Wolf-Ferrari
Massimiliano Stefanelli, direttore
gipeto, voce recitante
Daniela Schillaci, soprano
Roberto De Candia, baritono
Coro Lirico Siciliano
Francesco Costa, maestro del coro
Coro di Voci bianche della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana
Riccardo Scilipoti, maestro del coro di voci bianche
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Programma
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Ermanno Wolf-Ferrari
Venezia, 1876 - Venezia 1948La vita nuova, op.9 su parole di Dante - Cantica per baritono, soprano, coro, orchestra, organo e pianoforte. Interventi recitati tratti da "La vita nova" di Dante Alighieri a cura di Massimiliano Stefanelli (prima esecuzione a Palermo)
«In quella parte del libro de la mia memoria…»
(Voce recitante)
n. 1 Prologo
Cantando molto
«Io mi son pargoletta bella e nuova»
(Soprano, Baritono, Coro di Voci Bianche, Coro I e II)
Parte I
n. 2 Ballata
«Fresca rosa novella»
(Baritono, Coro di voci bianche, Coro I e II)
n. 3 Danza degli Angeli
«Poi che fuoro passati tanti die…»
(Voce recitante)
n. 4 Arioso
«Donne che avete intelletto d’amore»
(Baritono)
n. 5 Sonetto
Calmo, senza rigor di tempo
«Negli occhi porta la mia donna amore»
(Baritono)
Ripresa del n. 3
«Appresso ciò per pochi dì avvenne…»
(Voce recitante)
n. 6 Canzone
« Angelo clama in divino intelletto»
(Coro I e II)
«…ne lo nono giorno…»
(Voce recitante)
Intermezzo
«Appresso ciò non molti dì passati»
(Voce recitante)
n. 7 Preludio
n. 8 Sonetto I
«Voi che portate la sembianza umile»
Poco più mosso - Più largo
(Baritono)
n. 9 Sonetto II
Adagio - Lento - Sostenuto
«Sei tu colui, ch’ài trattato sovente»
(Coro Donne)
Parte II
«Colui che era stato genitore di tanta meraviglia…»
(Voce recitante)
n. 10 Sonetto
«Tanto gentile e tanto onesta pare»
(Baritono)
«Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia»
(Voce recitante)
n. 11 La morte di Beatrice
Lento assai - Adagio assai - Più mosso -
Energicamente - Adagio assai
«Ave, angelo nero. Chi sei?» (Soprano)
«L’anima sua nobilissima si partio…»
«Dannomi angoscia li sospiri forte… »
(Voce recitante)
n. 12 Recitativo
«Quomodo sedet sola civitas plena populo!»
(Coro I e II)
n. 13 Canzone
Adagio
«Ita n’è Beatrice in l’alto cielo»
(Coro di voci bianche, Coro I e II)
n. 14 Sonetto
Il tempo libero, declamando - Più lento -
Disperato - Terribile - Adagio sostenuto
- Più largamente - Tranquillo - Adagio
«Lasso! Per forza de’ molti sospiri»
(Baritono)
“Ah!”
