante e interrogativa.
Riccardo Viagrande
Durata: 125'