(Coro I e II)
«propuosi di non dire più di questa benedetta »
(Voce recitante)
Seguito del n. 14 - Finale
“Beato, anima bella”
(Soprano, Baritono, Coro di Voci Bianche, Coro I e II)
Figlio del pittore tedesco August Wolf e della veneziana Emilia Ferrari, Ermanno Wolf, che in seguito aggiunse al suo cognome anche quello della madre quasi a marcare la sua doppia natura tedesca e italiana, fu un uomo di vasta cultura, inizialmente incerto se seguire le orme del padre, dedicandosi alla pittura, o se fare il musicista. In effetti, all’età di 15 anni Ermanno aveva iniziato a studiare pittura presso l’Accademia di Roma, dove conobbe il pittore Otto Greiner che seguì a Monaco di Baviera dove dal 1892 avrebbe studiato con Joseph Rheinberger, distinguendosi subito con la composizione di una Serenata per archi in mi bemolle maggiore. Nel 1895, pur avendo ottenuto voti altissimi per una sua fuga, rinunciò a conseguire il titolo accademico, in quanto si rifiutò di sostenere l’esame di storia della musica, materia nella quale, a giudizio del giovane compositore, non aveva appreso nulla dal suo insegnante. Tornato in Italia, assunse a Milano la direzione di un coro misto tedesco e compose la sua seconda opera, Cenerentola, su libretto di M. Pezzè Pascolato, che, rappresentata a Venezia nel 1900, non fu gradita dal pubblico probabilmente per il suo carattere favolistico. All’insuccesso di Cenerentola seguì un periodo di riflessione durante il quale Wolf-Ferrari compose alcuni lavori sinfonico-corali, tra cui Thalita Kumi, e da camera come le Sonate op. 1 e op. 10 e i due Trii per pianoforte, violino e violoncello in fa diesis maggiore op. 5 e op. 7 , quest’ultimi scritti a Monaco dove era, nel frattempo, ritornato. Nella città bavarese compose anche nel 1901 la cantata, La vita nuova op. 9, che, eseguita per la prima volta a Monaco il 21 marzo 1903, ottenne un notevole successo, come si evince dalla recensione di Edgar Istel sul «Journal der Internationalen Musikgesellschaf» («Giornale della Società internazione di musica»):
“Nel complesso Wolf-Ferrari ha raggiunto il suo obiettivo artistico con grande successo […]. L’impressione suscitata dal lavoro alla sua prima esecuzione è stata straordinaria, il successo di pubblico estremamente brillante”.
Ad occuparsi de La vita nuova fu anche Luigi Torchi in un lungo e interessante articolo pubblicato sulla «Rivista Musicale Italiana» (ann. X, 1903, pp. 712-736) nel quale il musicologo italiano, facendo riferimento alle condizioni del teatro musicale italiano agli inizi del Novecento, ha messo in evidenza la doppia anima, tedesca e italiana, di Wolf-Ferrari:
“Nelle condizioni attuali del nostro teatro lirico è parso opportuno ad alcuni compositori che ne hanno sperimentate le difficoltà, di dirigere i loro sforzi in altro campo. E siccome per il compositore di musica istrumentale non esiste ancora in Italia il gran pubblico e, d’altra parte, il musicista italiano non può oggidì competere coll’istrumentalista tedesco, specie dinnanzi a un pubblico tedesco, così da qualche tempo noi vediam sorgere in Italia lavori che hanno una certa affinità colle azioni musicali liriche e drammatiche, ed essere destinati al pubblico di Germania, dove questo genere è più coerente che da noi e dove gl’Italiani possono in certo modo affermarsi, anzi mietere forse nuovi allori, ad onta della rivalità secolare degli stessi compositori tedeschi. […] Francamente l’ingegno italiano, così incline ad accepire [sic] la bellezza, di qualunque specie ella sia, non è da meno degli altri in questo genere d’arte, che sta fra il proprio oratorio e l’opera, ed esplica, se non altro delle qualità intellettuali che in quest’ultima resterebbero nulle in effetto e fors’anche tali da recare o patirne danno.
Fra i lavori recenti di questo genere, che ha pur sì antiche e sì belle tradizioni in Italia, un primissimo posto l’occupa la Cantica di Ermanno Wolf-Ferrari su La vita nuova di Dante.
Con certa abilità il Wolf-Ferrari ha messo insieme diverse parti e frammenti de La Vita Nuova, quando musicando sonetti, canzoni e ballate pur tratte dal Canzoniere, quando dipingendo con la musica la prosa narrativa del poeta. Questa viene ad essere così la guida vera della Cantica, come della Vita Nuova essa è la principale sostanza. Siccome il lavoro n’è riuscito chiaro e organico, per quanto un poco monocorde, così si può perdonare all’autore un certo aggrovigliamento di varie poesie, aggrovigliamento a cui egli ha forse creduto di ricorrere onde ottenere maggiore varietà di forme, non che compattezza e solidità ai diversi componimenti e agli effetti musicali”.
La cantata, per la cui composizione Wolf-Ferrari non si è avvalso soltanto di testi tratti dalla Vita nuova, ma anche di altre rime dantesche, si apre con un Prologo, nel quale in un cullante e dolcissimo 9/8, sono presentati Beatrice e Dante i quali intonano, aiutati in alcuni passi dal coro, la Ballata I’ mi son pargoletta bella e nova, che pur non facendo parte della Vita nuova, dai commentatori danteschi è stata ad essa accostata.
Oboe e corno inglese, in una raffinatissima orchestrazione, introducono la ballata, Fresca rosa novella, il cui testo, tratto anch’esso dalle rime, è in realtà di dubbia attribuzione dantesca. In questa pagina l’esaltazione della bellezza della fanciulla è immersa in un contesto gaio caratterizzato dai cinguettii degli uccelli e dall’affermazione della primavera. Segue la Danza degli Angeli “per prata e per verdura gaiamente”, dalla delicatissima orchestrazione con il pianoforte e l’arpa protagonisti e puntellati dagli archi, sulla quale la voce recitante legge il capitolo III, in cui il poeta esprime gli effetti salvifici sul suo animo del saluto di Beatrice, e il XIX che introduce il successivo Arioso, Donne ch’avete intelletto d’amore. Del testo della famosa Canzone, tratta dal XIX capitolo della Vita Nuova, Wolf-Ferrari mette in musica soltanto i primi otto versi che, intonati dal baritono, sono introdotti da un tema esposto da tre flauti estremamente espressivo e lasciano il posto al Sonetto, Ne li occhi porta la mia donna Amore, tratto dal capitolo XXI della Vita nuova. Il baritono, accompagnato dal solo pianoforte, intona questo canto di lode nei confronti della sua donna in una scrittura metricamente libera nella quale ogni verso è inquadrato in una struttura chiusa. Dopo la breve ripresa della Danza degli Angeli, il coro diventa protagonista intonando i versi restanti della canzone Donne ch’avete intelletto d’amore con i quali si conclude la prima parte in un tripudio di luce.
L’intermezzo si apre con la lettura di parti del capitolo XXIII, nel quale Dante narra di una sua malattia che lo porta a pensare sia alla sua morte che a quella di Beatrice. Tema di questo intermezzo è il pianto di Beatrice e di Dante stesso il quale chiede alle donne, ritornate dall’aver visto Beatrice, se quest’ultima sta piangendo. La mesta musica del lirico preludio orchestrale conferma quest’atmosfera triste che caratterizza anche i due sonetti successivi Voi che portate la sembianza umile, ricco di pathos soprattutto nel Più largo introdotto in corrispondenza della prima terzina del testo, e Se' tu colui c'hai trattato sovente, il quale, introdotto dal violino solista, è intonato da un coro di donne inizialmente a cappella e, poi, accompagnato dall’orchestra.
La seconda parte è dominata dal tema della morte di Beatrice che, però, prima viene lodata nella scelta di Wolf-Ferrari di musicare il famoso sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, introdotto da una nobile e celestiale melodia esposta dal flauto e dal clarinetto accompagnati da una delicatissima arpa. Dopo questo lirico momento viene descritta la morte di Beatrice con il coro che in una forma di recitativo intona il passo in latino “Quomodo sedet sola civica plena populo! Facta est quasi vidua domina gentium”, tratto dalle Lamentazioni di Geremia e citato da Dante. Ad esso segue la seconda strofa della canzone elegiaca, affidata al coro, Ita n’è Beatrice in alto cielo, la cui scrittura, di carattere mesto, non è esente da aperture melodiche che ben delineano l’ascesa al Cielo della donna. La disperazione di Dante è affidata, invece al sonetto Lasso! per forza di molti sospiri, che, intonato dal baritono, è un’aria in stile di recitativo, quasi a voler dimostrare come per l’uomo ogni forma di lirismo muoia nella sua gola. La disperazione cede il posto alla visione celestiale di Beatrice che, accolta in cielo dalle sfere degli angeli, canta Io sono in pace in un tripudio di luce e di colori orchestrali.
Riccardo Viagrande
Durata: 80'